Gaza: 500 morti, 3400 feriti ad oggi. Tanti osservatori, nessuno che fermi la strage

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gaza-bambine 350-260di Antonella Necci – I bollettini di guerra lasciamoli ai giornali di grande tiratura. Il New York Times ha stilato una mappatura degli atti dell’eccidio nella Striscia di Gaza suddividendoli giorno per giorno, ed indicando le perdite da entrambe le parti, come se fosse una serie di partite di football americano dove, invece della Coppa dei Campioni, c’è in palio la libertà di vivere a casa propria.
In Italia i media ci presentano quotidianamente l’eccidio di genti che giungono su barconi mal guidati e trasbordanti, contenenti corpi morti e vivi, mentre ognuno felicemente si accinge al pranzo o alla cena. Momenti di dolore immenso che passano sulle nostre teste, ma che non ci toccano, o scalfiscono solo superficialmente le nostre corazze.
Sappiamo, perché ce l’hanno raccontato, che la guerra è morte, sicuro, ma soprattutto paura. Chi si trova in crisi depressiva in questo momento farebbe bene ad abbandonare i limiti del proprio egoismo, e trascorrere un felice weekend di paura nella striscia di Gaza.
Sono sicura che ne uscirebbe, con un po’ di fortuna, di certo fortificato, e convinto che nel mondo esistono situazioni ben peggiori delle mancanze che, l’uomo occidentale medio, reclama come diritti irrinunciabili.
Essere un bambino a Gaza, significa morire per la propria patria. Giochi elettronici e non, uniti ad armi da guerra su cui esercitarsi. Saper distinguere i propri nemici e sapere come combatterli, senza tanti giri di parole. Le parole non servono. Non si può trattare se la tua casa è stata distrutta. Non c’è nessuna commissione diplomatica che te la possa far ritornare in piedi, insieme al tuo piccolo mondo andato in frantumi. I tuoi parenti, quando non i tuoi genitori, non ritorneranno con urla e pianti. Non si torna indietro. Non siamo in un film dove le scene possono essere riviste più volte o si può saltare ciò che non ci piace. L’amaro calice di dolore si deve bere tutto fino in fondo, e sperare di ricominciare a vivere in fondo al tunnel. Ma non in fondo al tunnel della Striscia. Li ti aspetta l’artiglieria israeliana. Invisibile,nascosta, pronta all’agguato. Nessuno può prevedere dove colpirà. Nessuna sirena può suonare ad avvisarti.gaza 350-260Se il tuo nemico è di fronte a te puoi solo sperare di non morire. Di finire in uno dei tanti ospedali al collasso della Striscia, sperando che qualcuno si impietosisca e ti trasporti altrove. In un posto asciutto, pulito,dove il silenzio e la pace ti permettano di restare solo con i tuoi pensieri di bambino cresciuto in fretta.
Perdonate la mia retorica, le frasi fatte, le immagini trite e ritrite che spesso si adoperano per descrivere amare realtà. Perdonatemi di essermi malamente voluta immedesimare in un bambino palestinese, il cui volto si perde nella folla di tanti bambini guerrieri. Perdonate e andate pure avanti nelle vostre vite fatte di gioie e dolori. Perché tanto Gaza non siamo noi. Gaza è lontana. Gaza non è la mia città. E mio figlio gioca tranquillo senza sapere cosa accade nel mondo. Qui siamo al sicuro. E io non sono Palestinese.

21 luglio 2014

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ByAntonella Necci

Sono Antonella Necci nata a Roma vivo a Roma e insegno lingua e civiltà inglese in un liceo ad indirizzi classico e linguistico. Sono appassionata di storia e filosofia ma voglio provare ad iscrivermi nuovamente all'università. Ho intenzione di ricominciare a studiare per diventare medico, se mi riesce. È sempre stato il mio sogno ma per pigrizia non mi sono voluta misurare con il lavoro da affrontare con la facoltà di medicina.Cos'altro aggiungere? Non mi piace parlare di me!Ah una cosa però la voglio dire: il mio regista preferito è Ken Loach e spero tanto che vinca la Palma d'oro a Cannes visto che presenta un film di connotazione prometeutica!

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