di Valerio Ascenzi – Scindersi o non scindersi. Non era un dubbio amletico, era bensì una necessità uscire dal Pd e prendere spunto dallo scollamento che c’era già tra il popolo della sinistra e il Pd a guida renziana. Il leaderismo non ha mai avuto terreno fertile in quella sinistra le cui radici affondano nella storia del Pci, Pds e poi Ds. Anche la politica, nonostante ci abbiano provato ad applicare a sinsitra il metodo berlusconiano, oggi più che mai richiede competenze, che il Pd a guida renziana, che il governo a guida renziana, hanno dimostrato di non avere. Una riforma della legge elettorale bocciata dalla Corte Costituzionale, una pseudoriforma della scuola che tutto ha fatto tranne che interrogarsi, pedagogicamente parlando, sulla nuova società e su quale società culturale vogliamo costruire nei prossimi anni. Una riforma del lavoro, che scimmiotta le norme all’inglese, solo per il nome, ma che ha finito per precarizzare anche quel poco che di stabile si poteva creare. Una sanità sempre più ridimensionata, un referendum per una riforma costituzionale sbagliata e poi bocciata dal popolo italiano. Tutto questo a fronte di provvedimenti salva banche e politiche a favore di grandi gruppi di potere, che nulla hanno a che fare con la sinistra.
La débâcle delle politiche renziane
La scissione era già avvenuta dopo “buona (si fa per dire) scuola” , job’s act e si è materializzata con la débâcle delle politiche renziane. La Waterloo del Pd è stato il referendum confermativo della scellerata riforma costituzionale.
Ora la scissione nel Pd sta facendo scaturire polemiche un po’ ovunque: finta indignazione in chi resta, scetticismo diffuso, indignazione di chi sta più a sinistra. Però era ciò che un certo popolo del centrosinistra si aspettava da tempo. Un corposo, probabilmente non nutrito, gruppo di ex Democratici di Sinistra esce dal Pd, portando dietro con sé molto di più, a nostro avviso, che la semplice poltrona: a seguire gli ex Ds, almeno fin dalle prime iniziative pubbliche di questi giorni, c’è un popolo che era rimasto ormai orfano di una cultura politica che il Pd non è stato in grado di interpretare, di raccogliere. Ma non lo sono state neanche tutte le formazioni e micro formazioni a sinistra del Pd.
Dopo la nascita del Partito democratico, dopo quella che abbiamo chiamato la fusione fredda di Ds e Margherita, in Italia è stato lasciato libero il campo di quella che era una cultura di centrosinistra, incarnata dai Ds, partito che riusciva a dialogare con le formazioni più a sinistra e quelle non proprio a centro. La nascita del Pd ha riportato l’asse della politica a centro e poi, recentemente, a centrodestra. Tutta la costellazione di partiti e movimenti, di formazioni politiche a sinistra del Pd, non sono riuscite a garantire una proposta che andasse a colmare quel vuoto lasciato libero dai Ds in quel malinconico 2007.
Il lungo cammino della scissione
La scissione c’era ed era in atto da tempo per un motivo semplice. Da una parte la cultura di quelli che ritenevano che la ricerca delle soluzioni, per dare risposte alla società, fosse l’obiettivo primario della politica: governare era sicuramente una conseguenza, scaturita dal consenso che le proposte e le idee messe in atto, consentivano di raccogliere. Il 70% di questi formava nel 2007 il Pd, provenendo dai Ds. Dall’altra parte, una cultura politica che ritiene ancora oggi che importante è governare: il come può passare tranquillamente (anzi spesso) in secondo piano. Qualcosa è andato storto, noi lo avevamo previsto 10 anni fa, quando ci proponemmo, seguendo Gavino Angius all’ultimo congresso dei Ds, di creare si un partito nuovo, ma con una forte impronta socialista democratica, senza lasciare il campo del socialismo europeo in Italia. Fassino, poi Veltroni (quello che dichiarò di non esser mai stato comunista), ritennero di non dover ascoltare la base.
