di Stefano Balassone – D’Alema e Prodi, Monti e Renzi: dal libro alla televisione, Alan Friedman condisce un programma perpetuo che a prescindere dal materiale, funziona.
Alain Friedman, nazionalità e lingua madre incerta, ma sicuramente non italiana, un giorno si è messo in giro, con operatore al seguito, per andare a trovare alcuni personaggi della politica italiana: D’Alema, Prodi, Monti, Renzi e altri, e chiedergli di questo e dell’altro mondo.
Siamo nella stagione calda, lo suggeriscono sia l’aria chiara sia la pelle scura degli intervistati. L’intesa, tassativa, con l’operatore è “riprendi sempre, riprendi tutto!”: dai paesaggi nei pressi dell’appuntamento, come insight nella mente di chi li ha scelti per dimorarvi, al cordiale farsi incontro del padrone di casa; dalla casa da fuori alla casa di dentro, dagli animali ai vegetali.
Quando si passa al colloquio a dominare è il primo piano perché, come ciancica Friedman, s-vela il soggetto meglio di una radiografia. Infine, la conversazione (“riprendi tutto, anche le pause!”). Dopodiché si torna a casa e ci si affretta a taggare motti, espressioni, situazioni e affermazioni. Fra tutto quel ben di dio c’è di sicuro quello che, prima o poi, tornerà utile.
Cessata la stagione calda e raccolte tutte le “interviste” (in realtà una sterminata quantità di materiale all purposes) si scrive un libro che sarà pronto per la ripresa televisiva d’autunno, quando i talk show riaprono alle ospitate. Il libro è un buon pretesto, come si sa, con gli autori paghi di presentare al mondo il figlio stampato.
Ma Friedman ha una marcia in più, conosce i suoi polli e, oltre a rimasticare sul paralizzante trasformismo italiano (Ammazziamo il gattopardo) rinviene nel fresco archivio (vantaggi delle interviste a strascico) la chicca che fa la differenza, con Monti che “rivela” di essere stato pre-esplorato da Napolitano. In più, nascendo il libro dal video e non viceversa, la tv ospitante può esibire spezzoni di intervista che comprovano, manco fosse il test del Dna, l’assoluta veridicità del detto, confermando la nota affidabilità del famoso giornalismo anglosassone.
Bingo!: il libro va in vetta alle classifiche del venduto, meglio dei panettoni politici di Bruno Vespa, e avendo piazzato quell’arpione nella pancia della maggioranza di larghe intese, proprio mentre (le fortune bisogna sapersele cercare) il condannato Berlusconi comincia a intravedere la decadenza, se ne parla su tutti i giornali (“Ecco la prova del complotto” vs “Il segreto di Pulcinella”). Sicché, uno spezzone qui uno spezzone là, il buon Alain spunta davvero in tutti i talk show, compresa – ma non ne siamo certi – Barbara D’Urso.
E non è finita: perché, scavallata la primavera e giunti alle soglie della successiva estate, l’opera diventa un programma televisivo (in diverse puntate di un’ora ciascuna), che pare fresco di giornata perché i colori e le luci sono quelli della stagione più calda, gli intervistati sono abbronzati etc etc. Colori, luci, caldo e abbronzature dell’anno precedente, ma vanno benissimo per scampare all’effetto “fuori stagione”.
Ieri sera è toccato a Massimo D’Alema, in versione campestre, circondato da molossi (o mastini o chissà, ma di certo non erano i fratelli di Dudù) dei quali mostrava alla camera (“riprendi tutto!”) i denti particolarmente mordaci. Gli spettatori che sono stati al gioco (più alta la percentuale fra i laureati, molto più bassa fra i meno istruiti che già hanno problemi con la lingua, figuriamoci con la metalingua di Friedman) hanno resistito in media una dozzina di minuti. Che non è pochissimo data l’ora tarda e il contesto mediale tutto assorbito dalle imprese di Renzi e Pirlo.
Segno che la formula del moto comunicativo perpetuo, a partire da un materiale quale che sia, funziona. Per Friedman di sicuro..
@SBalassone
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