di Valerio Ascenzi – Ci siamo già espressi sul fatto che non siamo così convinti che gli insegnanti italiani lavorino poi così di meno degli insegnanti del resto d’Europa. Oggi è prendendo stralci dell’articolo di Repubblica del 02 luglio 2014, firmato da Corrado Zunino cerchiamo di fare chiarezza su cosa dice questo articolo e sul vuoto che lascia un articolo del genere nella mente di chi legge.
L’autore sembra semplicemente esser l’eco degli annunci del sottosegretario Roberto Reggi e del ministro Stefania Giannini, e tocca dei temi delicati con toni simili a quelli utilizzati dai media all’indomani della pseudoriforma Gelmini. Oggi come allora la stampa è schierata: negli ultimi dieci anni hanno fatto il lavaggio del cervello alla gente, che di fronte a questi toni, meno urlati, ma comunque denigranti per la professione docente, si è cimentata in commenti al limite del delirio.
{tab=Come Brunetta}
«La scuola italiana non potrà più essere – “e non sarà più” – un ammortizzatore sociale. E così il nuovo piano affronta subito la questione più complicata: il contratto». Come liquidare quasi dieci anni di contrattazione bloccata, di condizioni lavorative non dignitose, definendo la scuola un “ammortizzatore sociale”, definendo pelandroni i lavoratori della scuola. Parlare di contratto senza che non ci sia una contrattazione, parlare di “patto” senza che vi sia stato mai un dibattito, è indicavo del fatto che la cultura imperante in Italia, è quella lasciata in eredità da Berlusconi e seguaci.
Della serie: ti sta bene? No? Aria! Sembra di sentire ancora Brunetta che ripete: «Fannulloni, fannulloni». Secondo Zanino il sindacato Anief avrebbe chiesto di fermare tutto, per prima riportare gli stipendi ai livelli dei paesi industrializzati. Anief? Premesso che questo sindacato ha ragione, ma l’omissione dei pareri dei maggiori sindacati (i quali hanno posizioni durissime) la dice lunga sull’obiettività di questo articolo, a quanto pare confezionato ad arte. Per tutta risposta però Reggi avrebbe «[…] ribaltato la questione e avanzato una proposta organica: scatti d’anzianità invariati e premi stipendiali fino al 30 per cento per i docenti impegnati in ruoli organizzativi (vicepresidi, docenti senior) o attività specializzate (lingue e informatica). In cambio il ministero chiede agli insegnanti una maggiore disponibilità: più ore a scuole per un periodo più lungo». Come direbbero gli inglesi: What? Scatti di anzianità invariati? Dare di più (il 30%) solo a vicepresidi e docenti senior? «Il Miur di Giannini-Reggi chiede invece una disponibilità doppia e certa: 36 ore per tutti». Aumentare lo stipendio solo a chi ha delle responsabilità e poi chiedere comunque a tutti 36 ore? Alla faccia dell’equo trattamento!
Ma l’affermazione centrale, che fa da specchietto per le allodole è: «Tutte le ricerche internazionali concordano sul fatto che gli insegnanti italiani lavorano meno, guadagnano meno e non fanno carriera. Vogliamo ribaltare le tre conclusioni». No, le ricerche internazionali di Eurydice e quelle fatte dall’Ocse, come abbiamo già detto qualche giorno fa, dimostrano che: gli insegnanti italiani lavorano poco di meno, in termini di ore contrattuali (le ore di lavoro fuori la scuola fanno lievitare il monte ore), non fanno assolutamente carriera, e guadagnano un terzo in meno rispetto a Paesi come la Spagna che ha un Pil pro-capite basso e, prima di noi, è stata investita da una crisi più grave della nostra.
