di Antonella Necci – La morte di Marco Pantani mi giunse in un freddo giorno di febbraio in cui mi trovavo a Torino, città a cui sono molto legata, e non solo per questioni sentimentali. Giunse come un fulmine a ciel sereno poiché i fatti narrati in tv e sui giornali parlavano di un campione stanco,arrabbiato con il mondo, ma soprattutto con se stesso per non essere uscito dal tunnel in cui era finito. Parlarono di un uomo che si era suicidato, troppo debole per reggere alla pressione dei media, che prima lo avevano osannato e che ora lo facevano a pezzi senza pietà. E il suicidio, o presunto tale, era giunto nel giorno di San Valentino, giorno della commercializzata “festa degli innamorati”.
All’epoca la vicenda creò molta amarezza, perché un campione come Marco Pantani era una perla rara, in uno sport che rappresenta il senso di abnegazione allo stato puro. Un vero “pirata” che aveva corso e vinto ovunque. Un grande, nonostante la sua statura minuta.
Sapere oggi che il suo caso è stato riaperto e che il presunto suicidio è diventato omicidio volontario, mentre la Procura di Rimini ha aperto un fascicolo contro ignoti, non fa altro che riaprire una vecchia ferita. Chi avrebbe desiderato uccidere un campione ormai sulla strada del tramonto, nonostante la giovane età? Quali misteri si celano dietro al Residence Le Rose, dove lui si era rintanato, dopo aver litigato con la sua famiglia e con la sua manager? Chi aveva ricevuto e che nessuno alla reception aveva visto entrare?
La svolta tanto attesa – racconta La Gazzetta dello Sport–è maturata negli ultimi nove mesi: l’avvocato Antonio De Rensis, per conto dei Pantani, ha accumulato una serie impressionante di contraddizioni e anomalie, studiando i faldoni sia delle indagini, sia quelli relativi al processo. Non solo, il salto di qualità è arrivato con fondamentali indagini difensive (risentendo diversi testimoni chiave dell’epoca) e avvalendosi di una perizia medico-legale eseguita dal professor Francesco Maria Avato (lo stesso che ha contribuito a far riaprire dopo 23 anni il caso Bergamini, il calciatore ‘suicidato’)”
La madre di Pantani ha sempre sostenuto che il figlio non si fosse suicidato, ma i suoi, all’epoca, furono considerati semplici sfoghi.
Che poi tanto semplici non erano. Infatti che qualcosa non quadrasse “a pennello” nelle ricostruzioni si è sempre detto e scritto. Libri, interviste e inchieste giornalistiche, nel tempo, hanno messo in fila circostanze, fatti e dettagli in contraddizione tra di loro, se non letteralmente privi di senso. Ed è proprio partendo da quei dettagli che le indagini difensive sono ripartite per arrivare poi, dopo mesi di lavoro, sentiti i testimoni e interpellati i professionisti, a una conclusione ritenuta “oggettivamente molto più plausibile” di quella sino ad oggi ufficiale. Quella, appunto, che la procura ha qualificato nell’ipotesi di omicidio.
Ma è sicuramente uno scenario doloroso quello che si sta riaprendo, poiché, se da un lato i familiari potranno forse trovare una risposta alle tante domande che si saranno posti in questi lunghi dieci anni, siamo tutti consapevoli che niente potrà riportare in vita questo grande campione.
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