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partito democratico bandiera350 250

partito democratico bandiera350 250di Ivano Alteri – Se è vero, com’è vero, che i partiti hanno perso ogni visione strategica e d’insieme, tanto da ritirarsi nel tatticismo quotidiano delle dichiarazioni e delle smentite, nell’aggiustare costantemente il tiro orientandolo a centrare il “target” elettorale con occhio mercantile, i commentatori politici non sono da meno, e spesso si riducono anch’essi a giudicare l’efficacia elettoralistica di questa o quella trovata del capo di turno, ossia a verificare se abbia effettivamente colpito quel target posto al centro del suo mirino, senza preoccuparsi dei presupposti originari di quella forza politica, né delle conseguenze a lungo termine delle sue scelte. Così ci è parso nel caso della kermesse renziana al Lingotto, in vista del congresso del Pd, e i commenti che ne sono seguiti.

È giusto o sbagliato lo slogan che intitolava la kermesse? E i suoi simboli? È indovinata la scelta di creare un ticket tra Renzi e Martina? Riuscirà, tale scelta, a raccogliere voti a destra e a manca alle primarie, a zittire le pretese dei concorrenti interni, a neutralizzare la fuoriuscita degli scissionisti? Insomma, riuscirà Renzi a mantenere la guida solida del partito (per quanto in caduta libera nel cuore e nelle teste del popolo di centro sinistra, proprio per causa sua)? Un’analisi, questa, in cui si considerano gli stessi parametri, elettoralistici, posti alla base dell’oggetto analizzato: utili per l’oggi, ignari di ieri e validi, al massimo, fino a domani mattina presto. “Assoluzione e delitto, lo stesso movente”, direbbe il poeta De André.

Ma perché era nato il Pd, come è cresciuto, in cosa si è trasformato, quali interessi intende rappresentare in futuro, importa a qualcuno? Non sarebbero proprio queste le considerazioni da svolgere, visto che parliamo di un partito che governa il Paese e che compete per continuare a governarlo? A noi pare che così dovrebbe essere; ma che così non sia.

Ricordiamo il dibattito al momento della creazione del Pd, nato sulla spinta dell’amerikano Walter Veltroni. L’aspirazione dichiarata, ambiziosissima, era quella di saldare le tre radici culturali della storia d’Italia: quella d’impronta marxista, quella liberale e la cattolico-democratica. Ricordiamo anche lo scetticismo di osservatori attenti, come il Prof. Michele Prospero, che in occasione di un convegno tenutosi a Frosinone ebbe a dire dell’improbabilità di un partito nato a tavolino; e della necessità, invece, che un partito nasca dalle “fratture della storia” (concetto poi approfondito nel suo libro “Il partito politico”). Ricordiamo, altresì, l’incoerenza con tali premesse con cui il Pd fu gestito dagli ex democristiani e dagli ex comunisti, e dell’unica eccezione a noi nota, Rosi Bindi, che manifestò la propria consapevole appartenenza a quel partito (e coerenza con i suoi enunciati) pronunciando il suo “Io so perché sono qui”.

Tuttavia, nonostante lo iato tra enunciati e politiche quotidiane, il Pd continuò a manifestare, almeno superficialmente, un certo legame con la base storica del centro-sinistra, se non altro orientando le proprie politiche alla costruzione di un Centrosinistra senza trattini. Ma questo è avvenuto fino all’arrivo di Renzi. Con la sua guida il Pd ha subito una torsione evidentissima e dolorosissima, una deviazione a centottanta gradi dal solco originario, elevando all’ennesima potenza la formula pretenziosa dell’autosufficienza, della “vocazione maggioritaria” del Pd, già sperimentata fallimentarmente da Veltroni; ossia l’illusione che il Pd fosse da sé il Centrosinistra, e non solo parte, per quanto maggioritaria, dello schieramento. Inoltre, in aperta contraddizione con lo spirito originario, Renzi basò la propria guida del partito sullo slogan della “rottamazione”. Per non parlare dell’adesione pedissequa all’iperliberismo imperante nel mondo (“Noi stiamo con Marchionne!…).

Si sono mai chiesti, i commentatori politici, cosa c’entrino la rottamazione e il neoliberismo con la saldatura delle tre radici culturali e storiche del Paese? Cosa c’entri la politica di Renzi col marxismo, col liberalismo, con la dottrina sociale della Chiesa? Si sono chiesti se Renzi abbia mai letto gli Scritti del ’48, il Dell’introduzione all’economia politica, il Capitale di Marx? Se abbia mai letto la Rivoluzione liberale di Gobetti? E la Rerum Novarum, la Quadragesimus annus… la Centesimus Annus della Chiesa Cattolica?
Pensiamo proprio di no: che lui non li abbia letti, e che loro non se lo siano chiesto. Altrimenti sarebbero già giunti ad una conclusione ormai sotto gli occhi di tutti: l’epilogo renziano del Pd rappresenta il tradimento plateale delle sue origini. Insomma, Partito Democratico: missione fallita.

Frosinone 18 marzo 2017

 
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Ivano Alteri

ByIvano Alteri

Ivano Alteri: Libero professionista di Frosinone, esperto in problemi del lavoro, ha collaborato prima con edicolaciociara.it sul cui sito ha pubblicato interventi relativi al mondo del lavoro e alla politica più in generale. Ha collaborato alla ricerca sugli infortuni sul lavoro svolta dall'associazione Argo per conto della Provincia di Roma, poi pubblicata dalla stessa. Dalla nascita di unoetre.it è membro della sua Redazione

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