{tab=Uccidi il precario}
Sul tema delle supplenze brevi si dimostra la mancanza di conoscenza del sistema scolastico di chi scrive: «Oggi ci si affida a chiamate esterne, costose per i bilanci del Miur e ininfluenti sull’apprendimento dei ragazzi». Premesso che l’apprendimento non può essere compromesso da una supplenza breve, “chiama esterna” non significa niente. Sono insegnanti precari, abilitati, che hanno fatto domanda presso quelle scuole, che lavorano e coprono gli insegnanti in congedo. Inoltre le supplenze costano come costerebbe lo straordinario fatto da un docente di ruolo. E poi ancora: «Un prof interno può fare fino a sei ore di straordinario, pagato. Con l’allargamento della disponibilità a 36 ore le supplenze saranno richieste ai docenti già in cattedra nell’istituto senza riconoscimenti economici extra». Il dubbio è: ma con queste 36 ore, gli insegnanti ci devono fare le supplenze? E se devono fare altre cose da contratto (come 36 ore di cattedra, ricevimenti genitori, programmazioni attività didattiche) come fanno a fare anche le supplenze? Ma mettiamo caso che diano in quelle 36 ore la disponibilità per 8 ore di supplenze, e ipotizziamo che non ci siano supplenze da fare, in quei momenti gli insegnante che fanno? Li paghiamo per stare a disposizione?
E ancora: «i percorsi oggi esistenti – Pas, ex Ssis, Tfa […]». Da una parte si cercherà di accelerare lo svuotamento delle vecchie graduatorie (Gae) [Graduatorie ad esaurimento], oggi 154.398 iscritti. Dall’altra spariranno subito le graduatorie d’istituto, cariche di 467 mila precari». Si ma come? Se si aumenta l’orario per ogni singolo docente, e per assurdo sarà tutto orario di cattedra, come si fa ad avere più insegnanti nella scuola?
{tab=Patto senza dibattito}
«Si chiede alle singole scuole di restare aperte oltre le 16,30 arrivando, gradualmente, all’orario 7-22, fino alla fine di luglio». A far cosa? Ma stiamo parlando di scuola o di un pronto soccorso? O una fabbrica? Molte scuole sono già aperte fino alle 16.30 e anche oltre, perché lo richiedono i corsi (esempio le scuole medie con le classi di strumento). Ci sono anche scuole aperte per i corsi serali, ok, ma se non hanno corsi pomeridiani, cosa stanno a fare aperte? Non ci sono dei costi (acqua, luce, riscaldamento)?
L’apoteosi si raggiunge con queste affermazioni: «Si diventerà insegnanti solo con la laurea magistrale (3 anni più 2) e una stagione di tirocinio in classe. Quindi, esame per l’abilitazione: solo gli abilitati potranno accedere ai concorsi». Solo? Come dire: per diventare insegnanti vi complichiamo solo ancora un po’ la vita, vi mettiamo solo un gradino in più, ma è più facile: tranquilli! Prima c’era il concorso dopo la laurea. Poi c’è stata la Ssis, poi il Tfa e il Pas. Il tutto dopo la laurea. Ora: Laurea, tirocinio, esame di abilitazione, e… sarai insegnante solo a patto che tu abbia passato il concorso. Quindi per fare l’insegnante ti serviranno due esami di fatto: forse, visto che sia per l’esame di abilitazione, sia per il concorso, ci saranno bene o male le stesse materie, perché fare in modo che ci siano due scogli da superare? Non è che per caso intendono rendere il tirocinio come qualcosa di “coadiuvato” con gli atenei universitari? Non cambia nulla così…
E per concludere: «Nel dossier si rafforza l’ipotesi del taglio di un anno alle scuole superiori e si immaginano risparmi globali per 1,5 miliardi». Dunque, non solo si darà la possibilità (solo a chi dice il dirigente però eh!) di avere insegnanti con più soldi in tasca, ma avremo anche più insegnanti a lavoro, complicando loro la vita per diventar docenti e levando un anno di scuola nella secondaria di secondo grado. Mi viene in mente un amico elettricista, che quando metteva mano alla tv a tubo catodico, o alla radio a valvole, ogni tanto ci toglieva qualche pezzo, ma stranamente l’apparecchio funzionava comunque.
Il dubbio su chi fa informazione oggi è sempre più forte. Due sono le ipotesi che percorrono la nostra mente: 1) i giornalisti nei grandi giornali di oggi, non hanno le capacità di esprimere un dubbio e, non sapendo proprio di cosa si sta parlando, riportano come le hanno sentite (quando va bene) le cose dette da un politico; 2) nel nuovo modo di concepire i media, il giornalista estrae pezzi (quelli che gli piacciono di più) da comunicati stampa, spesso gli esce male il copia e incolla.
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