La Brexit è soprattutto un voto contro l’austerità e le diseguaglianze

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scottish 350 260di Daniela Mastracci – Sicura che avrebbe vinto Remain, mi sono alzata con calma e con calma ho acceso il PC. Apro i siti delle testate che solitamente leggo. E mentre le pagine si aprono sul mio schermo comincio ad intravedere i colori della bandiera inglese a sinistra e quelli della bandiera dell’unione europea a destra: a sinistra c’è il vincitore!
Ma non me ne capacito. Stento a credere a ciò che vedo. E leggo i numeri e quei numeri mi confermano lo shock: il Regno Unito ha scelto exit e con ciò si avviano ad uscire dall’ Unione Europea. Come è possibile, mi chiedo? Va bene che dall’altra parte della Manica c’è sempre stato un certo scetticismo verso l’unione europea, vero che non hanno mai abbandonato la sterlina, vero che il loro filoamericanismo li ha portati a mettere in campo politiche estere sempre assieme agli USA, guerre incluse. E’ vero che anche ultimamente sono state contrattate regole nuove tra Regno unito e unione europea. Ma è vero anche che Londra è la capitale più cosmopolita d’Europa. La capitale dove è stato eletto sindaco Sadiq Khan.
Non me l’aspettavo, ecco! E il risultato mi ha inchiodata al pc un sacco di tempo. Vai a leggere bene i dati. La geografia del voto. La spaccatura generazionale. Tante parole scritte a cercare di spiegare perché avesse vinto Brexit. E soprattutto dove avesse vinto e chi avesse votato così.

La differenza tra città e periferie è solo un dato generazionale?

Un dato mi incuriosisce di più: la differenza tra città e periferie. Perché qui non solo gioca il dato generazionale, ma emerge chiaramente quello socio-economico: la parte più debole della società della Gran Bretagna ha scelto Brexit, se ne vuole andare dall’Unione Europea. Perché? E perché, al contrario, la parte ricca, o perlomeno agiata, ha scelto Remain? E perché la City sembra così destabilizzata? Insomma c’entrano i capitali? C’entra la finanza internazionale? C’entra la mai superata lotta di classe? Perché anche se non la chiamiamo così, anche se non potremmo a rigor di analisi socio economica chiamarla così, anche se, insomma, non potremmo parlare di classe, cosa altro è la tensione poveri – ricchi? E’ che i poveri sono così diversi tra loro! Così disaggregati, parcellizzati, da divenire irriconoscibili come qualcosa di omogeneo, qualcosa che stia da una parte e che sappia di starci come solidali nella stessa battaglia, nella medesima lotta contro il potere di capitali sempre più astratti e invisibili, ma potentissimi nel loro attanagliare i più deboli.
Mercato e Borse, tutte dalla parte di Remain. Il Regno Unito disagiato, tutto dalla parte di Brexit.
Ma quali ragioni portano? Sono antieuropeisti convinti? Non vogliono l’unione europea? Vogliono lo stato nazionale? Il punto è che se vogliono lo stato nazionale lo vogliono perché questa Europa non piace più. E non perché non si voglia l’Unione. Ma perché così come è questa Unione non funziona, è antipatica, offende i deboli, crea diseguaglianze, restringe welfare, chiede continuamente “sacrifici” e sempre agli stessi. Questa Europa ha allargato spaventosamente la forbice ricchi – poveri. La ricchezza in pochissime mani e per di più protetta e rassicurata, perché sennò è la fine! Donne e uomini impoveriti, soggetti a pressioni economiche e sociali, in continua crescita: troppi, e troppo delusi. Ma soprattutto troppo disaggregati.
Contro cosa alzano voci nazionalistiche? Contro il mercato? Anche. Ma soprattutto contro chi, nella dispercezione ormai comune, viene inteso come il nemico da allontanare, quello che toglie il lavoro, quel poco che rimane, quello che mette a rischio ancor di più una realtà resa difficilissima da una crisi che perdura, che non smette di tenere in scacco tanta parte d’Europa, che comprime salari, abbassa redditi, non crea lavoro ma, al contrario, fa aumentare la disoccupazione. Allora vale la pena provare a staccarsi da questa Europa? Provare a staccarsi onde evitare che potenziali lavoratori minino le possibilità di altri potenziali lavoratori? Ingaggiare una guerra fra poveri? Ingaggiare una lotta al “nemico” lavoratore? Dare la colpa indistintamente all’Unione Europea perché significa che i suoi cittadini si muovono oltremanica e vanno ad indebolire ancor di più gli Inglesi in difficoltà? Dare la colpa all’Unione perché chiede solidarietà verso i migranti? E perché quella parte più conservatrice e “nostalgica” vede minacciate tradizioni? Identità? Probabilmente sì. E in questo sì riecheggiano tutti i populismi, tutti i nazionalismi, tutte le chiusure che ad una sensibilità europea non si sono mai aperte. Ma quale è il rischio? Che questo nazionalismo vada a mescolarsi con un nazionalismo diverso, quello che non ce l’ha con tradizioni e identità, quello che se la prende con l’Europa perché è Europa dei Mercati.

