di Ivano Alteri – La polemica sorta a seguito della proposta Fioroni d’intitolare la Festa nazionale dell’Unità a De Gasperi, ha per l’ennesima volta messo in rilievo le tare genetiche del Pd che, secondo la sintetica definizione dalemiana, resta un “amalgama non riuscito”.
Il Pd è nato con l’obiettivo esplicito di mettere insieme le due radici storico-cultural-politiche del cattolicesimo democratico e dell’esperienza marxista in Italia. Se il Pd avesse operato coerentemente con l’enunciato originario, ora risulterebbe del tutto normale ricordare, in una sua festa politica, la figura del grande dirigente della Dc. E invece la proposta fa scandalo, a sei anni dalla nascita del partito, come se nel frattempo nulla di politicamente rilevante fosse accaduto. E così è, in effetti. Se si esclude, infatti, tutto ciò che di perfettamente incoerente è stato fatto in questi anni, non resta niente altro. Solo da un’illustre dirigente del partito, Rosy Bindi, abbiamo sentito dichiarare l’eloquente “io so perché sono qui”; dagli altri, solo qualche richiamo all’appartenenza, come quello desolante di D’Alema che, a fronte della vittoria di Renzi, ha dichiarato: “Dobbiamo riprenderci il partito”. Così, di tattica in tattica, di furbata in furbata, si è trasformato un ambizioso e coraggioso progetto politico di ampio respiro strategico in un’imbarazzante accozzaglia di correnti turbolente, all’arrembaggio della cosa pubblica.
Ma il danno più grave che si è procurato alla politica e al Paese è aver consentito la nascita di una classe dirigente (per fortuna non tutta) avvezza esclusivamente alla ricerca indefessa di incarichi istituzionali e di partito, prebende da sottobosco politico, relazioni affaristiche, carrierismo a go go, cinismo, disinvoltura nella gestione della cosa pubblica, sdoganando il peggio del berlusconismo, meglio di quanto abbia saputo fare Berlusconi stesso. Una classe dirigente spesso senza anima, senza cultura politica, senza memoria, senza remore nei confronti di chi ha dato l’anima per quel partito, ha preso le redini dell’unico partito rimasto in Italia.
Tutto questo, ovviamente, dopo aver accuratamente messo alla porta tutti quei disturbatori poco inclini alla genuflessione questuante in uso tra i cortigiani. E qui si rintraccia, duole dirlo, un elemento di verità spesso occultato: l’esclusione dall’attività di partito di quegli spiriti critici, non accondiscendenti, refrattari al dirigismo pseudo elitario, più propensi alla battaglia incerta che allo scambio sicuro per interesse personalistico, non è avvenuta a seguito della nascita del Pd e dell’ingresso dei vituperati “democristiani”, ma ben prima, ad opera dei sedicenti ex comunisti; ai quali, il salto repentino dalla quinta fila alla prima, come spesso accade, ha obnubilato il cuore e la mente. Gli amari risultati sono sotto i nostri occhi.
Lo scandalo vero, dunque, non è che Fioroni proponga al Pd di coltivare la memoria di De Gasperi, ma che dopo tutti questi anni, un partito che avrebbe memorie da vendere, non può vantarne nessuna; non De Gasperi, certo, ma neanche Togliatti, e neanche il tanto citato Berlinguer, per non parlare di Gramsci. Forse, allora, è da considerarsi perfettamente coerente, senza alcun paradosso, organizzare una Festa dell’Unità, col cadavere dell’Unità ancora caldo.
Frosinone 25 agosto 2014
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