Speranza, Bersani e a tutti quelli che hanno aperto la falla nella diga del Pd, saranno anche arrivati tardi – anche perché come abbiamo già detto, la scissione l’ha fatta già la gente – ma quelli tra ha deciso di non andare più a votare per un partito come il Pd, pur provenendo da una cultura di centrosinistra, non ne conosciamo molti che avrebbero votato qualcosa più a sinistra. Molti non sarebbero più andati a votare. D’impatto l’idea è quella di andare a verificare le proposte delle formazioni più “radicali”, nonostante rinnovino continuamente il look, ma ci si imbatte sempre nella stessa gente, che per anni non ha saputo dare molte risposte. Una proposta seria i innovativa era quella delle Fabbriche di Nichi Vendola, spazzate via dalle velleità degli stessi quadri dirigenti di Sel, che probabilmente le avranno viste come una minaccia.
Se dal Pd arrivano accuse per gli scissionisti, le risposte sono due: 1) guardate la partecipazione fine dalle prime iniziative pubbliche di Bersani e company, paragonatele alle vostre iniziative per il referendum elettorale; 2) per l’ennesima volta avete approvato un nuovo regolamento congressuale (schizofrenia pura!) per blindare la rielezione di Renzi, il quale fa pure la vittima: “non potete elminarci”… beh a questo punto la scissione l’ha voluta proprio lui.
C’è un problema di credibilità
Se da sinistra si accusano i fuoriusciti del Pd di essere sempre gli stessi, state tranquilli che a sinistra sono sempre là anche loro. Fratoianni, per esempio, non è di certo una novità: è stato per anni un uomo di Vendola, assessore in Puglia al suo fianco. Fassina è un ex Ds. Chi pensa che il volto nuovo è Pippo Civati, non dimentiche allora che anche lui era un rottamatore: ve lo ricordate alla Leopolda con Renzi. Dove voglio arrivare… non vogliamo condannare nessuno. Ma non ce la sentiamo neanche di condannare D’Alema, Speranza, Bersani e tutti gli altri. Se sono usciti questi ex Ds dal Pd, e confluiti nel gruppo parlamentare Dep (democratici e progressisti) è anche merito di quelle persone, ex militanti, ex tesserati, che gli hanno mandato segnali inequivocabili: non vi votiamo più. Molti come noi non avrebbero però votato altro: nonostante riteniamo il voto un diritto – dovere, quindi sacro, saremo andati al mare.
In questo momento, se tutti i rappresentanti delle varie anime della sinistra, non comprendono che serve qualcosa di unitario, rischiamo di far avverare la profezia di Guzzanti (Corrado), il quale imitando Bertinotti in uno spettacolo teorizza ironicamente la “sinistra virale, dicendo: “dividiamoci anche se la pensiamo tutto sommato allo stesso modo… dobbiamo scinderci sempre di più, creare di migliaia di miscroscopici partiti comunisti, che cambiano nome e forma continuamente”. Lo ha detto nel 2010 la prima volta, in uno spettacolo satirico, ma non sembra così lontano dalla realtà.
C’è, molto probabilmente un problema di credibilità da parte di quelli che sono usciti dal Pd: hanno votato tutto quello che Renzi ha proposto al parlamento. È anche vero che però hanno provato a modificare qualcosa, ma non sono mai stati ascoltati: le due culture che si scontravano non permettevano a Renzi di mettere in atto una competenza che non ha, la capacità di ascoltare, e agli ex Ds di contraddire le decisioni prese nel partito, per quella che un tempo si chiamava disciplina di partito. Renzi con loro però, questa disciplina non l’ha mai usata, anzi ha calpestato la dignità del popolo della sinistra oltre che quella della minoranza Pd.
E allora che fare? C’è da unire la sinistra, contro una deriva liberista (e non libertaria) del Pd, che ormai è un partito di centrodestra. Unire a partire dalle idee e non dagli uomini, magari trovando anche altri uomini e altre donne, per cercare di portare i problemi della società, nel luogo in cui devono essere risolti. Il lavoro non deve essere più un ricatto, la meritocrazia deve prevalere sul nepotismo, altrimenti questo Paese sprofonderà. L’ambiente deve essere considerato realmente un bene comune, così come la sanità e la scuola pubblica. Se partissimo da alcuni punti saldi, probabilmente avremmo anche diverse formazioni politiche a sinistra, ma obiettivi comuni.
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