di Ivano Alteri – “Il partito è stato davvero per me come una madre, una madre esigente e possessiva, che ti stringe al seno con affetto geloso ed esclusivo, alla quale dai tutto e non chiedi niente. Come ogni bambino la ritieni immortale e rifiuti con rabbia di riconoscere i segni della sclerosi che ne accompagnano l’invecchiamento. Poi, quando muore, continui ogni giorno a portare fiori sulla tomba, ripensando con nostalgico risentimento quando era giovane, bella e con piglio severo decideva per te. Ora che non c’è più, fai fatica a perdonarle di averti lasciato solo”. Quelle che precedono sono parole scritte da Ludovico Testa, comunista e partigiano, nel suo “La vita è lotta-Storia di un comunista emiliano”, Ed. Diabasis 2007. Le abbiamo riprese perché ci sembra diano un’idea chiara di cosa significassero i partiti, solo qualche decennio fa, per gli uomini e le donne di questo paese. Ci può essere utile per fare un confronto con la situazione attuale, in cui, tra i più umili iscritti come tra i più alti dirigenti, non è raro riscontrare atteggiamenti strumentali nei confronti del partito, finalizzati a piegarlo verso scopi esclusivamente personali.
Infatti, oggi può capitare di leggere su facebook, sulla pagina pubblica di uno dei cortigiani di un politico piddino, il post di un ragazzo che, rispondendo all’invito del cortigiano ad aderire al partito, letteralmente si esprime così: “X (nome del cortigiano) io vengo! Basta ke poi qualcuno mi dia una mano a trovare un lavoro! Y (nome del politico del Pd) può ???? Potere è volere! Senno’ che cambiamento è ????”. Tralasciando per rispetto della grammatica ogni considerazione di ordine stilistico, il cambiamento, per questo ragazzo, è trovare una buona raccomandazione per sé; tutto il resto, è fuori dai suoi interessi; il mondo, non rientra nella sua ottica; il suo orizzonte non va al di là del suo naso. Purtroppo per lui, un tale cambiamento non riuscirà mai a colmare la povertà della sua testa, ammesso che riesca a colmare quella della sua tasca. Ma anche per il cortigiano non significa molto di più: avere adepti affamati da offrire al politico come pacchetto di voti in cambio della propria personalissima carriera. Per il politico, rappresenta l’opportunità di raccattare qualche voto per sé, utile a soffiare all’antagonista il posto al vertice del potentato locale.
Quel ragazzo, il cortigiano, lo stesso politico, sono rimasti senza “madre”, in un abbandono desolante, fatto di ineducazione alla responsabilità della vita in comune, di egocentrismo, egoismo, vanagloria, presunzione, arroganza; ma anche spaesamento, ansia, incertezza, perdita di senso, solitudine, paura. È questo l’esito finale, per ora, della degenerazione dei partiti del Novecento, nati dall’antagonismo maturo tra Capitale e Lavoro, morti col crollo del Muro di Berlino e dell’Urss, spesso nel discredito generale. Era inevitabile? Non sapremmo dire con sicurezza; certo è che i sintomi di quella “sclerosi” che ne ha accompagnato l’invecchiamento erano stati diagnosticati e sistematizzati per tempo in quella riflessione berlingueriana passata alla storia come “questione morale”, oggi superficialmente ridotta a “questione penale”, a riprova della povertà dei tempi.
Ludovico Testa fremerebbe di sdegno, nel vedere lo svuotamento di senso cui è stato sottoposto quel ragazzo e la sua generazione di cittadini. Il ragazzo, probabilmente, non saprà mai quale alto senso dell’esistenza abbia riempito, invece, la vita di Ludovico Testa e di quelli come lui.
Frosinone 3 settembre 2014
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