Il voto come antidoto alla finanziarizzazione rapace e nemica delle classi deboli

E perché, anziché tendere verso una ricostruzione dell’Europa, verso un netto rinnovamento e cambiamento di passo, sostengono le “ragioni” degli Stati Nazionali come antidoto alla finanziarizzazione rapace e nemica delle classi deboli. Insomma nel No all’Europa confluiscono, per ragioni del tutto diverse, più spinte. E’ vero che ieri si sono subito alzate le voci pro Exit da parte delle destre europee (Frexit, Nexit etc. Anche Salvini, che però ha dimenticato che la Costituzione Italiana non permette Referendum di tal genere); ma è anche vero che di euroscetticismo ce n’è tanto, tantissimo, anche in una certa sinistra. In tutto ciò è il mercato a perdere? In un articolo leggo “In Europa, per storia, il riproporsi di ideologie nazional-populiste rappresentano e hanno sempre rappresentato il più solido alleato del potere economico e finanziario.”
“Anche se la City di Londra era sicuramente più favorevole alla permanenza della Gran Bretagna in Europa, i grandi capitali internazionali non sono particolarmente funestate dal voto referendario. E non può essere altrimenti, dal momento che LA FINANZIARIZZAZIONE DELL’ECONOMIA VA BEN OLTRE L’EVENTUALE RIPRISTINO DI FORME DI SOVRANITÀ NAZIONALE. Al limite, visto che buona parte del gotha finanziario europeo è localizzato a Londra, si potrà verificare nel medio periodo un aumento del peso della piazza finanziaria di Francoforte come possibile futuro snodo della finanza europea.” (in “Brexit: l’Europa genera mostri” – di Andrea Fumagalli, Effimera)
Il Capitale modifica se stesso, si plasma, è sempre più forte perché astratto, ben al di sopra dei confini nazionali, ripristinati o meno; ben al di sopra anche di quelli internazionali. E non dimentichiamo che proprio il Capitale ha prodotto quella disaggregazione che individualizza e divide proprio chi è già più debole: lo indebolisce sul piano della solidarietà, del riconoscimento reciproco, gli fa perdere di vista il suo vero nemico. Se l’Europa ci sta a cuore, dobbiamo fare in modo che l’Unione cambi, si sottragga allo strapotere della tecno-finanza, dica visioni alternative, dica che prima la Politica e poi l’Economia. E’ l’Europa unita che deve cambiare se stessa, deve rispondere alla diseguaglianza, deve smettere di inchinarsi al Mercato. E da Sinistra deve venire forte questa voce.

 
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Daniela Mastracci

ByDaniela Mastracci

Daniela Mastracci.Sono nata l'11 marzo del 1970 e insegno nel Liceo Scientifico del mio Comune, Ceccano. Sono Prof e Mamma di due figli che mi crescono intorno mentre scopro che mi piace scrivere.

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