di Giuseppe Lembo* – Facendo “zapping televisivo” con il nostro amato-odiato telecomando, ormai è sempre più facile imbattersi a tutte le ore in programmi che parlano solo ed esclusivamente di cucina. Da un conteggio sommario ve ne sono circa una ventina (fra canali Rai e TV private), iniziando dall’ormai consolidato “La prova del cuoco” della Clerici, seguito da una moltitudine di trasmissioni che ricalcano il format americano “Masterchef” e che seleziona aspiranti cuochi per farli entrare nell’olimpo degli chef internazionali. A dar retta a questi palinsesti sembra proprio che il motto delle famiglie italiane sia diventato “sfida all’ultima padella”, vista la lunga lista di ultra accreditati chef nazionali e straneri che fanno gara a diramare nell’etere le loro “leggi” di alta cucina. E’ un fenomeno dei nostri tempi che è un evidente segno del benessere (purtroppo per pochi) che, invece di aprire nuovi orizzonti, mette piuttosto il prosciutto sugli occhi della gente, per mascherare la sempre più evidente crisi economica e sociale che stiamo attraversando. Mangiare da ottimi gourmet sembra esser diventata una moda per tutti. Sia chiaro, nulla da eccepire sulla bontà e qualità dei prodotti elaborati in cucina, fino quando l’istinto umano di alimentarsi resterà tale, ma in un momento in cui è diventato problematico fare la spesa di tutti i giorni, viene spontaneo chiedersi che motivo c’è di trattare questa materia come fosse una delle più importanti a livello sociale, quasi a livello universitario. Sono passati più di 30 anni da quando il simpaticissimo Corrado Mantoni, nella sua trasmissione “Il pranzo è servito”, peraltro l’unica all’epoca ad occuparsi di cucina, dedicava alla materia lo spazio che gli era proprio, cioè quello di nutrire, senza penalizzare ovviamente le tradizioni culinarie tipiche delle nostre regioni ed evitando allo stesso tempo di magnificare la materia. Oggi, purtroppo, il modello è cambiato: la cucina è diventata settore di dominio assoluto dei “grandi maestri di cucina” e il sogno di molti giovani aspiranti cuochi non è solo quello di imparare un buon mestiere, il che sarebbe peraltro lecito, ma di entrare a far parte di un mondo surreale in cui stare ai fornelli sembra esser diventato un mestiere di altissima valenza sociale. Ma come succede spesso in terra italica, quando si sente odore di business molti furbacchioni ne approfittano per cavalcare la moda del momento e così sono sorte molte scuole di cucina, serie e meno serie, soprattutto nelle grandi città, per accalappiare i tanti aspiranti chef promettendo loro un futuro pluristellato. La televisione però in questo ambito, invece di impegnarsi a diffondere e pubblicizzare il lavoro di “master chef”, così poco realistico, dovrebbe piuttosto spendere le proprie energie nel proprio ruolo di “servizio”, trovando nuove soluzioni per divulgare ai giovani le grandissime potenzialità e opportunità che offre l’enorme patrimonio alimentare italiano a 360 gradi, partendo dalla produzione dei singoli alimenti per approdare alla loro elaborazione e diffusione su scala industriale ma anche artigianale. Molti esperti di economia e finanza hanno più volte dichiarato che i prodotti alimentari italiani, come anche il nostro patrimonio artistico culturale, sono tra i settori del nostro Paese che più meritano un rilancio economico. Ma non basta saper cucinare alla perfezione un piatto di spaghetti, ci vogliono idee, tante idee per diversificare l’intera gamma delle nostre bontà per la loro diffusione sulle tavole italiane, europee e mondiali.
*Giuseppe Lembo è Vice-presidente della Federconsumatori di Frosinone
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