Riva vuole chiudere lo stabilimento di Patrica

Ilvadi Ignazio Mazzoli – Tanto tuonò che piovve, anzi…insieme alla pioggia arrivò la frana. I sindacati metalmeccanici oggi comunicano come si è svolto il coordinamento nazionale del gruppo Ilva Spa, rappresentato dall’Ing. Enrico Martino, alla presenza delle Segreterie Nazionali e Provinciali FIM-FIOM-UILM, unitamente alle RSU degli stabilimenti italiani. L’incontro doveva valutare la situazione aziendale in vista dell’approvazione, entro il 28 di febbraio, del piano ambientale da parte del ministero e la consequenziale presentazione del piano industriale di gruppo.
L’Azienda ha illustrato le sue difficoltà economiche che necessitano di un aumento di capitale per far fronte ai costi, stimato in 3 miliardi di euro, necessari a traguardare gli obiettivi per la salvaguardia dell’Ilva Spa. In questa ipotesi di lavoro gli stabilimenti di Patrica e Torino non rientreranno nel piano industriale e pertanto l’Azienda ha comunicato ufficialmente che saranno chiusi. Saranno garantiti i siti di Taranto, Genova, Novi Ligure e Racconigi. Saranno salvaguardati e garantiti gli attuali 14.696 dipendenti del gruppo ad eccezione dei 67 di Patrica e dei 22 di Torino! Cioè meno dell’uno per cento è un peso insopportabile per la grande Ilva? Qui c’è di mezzo il posto di lavoro di 89 persone ed il relativo reddito per sostenere le loro famiglie e a chi scrive verrebbe da sbeffeggiarli, questi Riva.
Le Segreterie Nazionali di FIM-FIOM-UILM, non ci stanno perché questa “ipotesi” è in stridente conflitto con il mandato che il Ministero ha affidato al Commissario Bondi. Infatti il Decreto Legge che ha “commissariato” l’ILVA Spa stabilisce che il piano industriale deve “tutelare e salvaguardare i livelli occupazionali” e “preservare ogni sito produttivo di ILVA in quanto “siti di interesse strategico nazionale”. (???)
Inoltre i lavoratori denunciano che è assurdo, per un’azienda che ha la necessità di contenere i costi e ricapitalizzare, non prendere minimamente in considerazione le opportunità offerte dal “piano di crisi complessa” aperto in provincia di Frosinone.
Ancora una osservazione sollevano i lavoratori e i loro sindacati: l’ILVA Spa ha oggi e avrà anche in futuro Aziende a cui esternalizza una buona fetta di lavoro, ed pertanto non si comprende come non si sia preso in considerazione, manco lontanamente, di portare all’interno queste produzioni affidandole agli stabilimenti che oggi sono fuori dal piano industriale.
Naturalmente, come è da 20 anni a questa parte, l’Azienda ha ribadito che la decisione è stata presa e non c’è più spazio per “confrontarsi” sul piano industriale anche se il Decreto, esplicitamente, dispone il contrario. Non è accettabile che, preventivamente al confronto sul Piano industriale, l’azienda esordisca con la chiusura di due stabilimenti. Ecco perché è doveroso aprire immediatamente il confronto di merito, perché non avvengano i licenziamenti e si trovino soluzioni alternative. C’è una data: il 24 di febbraio, nuovo incontro al Ministero dello Sviluppo Economico al fine di far recedere l’Ilva dalla decisione assunta unilateralmente. I sindacati metalmeccanici ritengono indispensabile a fronte di questo atteggiamento della Direzione Aziendale promuovere un’azione condivisa, di concerto con gli esponenti politici della nostra provincia (chi c’è batta un colpo), per ottenere la cancellazione della decisione aziendale esposta. I lavoratori chiedono unità e coesione verso l’unica direzione possibile: salvaguardare un sito industriale e il lavoro in una provincia già fortemente penalizzata. Cambiare una decisone irricevibile sarebbe una iniezione di coraggio per tutti gli altri lavoratori in difficoltà.

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