Il come e perché del debito pubblico italiano in pillole. Piccola guida di UNOeTRE.it
Sei pillole, con quest’ultima, per avere una guida abbastanza semplice in grado di aiutarci a capire come è nato e si svilippa il debito pubblico italiano. Per ora ci fermiamo qui, in attesa di poter, con altrettanta semplicità, riuscire a descrivere le proposte cerdibili (se ci saranno) per venire fuori da questo inferno in cui bruciano le fatiche della maggiornanza dei cittadini italiani.
La sesta ed ultima “pillola”: «La specificità italiana, un circolo vizioso che intrappola la società»
«In Italia, questo processo si è affermato con alcune specificità, in quanto il nostro debito pubblico era già alto e, per molti anni, non si è potuto aumentarlo facendo operazioni dirette di salvataggio per fronteggiare la crisi. Ma il debito pubblico italiano è aumentato comunque in conseguenza del crollo del Pil dovuto alla crisi globale.
Ciò che in realtà non funziona è l’impostazione dominante per la quale l’indebitamento dovrebbe fare da leva per la crescita economica e quest’ultima dovrebbe di conseguenza riassorbire il debito.
Come ha ben evidenziato Luca Ricolfi, studiando le economie dei 22 paesi che, sin dall’inizio, hanno fatto parte dell’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE): «(…) in tutto il periodo preso in considerazione – dal 1960 a oggi – il risultato è chiarissimo: a ogni decennio il tasso di crescita diminuisce di quasi 1 punto percentuale (da +4% nel decennio ’60’70, a +3% negli anni ’70-’80, a +2% nel ventennio 19802000, per arrivare a +1% nei primi dieci anni del nuovo millennio)» [2].
Se questi sono i dati, appare pura fantascienza la fiducia nella crescita economica come soluzione al problema del debito pubblico proposta da Carlo Cottarelli (ex-incaricato del governo per la spending review) che ipotizza una crescita costante del 3% annuo per consentire al rapporto debito/Pil del nostro paese di scendere nel 2035 dall’attuale 132% al 75% [3].
Nel frattempo, anche per il nostro paese è arrivato il momento di mettere a disposizione la ricchezza collettiva per salvare i fallimenti degli istituti bancari privati: a fine dicembre 2016, con un’approvazione fulminea dei due rami del Parlamento, il Ministero del Tesoro ha messo in campo una rete di garanzie pubbliche (da caricare, in caso di utilizzo, sul debito pubblico) pari a 20 miliardi di euro sulle emissioni di liquidità di ben 6 banche, ciascuna sotto plurime inchieste giudiziarie e tutte giunte al fallimento grazie alle speculazioni finanziarie operate per decenni senza alcun controllo. Saranno così salvate dai cittadini Monte dei Paschi di Siena, Cariferrara, Banca Marche, Banca Etruria e, dopo l’approvazione ottenuta dalla improvvisamente generosa Unione Europea, anche Popolare di Vicenza e Veneto Banca.
Il circolo vizioso prosegue e intrappola la società, fino a che quest’ultima non imboccherà l’unica via di uscita possibile: rimettere radicalmente in discussione la narrazione dominante sul debito. Senza se e senza ma.» (dal volume di Marco Bersani: “Dacci oggi il nostro debito quotidiano. Strategie dell’impoverimento di massa”)
Per trovare anche le altre “pillole” clicca il link che segue https://www.unoetre.it/politica-e-economia/politiche-economiche-e-crisi/debito-pubblico.html
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In Italia, questo processo si è affermato con alcune specificità, in quanto il nostro debito pubblico era già alto e, per molti anni, non si è potuto aumentarlo facendo operazioni dirette di salvataggio per fronteggiare la crisi. Ma il debito pubblico italiano è aumentato comunque in conseguenza del crollo del Pil dovuto alla crisi globale.
Ciò che in realtà non funziona è l’impostazione dominante per la quale l’indebitamento dovrebbe fare da leva per la crescita economica e quest’ultima dovrebbe di conseguenza riassorbire il debito.
Come ha ben evidenziato Luca Ricolfi, studiando le economie dei 22 paesi che, sin dall’inizio, hanno fatto parte dell’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE): «(…) in tutto il periodo preso in considerazione – dal 1960 a oggi – il risultato è chiarissimo: a ogni decennio il tasso di crescita diminuisce di quasi 1 punto percentuale (da +4% nel decennio ’60’70, a +3% negli anni ’70-’80, a +2% nel ventennio 19802000, per arrivare a +1% nei primi dieci anni del nuovo millennio)» [2].
Se questi sono i dati, appare pura fantascienza la fiducia nella crescita economica come soluzione al problema del debito pubblico proposta da Carlo Cottarelli (ex-incaricato del governo per la spending review) che ipotizza una crescita costante del 3% annuo per consentire al rapporto debito/Pil del nostro paese di scendere nel 2035 dall’attuale 132% al 75% [3].
Nel frattempo, anche per il nostro paese è arrivato il momento di mettere a disposizione la ricchezza collettiva per salvare i fallimenti degli istituti bancari privati: a fine dicembre 2016, con un’approvazione fulminea dei due rami del Parlamento, il Ministero del Tesoro ha messo in campo una rete di garanzie pubbliche (da caricare, in caso di utilizzo, sul debito pubblico) pari a 20 miliardi di euro sulle emissioni di liquidità di ben 6 banche, ciascuna sotto plurime inchieste giudiziarie e tutte giunte al fallimento grazie alle speculazioni finanziarie operate per decenni senza alcun controllo. Saranno così salvate dai cittadini Monte dei Paschi di Siena, Cariferrara, Banca Marche, Banca Etruria e, dopo l’approvazione ottenuta dalla improvvisamente generosa Unione Europea, anche Popolare di Vicenza e Veneto Banca.
Il circolo vizioso prosegue e intrappola la società, fino a che quest’ultima non imboccherà l’unica via di uscita possibile: rimettere radicalmente in discussione la narrazione dominante sul debito. Senza se e senza ma.
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