Gramsci vivo, 80 anni dopo

AntonioGramsci

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Il 27 aprile prossimo ricorre l’80° della scomparsa di Antonio Gramsci e lo riucordiamo qui con un articolo di Alexander Höbel, e segnaliamo l’iniziativa “Portiamo un fiore rosso sulla tomba di Gramsci”, della IGS Italia (International Gramsci Society Italia), a cui aderisce anche Futura Umanità (Associazione per la Storia e la Memoria del Pci), https://www.facebook.com/events/481745355489788/

di Alexander Höbel – Come mai, a 80 anni esatti dalla sua scomparsa, la figura di Antonio Gramsci viene celebrata, ricordata e studiata in tutto il mondo? E perché si continua a ritenere la sua opera come un contributo fondante per la cultura politica della contemporaneità? Gramsci viene oggi celebrato e studiato non solo come antagonista irriducibile del fascismo, che lo volle in carcere e lì lo uccise; non solo come fondatore del Partito comunista d’Italia assieme a Bordiga, Terracini, Togliatti, Grieco, Camilla Ravera, e i giovani Longo, Secchia, Teresa Noce; ma anche come colui il quale – dagli scritti giovanili alle Tesi di Lione, dal saggio sulla questione meridionale ai Quaderni del carcere – ha dato un contributo enorme al marxismo novecentesco, e più in generale al pensiero critico contemporaneo.

 

Le categorie concettuali da lui elaborate costituiscono tuttora una bussola essenziale per orientarsi nel mondo: egemonia, come processo di apprendimento delle classi lavoratrici nel loro porsi e proporsi come nuove classi dirigenti della società e dello Stato; rivoluzione passiva, ossia il modello delle ristrutturazioni operate dalle classi dominanti con la costruzione del consenso dei dominati; intellettuale collettivo e moderno Principe, ossia lo strumento politico e organizzativo – il Partito in primo luogo – che i subalterni si danno per la trasformazione radicale degli assetti sociali.

 

“Questo miracolo dell’operaio che quotidianamente conquista la propria autonomia spirituale” – scriveva Gramsci nel 1920 – “lottando contro la stanchezza, contro la noia, contro la monotonia del gesto che tende a meccanizzare e quindi a uccidere la vita interiore, questo miracolo si organizza nel Partito comunista”. È qui che l’operaio “collabora ‘volontariamente’ alla attività del mondo […] pensa, prevede, ha una responsabilità […] è organizzatore oltre che organizzato”, e “sente di costruire un’avanguardia” che trascina con sé “tutta la massa popolare” . Sono parole che ancora oggi emozionano e incoraggiano.

 

Fondamentale fu poi il lavoro, avviato da Gramsci nel 1924, teso a individuare le “forze motrici” della rivoluzione italiana: operai industriali e salariati agricoli del Centro-Nord e braccianti del Mezzogiorno. Oggi i settori sociali potenziali protagonisti del cambiamento non sono gli stessi, e tuttavia la lezione di metodo fornita da Gramsci rimane attuale, e implica un nuovo sforzo di analisi e di organizzazione.

 

Anche altre categorie centrali nel suo pensiero sono di estrema attualità: la dimensione molecolare dei processi di trasformazione, l’alternarsi di guerra di movimento e guerra di posizione, la complessità della lotta politica nei paesi a capitalismo avanzato, il ruolo decisivo della battaglia delle idee, la necessità di costruire una nuova intellettualità di massa e quella unità tra struttura e sovrastruttura, forze sociali e idee guida che rappresenta per Gramsci il blocco storico, nel quale – per dirla con Marx – “le idee diventano una forza materiale”.

 

Oggi naturalmente, rispetto ai tempi di Gramsci, molte cose sono cambiate e i legami tra politica e cultura si sono molto allentati. Tuttavia la riflessione del rivoluzionario sardo rimane di estrema attualità. “Non può esserci elaborazione di dirigenti – si legge nei Quaderni – dove manca l’attività teorica, dottrinaria dei partiti […]. Quindi scarsità di uomini di Stato, di governo, miseria della vita parlamentare, facilità di disgregare i partiti”, “il giorno per giorno […] invece della politica seria”; ma anche “miseria della vita culturale e angustia meschina dell’alta cultura”, sempre più staccata dalla realtà storica. In questo contesto, scrive Gramsci pensando alla Germania del primo dopoguerra, la burocrazia “sostituiva la gerarchia intellettuale e politica” . Oggi basterebbe sostituire la parola “burocrazia” con “tecnocrazia” o “tecnostruttura” per avere un quadro abbastanza simile a quello descritto.

 

In un altro passo dei Quaderni Gramsci fa un altro ragionamento interessante: “A un certo punto della vita storica i gruppi sociali si staccano dai loro partiti tradizionali”, che “non sono più riconosciuti come loro espressione dalla loro classe”. A quel punto la situazione “diventa delicata e pericolosa, perché il campo è aperto […] all’attività di potenze oscure rappresentate dagli uomini provvidenziali o carismatici”, mentre si rafforza il “potere della burocrazia […] dell’alta finanza”. In questa che si configura come una vera e propria “crisi di egemonia, o crisi dello Stato nel suo complesso”, la classe dominante “muta uomini e programmi e riassorbe il controllo che le andava sfuggendo”; dunque “mantiene il potere, lo rafforza […] e se ne serve per schiacciare l’avversario e disperderne il personale di direzione”, i quadri politici. Ne deriva “il passaggio delle truppe di molti partiti sotto la bandiera di un partito unico [ma possono essere anche due o tre, aggiungerei] che meglio rappresenta e riassume i bisogni dell’intera classe” dominante. Insomma, “non sempre [i partiti] sanno adattarsi ai nuovi compiti e alle nuove epoche”, ma le conseguenze del loro disgregarsi sono molto pesanti .

 

Sono parole di grande attualità, che ci rimandano a quella idea di “crisi organica”, nella quale “il vecchio muore e il nuovo non può ancora nascere”, che per Gramsci però è anche tipica delle “fasi storiche di transizione” . Ecco perché il pensiero del fondatore del comunismo italiano non solo è ancora fecondo, ma è anche uno strumento prezioso per chi vuole abolire lo stato di cose presente e contrastare la barbarie che avanza.

 
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Alexander Höbel

ByAlexander Höbel

Alexander Höbel (Napoli, 1970) è dottore di ricerca in Storia presso l’Università “Federico II” di Napoli e studioso di storia del movimento operaio. Curatore de Il PCI e il 1956 (La Città del Sole, 2006), ha pubblicato La strage del treno 904. Un contributo delle scienze sociali (con Gianpaolo Iannicelli, Napoli, Ipermedium, 2006) e Il Pci di Luigi Longo (1964-1969) (Napoli, Edizioni scientifiche italiane, 2010). Ha collaborato con la Fondazione Di Vittorio e l’Istituto per la storia del movimento di liberazione in Italia. Borsista della Fondazione Luigi Longo, è autore di Luigi Longo, una vita partigiana (1900-1945), Roma, Carocci, 2013. Collabora con la Fondazione Istituto Gramsci, per la quale cura il lavoro di redazione della rivista “Studi storici”.

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