di Emanuela Piroli* – La sconfitta elettorale del 4 marzo, in primis del PD, ma anche di tutto il csx, è stata definita in vario modo, epocale, tragica, disastrosa. Certo non è la nostra prima sconfitta, abbiamo forse dimenticato le sconfitte ai tempi d’oro di Berlusconi? Questa pare bruciare di più, pur se decisamente annunciata.
Ripartiremo dopo averne approfondite le cause, senza flagellarci, senza disperare, aprendo una discussione che per troppo tempo abbiamo evitato e rimandato, e che ora è diventata urgente e indispensabile. Con una consapevolezza nuova che ci permetterà di rimetterci in gioco e di tornare ad essere competitivi.
Il voto di protesta limpido, in alcune regioni “di massa”, indica una bocciatura franca e indica che, salvo per pochi fedelissimi, non esiste più il senso di appartenenza ideologico all’uno o all’altro partito. L’opinione pubblica è volubile, a seconda del grado di soddisfazione, cambia idea velocemente, così se un giorno ti porta alle stelle, il giorno dopo può portarti alle stalle, i consensi possono ribaltarsi repentinamente. Quindi, riconquistare la fiducia del nostro popolo è possibile.
La prima cosa da fare è togliersi i paraocchi, perché se è vero che c’è un vento di “populismo” che soffia non solo in Italia e che si accompagna alla crisi di tutte le socialdemocrazie, è altrettanto vero che ci siamo progressivamente allontanati dai più deboli, abbiamo perso di vista alcune priorità, ci siamo omologati ad una parte della società che con la nostra storia e i nostri principi non c’entra nulla. Siamo stati miopi di fronte ai cambiamenti di una società sempre più liquida e di fronte alle difficoltà percepite dal popolo, di fronte ad una forbice tra ricchezza e povertà che tende ad allargarsi, nonostante i dati positivi relativi all’economia e al lavoro. Di fronte al divario grande, mai colmato, tra nord e sud. Un’Italia divisa in due.
La sensazione è che l’ascensore sociale si sia bloccato a metà piano, e manchi la speranza che possa sbloccarsi, il futuro a molti appare incerto. Abbiamo continuato imperterriti a dipingere un paese senza più problemi, in ripresa, e in parte è vero, ma non è concepibile escludere dalla analisi le realtà di disagio e di povertà.
Non abbiamo ascoltato con la giusta attenzione alcune categorie professionali, che con forza hanno cercato di rivendicare una loro partecipazione attiva nelle decisioni del governo, la cui attività è la misura della civiltà di un paese. Mi riferisco in particolare agli insegnati e agli operatori della sanità pubblica e dei servizi sociali.
Più volte ho detto che ci sarebbe bisogno di una rivoluzione socioculturale, e ne sono convinta. Perché un popolo che, anziché chiedere politiche attive per il lavoro, si rassegna alla promessa del reddito di cittadinanza, è un popolo che ha rinunciato al lavoro. Un popolo che vota un partito che promette di cacciare gli immigrati, è un popolo ignaro anche della propria storia e concentrato sul proprio orticello, spaventato che “lo straniero” possa danneggiarlo, l’egoismo sociale cresce a discapito di una collaborazione che potrebbe essere costruttiva.
Ma non possiamo liquidare il tutto scaricando la responsabilità ad un elettorato ignorante, ingrato, incapace di comprendere e valutare. Non è giusto né utile. La responsabilità è della politica. E’ il segnale di un fallimento della politica, quella dei partiti tradizionali, ecco perché si premiano realtà diverse. Noi dobbiamo capire perché e cercare di dare delle risposte.
Possiamo farlo solo ricominciando a comunicare con le persone. Accorciando la distanza tra noi e loro. Mettendo da parte personalismi, autoreferenzialità, leaderismo, tifoserie, correnti, arroganza e presunzione. Tutto ciò ci ha inevitabilmente indebolito. Gli imprenditori sono diventati i nostri migliori amici, lo stile di vita di molti nostri referenti è paragonabile a quello dell’alta società, abbiamo perso il contatto con la realtà.
Siamo stati identificati come “poteri forti”, questa cosa mi fa venire i brividi. E allora di cosa ci stupiamo? Perché avremmo dovuto mantenere i consensi? Perché avremmo dovuto conservare una attrattività? Dovremmo essere i primi a mostrare sobrietà. E poi, dove sta il rinnovamento? Si è limitato allo scontro tra alcuni dirigenti storici a livello nazionale, bypassando i territori.
Esclusi, ignorati, abbandonati, non coinvolti nel processo di rigenerazione del partito, che poi non si è mai realizzato. Lasciando i territori in balia di una classe dirigente consumata. Così, quanto di buono è stato fatto, e con orgoglio dico che è molto, è stato offuscato da questa immagine negativa e non è stato percepito dagli elettori. Ed evito di soffermarmi sulla campagna denigratoria portata avanti dai nostri avversari, a colpi di fake news, a questo punto non mi interessa, non può essere un capro espiatorio.
Con umiltà e senso del dovere, riconosciamo i nostri errori e impegniamoci a non ripeterli, costruiamo un progetto unitario che abbia alla base le priorità del paese, quelle vere, quelle considerate tali dal popolo. Ricominciamo a parlare una lingua comprensibile, ad ascoltare, non sottovalutiamo l’insofferenza sociale in crescita, che abbrutisce, indispettisce e rende intolleranti.
Prevale ormai da tempo insoddisfazione, rassegnazione e disperazione, stati d’animo che hanno trovato una speranza nel voto, permettetemi la forzatura, “rivoluzionario” del 4 marzo. Avvisaglie ce ne erano state nelle ultime tornate elettorali, in cui il dato più eclatante era stato però l’astensionismo. Non siamo stati convincenti, e l’astensionismo si è trasformato nel voto che conosciamo.
Non abbiamo colto la gravità della situazione, presi da altre faccende. Ma con un certo ottimismo, mi sento di dire che in fondo siamo il secondo partito, considerando il movimento 5 stelle un partito, sicuramente l’unico con uno statuto ed un radicamento sui territori. Ecco, ripartiamo da qui, dal secondo posto, dai territori, dalle tante donne e dai tanti uomini di valore, dai nostri principi di base indiscutibili, anche se spesso ignorati, dalla base. Ribaltiamo i consensi riconquistando la fiducia del nostro popolo, riappropriandoci dei temi che sono nostri e che irresponsabilmente abbiamo lasciato ad altri, lavoro e giustizia sociale.
Gli Italiani ci hanno voluto all’opposizione, questo è oggi il nostro posto, che dovremmo occupare con senso di responsabilità, umiltà e di servizio.
*Emanuela Piroli (segretario circolo PD Ceccano)
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