di Antonella Necci – La distopia* che contraddistingue il concetto di bene e male si basa su poche opinioni, ma importanti ai fini della sua definizione.
Quando Totò Riina, nel parlare di don Luigi Ciotti, lo definisce “cattivo”, “malvagio”, propone il personale concetto di cattiveria come l’unico universalmente riconosciuto.
Essere cattivi per Totò Riina significa aiutare i deboli, gli indifesi, i sofferenti. Coloro che non riescono ad emergere per conquistare una dignità, e che per questo possono essere utilizzati per le opere di bene che il boss dei boss ordina di eseguire.
Per un boss della mafia, dunque, il concetto si associa a quelle azioni che interferiscono con le sue idee di ordine sociale, di gerarchia, della stessa generosità.
Il buono, viceversa, sta nella capacità di asservire il prossimo ai propri scopi, in una egoistica e utilitaristica visione del mondo. Sulla base di questa distopia, la malvagità di don Ciotti va fermata, poiché l’ adamantina cattiveria di dire ” NO” all’egoismo e alla voglia di sopraffare non solo le maglie tentacolari della mafia, ma di tutti i poteri forti, é essa stessa vista come egoismo.
La logica ferrea di questa visione della vita non appartiene solo al capo di tutti i capi, che proprio alla vigilia dell’intento della Chiesa di beatificare don Pino Puglisi, commenta con amarezza l’opera del defunto sacerdote di Brancaccio, e associa il suo passato operato a quello dell’altro suo avversario, don Ciotti, appunto.
Che sia un prete a far rigirare sottosopra la visione del mondo di un capo mafioso é un’impresa che si può equiparare a quella di un Davide mandato a riscattare gli umili che combatte contro un Golia i cui poteri non sono per nulla indivisi.
Ma é, nel contempo, la visione del mondo anche dei poteri così definiti forti, che tale logica dovrebbero contrastare e che invece assecondano, o flebilmente contrastano, senza mai avere la forza di dire, forte e chiaro “NO, noi al vostro gioco non ci stiamo, noi non vogliamo scendere a patti con voi”.
Le parole che dovrebbero risuonare forti e decise, escono fuori incerte e timide come quelle di chi sa che così va il mondo e che ciò che è giusto può diventare sbagliato, se la prospettiva da cui si guardano gli avvenimenti non è quella che il potere predispone.
Questo avrà dovuto pensare il ministro degli interni, Angelino Alfano, quando ha avuto tra le mani l’intercettazione ambientale che trattava del colloquio di Totò Riina con l’altro grande capo pugliese Alberto Lorusso, boss che scrive pizzini criptati addirittura in fenicio. In quella conversazione Riina esprime il desiderio di porre fine all’operato di don Ciotti.
Il ministro Alfano si sarà trovato, appunto, davanti alla possibilità di scegliere da quale prospettiva vedere e affrontare la situazione, e la scelta sarà evidentemente caduta sulla prospettiva del tacere, evitare, tergiversare. Dal 13 Settembre 2013 ad oggi sono passati circa 11 mesi. Un lasso di tempo piuttosto lungo per far sapere a qualcuno che la propria vita è in pericolo.
Ma qual’è l’ordine delle cose, e quale importanza si da alla vita umana? Questo io mi chiedo. E questo si dovrebbero chiedere tutti, se solo esiste ancora in ognuno di noi il concetto di ciò che davvero é bene e ciò che é da considerarsi il male.
Distopia: Utopia al contrario; situazione, condizione futura presentata e descritta come negativa, sgradevole e non auspicabile in alcun modo,
Tra l’utopia e la distopia non c’è un rapporto di contraddizione; tutt’altro. Innanzitutto la distopia e l’utopia, secondo un’interpretazione letteraria di questi due fenomeni, appartengono entrambe ad un particolare filone della fantascienza a sfondo sociale, che descrive tanto luoghi immaginari dove regna il benessere e la felicità (utopia), quanto terribili ipotesi di mondi futuri invivibili (distopia). Ma l’utopia e la distopia sono legate anche a livello filosofico; l’immagine della città nuova vagheggiata dagli utopisti si unisce alla narrazione della società perversa della distopia, componendosi del medesimo slancio. In altre parole alla base di questi due atteggiamenti c’è la denuncia di una realtà avvertita come dolorosa e oppresiva e la sollecitazione costruttiva a porvi rimedio attraverso l’esercizio della ragionevolezza.
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