Post di Nadeia De Gasperis pubblicato il 22 luglio sulla sua pagina di Facebook – In due avranno almeno 150 anni, gli anni dell’Italia unita, ma in una congiunzione molto meno astratta.
Ma diresti che sono la metà, che hai visto doppio, per quella emozione liquida negli occhi che moltiplica le immagini.
Diresti che sono la metà, per quella forma sbarazzina che non si addice a una storia ultrasecolare, per quella ottusa presunzione dei giovani, che nega la lungimiranza dei sentimenti .
Hanno condiviso nel bene e nel male molto tempo, immagino. Il bene è l’intuizione che li spia, il male è lo spazio che occupano ora, che siamo seduti nel limbo di uno studio medico. Si sa, in una clinica si condivide il bene solo in una occasione, tra tutte quelle “concepibili”.
Sembrano la metà degli anni, perchè l’immaginario comune, con poca fantasia vuole che la passione pulsi in come una stella cadente, decadente, spegnendosi attraversando strati di tempo, e invece nessuno si è accorto che la luce è spenta e loro sono una supernova, non un sistema di stelle doppie, ma una unica grande stella, che in pochi minuti può emettere più luce dell’intera galassia, quella galassia che ora sta girando attorno ai soliti argomenti, il tempo, il maltempo, i malanni. La moglie di qualcuno, che in una specie di regressione, o avanzamento di grado, chissà, parla dei problemi di salute del marito, come se quello fosse un bambino, o peggio, come se fosse altrove. E loro continuano a scambiarsi tenerezza, una carezza sul capo, mentre una televisione manda un rotocalco estivo in cui si prepara “il vero caffè napoletano”. Mentre lui ha chiuso gli occhi, lei lo accarzza in viso, così apre gli occhi e le sorride, come rassicurato di un patto atteso col destino: svegliarsi per sempre con quella immagine negli occhi,
Gli dice, passandogli la mano nei capelli “adesso ci vorrebbe proprio un bel caffè, vero!?”. Lui dice: “lei scrive le poesie”, ma guarda lei, non guarda noi. Si fa silenzio, come su una indecenza buttata nel cerchio.
Ma poi il chiacchiericcio si ripristina in fretta a coprire l’imbarazzo di quella intimità, come i veli sulle nudità del Michelangelo. Si scambiano un sorriso di complicità che si sparpaglia intorno, così gratuito, come una pioggia di foglietti d’oro sulla miseria, come una felicità urlata che non deve raggiungere nessuno, declamata a voce alta, solo per saperla più vera. Lui aggiunge piano “dovreste sentire quanto sono belle”.
Così insieme, aspettano un reposnso, non sono preoccupati, vedrai, di sicuro è una cosa benigna, che cresce piano, come una profonda complicità.
Foto: In due avranno almeno 150 anni, gli anni dell’Italia unita, ma in una congiunzione molto meno astratta.
Ma diresti che sono la metà, che hai visto doppio, per quella emozione liquida negli occhi che moltiplica le immagini.
Diresti che sono la metà, per quella forma sbarazzina che non si addice a una storia ultrasecolare, per quella ottusa presunzione dei giovani, che nega la lungimiranza dei sentimenti .
Hanno condiviso nel bene e nel male molto tempo, immagino. Il bene è l’intuizione che li spia, , il male è lo spazio che occupano ora, che siamo seduti nel limbo di uno studio medico. Si sa, in una clinica si condivide il bene solo in una occasione, tra tutte quelle “concepibili”.
Sembrano la metà degli anni, perchè l’immaginario comune, con poca fantasia vuole che la passione pulsi in come una stella cadente, decadente, spegnendosi attraversando strati di tempo, e invece nessuno si è accorto che la luce è spenta e loro sono una supernova, non un sistema di stelle doppie, ma una unica grande stella, che in pochi minuti può emettere più luce dell’intera galassia, quella galassia che ora sta girando attorno ai soliti argomenti, il tempo, il maltempo, i malanni. La moglie di qualcuno, che in una specie di regressione, o avanzamento di grado, chissà, parla dei problemi di salute del marito, come se quello fosse un bambino, o peggio, come se fosse altrove. E loro continuano a scambiarsi tenerezza, una carezza sul capo, mentre una televisione manda un rotocalco estivo in cui si prepara “il vero caffè napoletano”. Mentre lui ha chiuso gli occhi, lei lo accarzza in viso, così apre gli occhi e le sorride, come rassicurato di un patto atteso col destino: svegliarsi per sempre con quella immagine negli occhi,
Gli dice, passandogli la mano nei capelli “adesso ci vorrebbe proprio un bel caffè, vero!?”. Lui dice: “lei scrive le poesie”, ma guarda lei, non guarda noi. Si fa silenzio, come su una indecenza buttata nel cerchio.
Ma poi il chiacchiericcio si ripristina in fretta a coprire l’imbarazzo di quella intimità, come i veli sulle nudità del Michelangelo. Si scambiano un sorriso di complicità che si sparpaglia intorno, così gratuito, come una pioggia di foglietti d’oro sulla miseria, come una felicità urlata che non deve raggiungere nessuno, declamata a voce alta, solo per saperla più vera. Lui aggiunge piano “dovreste sentire quanto sono belle”.
Così insieme, aspettano un responso, non sono preoccupati, vedrai, di sicuro è una cosa benigna, che cresce piano, come una profonda complicità.
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