di Ignazio Mazzoli – La settimana che si è chiusa domenica 14 settembre è stata sicuramente molto significativa. Migliaia di fiaccole contro lo scempio della sanità pubblica sono sfilate nella serata di giovedì scorso percorrendo le vie del capoluogo. Un plauso agli ispiratori. Il martedì precedente abbiamo raccolto e dal COCIDA e da associazioni che operano a tutela dei diritti dei cittadini, importanti e determinati pronunciamenti di lotta contro i soprusi di chi privatizza la gestione dell’acqua libera in questa provincia con risultati disastrosi sul piano dei costi e della mancata efficienza. Questo giornale ne ha dato puntualmente notizia perché ha colto una nuova energia di voglia di reagire per far sentire la propria voce.
Tuttavia non solo di questo di tratta, perché le cronache giornaliere dell’informazione hanno continuato a occuparsi delle discussioni interne ai due principali partiti presenti sulla scena politica in questa provincia, il PD e FI impegnati esclusivamente a occuparsi di candidature per il futuro nuovo consesso provinciale, assemblea elettiva di secondo grado.
Ci pare di non dovere sfuggire a una valutazione che è richiesta anche dalle notizie non propriamente locali come quelle che c’informano dell’azzeramento della segreteria regionale del PD voluto dal suo segretario Fabio Melilli. Cade quest’organismo sulla discussione per la lista dei candidati, appunto sempre, per il consiglio provinciale, questa volta di Roma.
La domanda che ci sovrasta ormai è una sola. Chi raccoglie la protesta che nasce ormai spontanea e chi a questo malcontento sa dare una risposta? Portare migliaia di persone in piazza a Frosinone e ovunque è un atto insieme di manifestazione di disagio, ma anche di speranza che quelle voci siano ascoltate e meritino di ricevere una risposta.
Non c’è alibi quando tanta gente di ispirazione diversa sente il bisogno di unirsi per dire con decisione il proprio malcontento. Non c’è alibi né affermando che erano di tutti i partiti, anche di destra, non ci sono alibi dicendo che ci pensano le Istituzioni, la Regione e altre ed i loro rappresentanti. Se ci sono tutti in piazza senza distinzione di credo politico si tratta di un segnale straordinario da ascoltare con molta più attenzione. E’ una ragione in più per prendere in considerazione la protesta. Questa ha smosso anche le acque della politica? Macché!
Chi la prenderà in considerazione? Chi passa le giornate a stabilire la propria forza dentro un partito come avviene nel PD, ma non solo o la protesta diventerà rabbia? Si rabbia perché se non ci saranno risposte e i bisogni si faranno più forti la parola può lasciare il posto all’urlo della disperazione.
La protesta ha sempre bisogno di un interlocutore. Questo oggi manca. In questi giorni molti giovani hanno riscoperto vecchie pagine di giornali che riportavano notizie sull’autunno caldo del 1969. Un poderoso movimento che dalle fabbriche di tutta Italia dilagò a tutti gli strati sociali del Paese e diede vita a straordinarie conquiste in fatto di diritti del lavoro, della sanità in primo luogo, ma non solo. Come fu possibile questo balzo di civiltà? Un poderoso schieramento di partiti (Pci, Psi, parte della Dc) seppe comprendere, stando dentro quei movimenti, e seppe dare nelle Istituzioni le opportune risposte di cambiamento che quelle proteste rivendicavano.
Oggi tutto questo non c’è. Si pensa davvero che basti una senatrice che minaccia chi dirige la Asl per cambiare qualcosa nella sanità? Oppure si ritiene sufficiente che ci siano i sindaci presenti a una manifestazione, fatto sicuramente encomiabile rispetto a tante assenze ingiustificate, perché qualcosa cambi nella linea delle Giunta Regionale e del suo Presidente Zingaretti?
Una parabola può aiutarci a spiegare. Un giorno un uomo pescando lungo un fiume, si accorge che una donna sta affogando, accorre in suo aiuto e la salva. Con la stessa generosità salva altri malcapitati finché muore lui, annegato. Un altro coraggioso si cimenta in quest’opera finché non decide di risalire il fiume e scopre che 300 metri più in alto un uomo forzuto continuava a buttare le persone in acqua. Morale, il primo buono e coraggioso si era concentrato sull’effetto del problema, Il secondo aveva capito che bisognava trovare la causa del problema. Stiamo tutti in difficoltà, grave, perché ci stanno facendo ragionare sugli effetti dei problemi non sulle cause. La prima di esse è l’imposta austerità e la pervicacia di quei partiti di governo che nei fatti la adottano pur rifiutandola a parole.
Far individuare le cause e lotta per rimuoverle sarebbe compito di un partito o di partiti seri. Era possibile leggere in un dibattito su Facebook questa esclamazione (mi pare del signor Toni Pirone) «Come si fa a pensare anche solo per un secondo che sia stato questo partito (il PD ndr) a ricevere il voto del 40% degli italiani e non la disperata volontà di aggrapparsi alla speranza fornita dall’ultimo salvatore della patria apparso sulla scena politica?»
Un partito degno di questo nome è un’istituzione complessa, assai complessa, non la somma di eletti come pare che la pensi qualche dirigente del PD locale quando magnifica il ruolo dei sindaci, pur bravi con tanti voti e neppure la semplice somma di singole volontà per quanto numerose.
Un partito persegue un’idea, un progetto e tutti s’impegnano per quegli obiettivi se gli organismi dirigenti sono in grado di finalizzare ogni azione all’ispirazione principale.
In particolare il PD ciociaro, i suoi iscritti dovrebbero convincersi che arroccarsi nella difesa di un “accordicchio” (come ormai lo chiamano in tanti) è come voler raccogliere risultati da colture geneticamente modificate ai cui semi sia stato applicato il Gene Terminator. Sono sterili. Sterile è, infatti, quell’accordo perché imbriglia l’intera possibile dialettica interna in un dualismo di correnti che impedisce ad ogni intelligenza di potersi esprimere liberamente. Citando e parafrasando ancora quel post di prima bisogna “riconoscere lo stadio terminale della malattia che dilania il simulacro di un partito ridotto a una guerra tra bande su ogni territorio e per ogni millimetro di supposto potere”. Come li chiama Ivano Alteri, «sono Piccoli Partiti, “contendibili” da sedicenti leader, ma non “fruibili” dai cittadini; ridotti a comitati elettorali al servizio del capo; le cui regole sono alla mercé degli agguerriti capicorrente, in lotta per i ghiotti strapuntini forniti generosamente dal potere economico.».
16 settembre 2014
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