di Antonella Necci – Da Palazzo Chigi, ormai sede di un governo da molti definito autoritario, si sta ventilando l’introduzione di un nuovo “codice etico” per i dipendenti della Presidenza del Consiglio dei Ministri, che potrebbe prevedere persino il licenziamento, qualora detto “codice” non fosse rispettato.
Un “codice etico” che sa molto di Stato Etico di fascista memoria. Un “codice etico” che, come nel periodo mussoliniano, prevede fra le altre cose l’obbligo da parte del dipendente di dichiarare l’appartenenza a qualsiasi associazione, anche riservata, esclusa l’appartenenza a partiti e sindacati (che, però, ricordiamolo, sono le uniche associazioni che non possiedono personalità giuridica).
Sulla base di questo codice etico tutto da definire, e applicabile addirittura agli stessi appartenenti del Consiglio dei Ministri, ci sorge spontanea la domanda: è adatto Matteo Renzi al compito che si è preso?
Sembra che si stia avvicinando il tempo di farsi anche su di lui la domanda che ha dannato tanti altri premier italiani, e non solo, in questa crisi che dura da ormai sei anni.
Diamo per scontato la risposta da parte delle artiglierie dei Renzi-fans, diventati oggi così radicali e insultanti da far sembrare i grillini dei perfetti gentiluomini. Intorno all’inquilino di Palazzo Chigi si è formato infatti un dogma di “infallibilità”, una narrativa che passa da trionfo a trionfo , una vulgata del genere “durerà venti anni”, il mantra “a lui non c’è alternativa” ripetuto da amici e ancor più da nemici. In una sorta di sindrome di Fukuyama, autore de “la fine della storia”, presto smentito dalla storia stessa.
Un leader tuttavia dura tanto quanto è efficace la sua azione di governo. E al momento Matteo Renzi , a dispetto dei molti fuochi d’artificio che circondano la sua persona, è in un punto molto critico della sua forza politica.
Non è questione né di immagine né di buone maniere, di cui nulla interessa ai più. Si tratta di risultati – materia che rimane molto ostica per il giovane presidente.
Fa testo per questa inadeguatezza il percorso di preparazione e le conclusioni del primo Cdm d’autunno – insieme sono purtroppo la fotografia di un governo segnato dalla approssimazione amministrativa. Abbiamo assistito a vicende incredibili, che per qualunque altro esecutivo sarebbero state stroncate sul nascere.
Surreale il percorso della riforma della scuola. Non c’è nulla di meno serio di un premier che, su un argomento così delicato per le famiglie e le decine di migliaia di lavoratori del settore, non lavori insieme al suo ministro; un premier che pochi giorni prima di proporre questa riforma scenda in campo con pirotecniche affermazioni tipo “vi stupirò”, salvo poi ritirare l’intero progetto evidentemente non pronto, con la flebile scusa dell’ingorgo.
Surreale anche il percorso della riforma del lavoro, che ha subito lo stesso travaglio di quella della scuola, con un ministro, Poletti, che un giorno annuncia, un giorno nega quel che ha detto. E il riemergere di un tema, l’abolizione o meno dell’articolo 18, che ha a lungo diviso il paese, e che certo meritava di essere trattato, non fosse altro per capire cosa ne pensa il governo, e che è stato però seppellito sotto un aggettivo, in questo caso “superato”.
Ma se la voce lavoro è dispersa, la voce giustizia, la più delicata da vent’anni a questa parte, è finita dritta dritta di nuovo nelle secche dello scambio politico, irretita nelle fibrillazioni della maggioranza e delle preoccupazioni di Silvio Berlusconi. Stesso destino per le risorse fresche, i milioni promessi per il rilancio dell’economia, passati da 43 miliardi, oppure 30, e altre cifre vaganti, fino a giungere a 3,8 miliardi.
Nel complesso, persino le azioni giuste, che riguardano soprattutto la semplificazione normativa, sbiadiscono in rapporto a tutta la retorica dei mesi passati – Renzi, ricordate, è lo stesso leader che solo sei mesi fa accusò il suo predecessore Enrico Letta di usare “il cacciavite” laddove, disse, per cambiare l’Italia ci voleva “una rivoluzione”. Altro che cacciavite – al suo primo incontro con il mondo reale della vita dei cittadini Renzi ci è sembrato un apprendista alla manutenzione.
La nomina della Mogherini a Lady Pesc sembra segnare invece l’azione internazionale del premier di ben altra caratura di quella mediocre nazionale. Quella nomina, va detto con chiarezza, è un indubbio successo, e la Mogherini non è né giovane – solo in Italia si è giovani a 40 anni – né inesperta.
Ma, come in Italia, così a Bruxelles non è stato pronunciato nessun discorso di contenuti che abbia accompagnato la nomina. Non sappiamo oggi più di ieri perché sia stato chiesto il posto di Lady Pesc. Perché si voglia creare un nuovo deterrente contro la Russia, perché temiamo una seconda guerra fredda, perché si pensa che solo noi Italiani possiamo essere un ponte fra russi e Occidente, perché si pensa che i russi possano aiutarci in Medioriente – o forse sono essenziali solo a noi italiani perché così abbiamo una leva in più in Occidente? Di quale di queste opzioni si tratta? Esattamente per cosa ci batteremo sul cosiddetto scacchiere mondiale? Siamo con Kissinger che chiede di ridefinire tutti gli strumenti di intervento, siamo per definire una nuova frontiera occidentale, siamo per un ribaltamento di alleanze in Medioriente, o per nuovi fronti militari? Siamo per i diritti umani o per la realpolitik? Siamo per bombardare Isis con Assad, e l’Iran, e vogliamo pagare per gli ostaggi, o liberarli impiegando le forze speciali? Insomma cosa pensa Renzi, premier del nuovo mondo? Per ora abbiamo soltanto sentito ripetere la parola”mediazione” a ogni angolo. E ” codice etico” di dubbia natura.
Speriamo che basti.
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