di Matteo Ernesto Oi – Sbagliando s’impara. Questa è una delle affermazioni che più mi è rimasta impressa dall’inizio del mio percorso scolastico perché gli errori sono necessari, come afferma Rodari, utili come il pane e spesso anche belli: come la Torre di Pisa.
Appare evidente, quindi, che una didattica che mira alla formazione integrale della persona deve rivalutare il ruolo dell’errore e approcciarsi ad esso con una nuova ottica in cui l’errore non è più stigmatizzato e drammatizzato come un qualcosa di estremamente negativo da sottolineare in rosso o in blu a seconda della gravità da studenti e docenti ma finalizzato alla crescita dell’individuo, inteso come opportunità di revisione e miglioramento del comportamento, del metodo di studio e delle conoscenze nozionistiche. La sfida è dunque affinare un’importante life skill: conoscere a partire dagli errori. Una competenza che va affinata specialmente laddove, al di fuori del contesto scolastico, a certi errori non si può porre rimedio ed hanno conseguenze gravi, dunque, è necessario prima di tutto saper riconoscere gli errori perché non esiste conoscenza libera dalla possibilità dell’errore.
Il primo passo di questa nuova didattica sta quindi nel dedicarsi all’individuazione delle fonti degli errori che si possono insinuare nella stessa comunicazione dei contenuti nozionistici perché qualsiasi comunicazione di messaggi possiede il rischio dell’errore. Noi codifichiamo ciò che ci circonda permettendo al cervello di ricostruire e tradurre, in questo modo percepiamo il mondo, Il linguaggio e il pensiero sono i mezzi attraverso i quali lo interpretiamo e la conoscenza è il frutto di questo lavoro di ricostruzione e traduzione in questo processo, dove già gli errori percettivi minano la conoscenza, s’intreccia la sfera emotiva sogni, paure e desideri che diventano proiezioni che moltiplicano la possibilità di sbagliare e certamente non è neanche possibile interpretare il mondo senza le emozioni nella misura in cui costituiscono le motivazioni intrinseche che ci spingono all’apprendimento e alla ricerca.
Proprio qui si vede il coraggio della pedagogia di fare quel balzo in avanti, come anche affermato dal Pedagogista Morin nei “Sette saperi necessari all’educazione del futuro”, e assumere piena consapevolezza della condizione umana nel processo educativo. Perché la nostra mente è densa di forze irrazionali e inconsce con le quali costruiamo la nostra idea del mondo e proprio per questo motivo cadiamo nel naturale errore di mentire a noi stessi: l’egocentrismo, l’autogiustificazione, la proiezione sugli altri delle cause dei nostri mali i meccanismi di difesa con i quali selezioniamo i ricordi gradevoli e nascondiamo quelli dolorosi leggendo a volte anche il passato attraverso falsi ricordi, falsando la nostra memoria. Proprio forse per questa nostra fragilità sentiamo il bisogno di una dottrina o di una teoria a cui far riferimento anche a costo di proteggerne gli errori e le illusioni perché il bisogno di renderle invulnerabili è troppo forte basti pensare alle millenarie convinzioni che sono presenti nella storia dell’uomo come il geocentrismo e la radicata idea di un pianeta piatto.
Il potere delle dottrine, delle credenze, delle verità e dei paradigma, quei processi di selezione delle idee, determina idee accettate senza alcuna verifica come gli stereotipi cognitivi e gli imprinting culturali che influenzano l’uomo fin dalla nascita all’interno di una determinata cultura familiare, seguiti da quelli scolastici e professionali.
L’errore quindi è anche nelle nostre idee che non sono strutturare per aprirsi al nuovo perché quando arriva non siamo pronti a rivedere la nostra visione del mondo.
La conoscenza deve quindi essere vissuta come qualcosa di incerto e l’educazione ha il compito di individuare gli interrogativi sulle nostre possibilità di conoscere. E’ evidente un conseguenziale ripensamento del processo di valutazione scolastica, anch’esso soggetto ad errori di molteplice natura, poiché se l’errore non è più concepito negativamente ma come un trampolino di lancio è indispensabile esprimere la valutazione attraverso un giudizio sintetico su una singola prova o sul percorso complessivo con la quale lo studente può comprendere con spirito critico quelli che sono stati i suoi errori e migliorare perché “errare humanum est”.
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