di Ivano Alteri – La condizione in cui versa la sinistra italiana nel presente momento storico è, per riprendere le parole usate dal Prof. Pellecchia in un articolo pubblicato su queste stesse pagine, deprimente e disperante. Prima e dopo la pur allarmantissima sconfitta elettorale del 4 marzo scorso, la forza da cui la sinistra sembra avviluppata continua ad essere quella centrifuga in luogo della centripeta, diretta verso la disgregazione piuttosto che verso l’aggregazione.
Il “dis-astro”, come lo definisce etimologicamente Pellecchia, sembra persino non essere ancora compiuto, bensì tendente ad ulteriore processo disgregativo nel tempo e nello spazio. Sembra, insomma, che ogni tentativo di riagglomerare la sinistra sia vano e condannato al fallimento. Peggio: ogni nuovo tentativo di aggregazione si trova a soffrire il fallimento del precedente, avvitando l’intero processo in un circolo vizioso di credibilità decrescente. Ed allora, la domanda che si pone con urgenza è: come ridare credibilità alle parole e all’azione della sinistra che dice di volersi riaggregare?
Certo, il disastro è compiuto. Tuttavia, “quando tutto è o pare perduto… non resta che ricominciare dall’inizio”; e la sconfitta storica del 4 marzo può aiutare a chiarire alcuni aspetti, proprio per ricominciare da lì. I suoi elementi costitutivi possono aiutare ad individuare meglio i limiti che hanno condotto la sinistra nella situazione presente.
Il limite strategico rappresentato dalle politiche del Pd (ancora nominalmente un partito della sinistra) è senz’altro quello più evidente: l’aver aderito pedissequamente al pensiero unico neo-liberista, ordo-capitalista, abbandonando proditoriamente il proprio, ha causato una rottura con la base sociale che la sinistra storicamente ha rappresentato, con una mutazione genetica tanto palese e inaccettabile da scacciare da sé milioni di elettori.
Ma se la punizione avesse riguardato soltanto il Pd, i consensi in uscita da quel partito avrebbero dovuto confluire su quei soggetti politici presenti alla sua sinistra, che a quel pensiero unico non vogliono aderire, che quella rottura non vogliono operare, che quella modificazione genetica non vogliono subire. Invece quelle sinistre, pur rimaste coerentemente legate (più o meno) alla propria rappresentanza, hanno subìto la stessa marginalizzazione politica occorsa al Pd.
E qui, forse, troviamo un primo elemento di chiarezza: è la sinistra che è stata sconfitta, non solo il Pd; e non solo a causa del Pd e delle sue politiche, ma ognuno dei soggetti per propri limiti intrinseci. Più precisamente e sinteticamente, si può dire che il limite di ognuno dei soggetti riguardi quella condizione necessaria all’azione politica, senza la quale l’azione politica si rileva storicamente inefficace: la conformità dei mezzi al fine. Infatti, al Pd è imputabile principalmente un difetto nel fine (l’abbandono del pensiero proprio e l’adesione pedissequa all’altrui), a tutti gli altri alla sua sinistra è imputabile principalmente un difetto di conformità dei mezzi (appiattimento su movimentismo, “civismo”, aggregazioni meramente elettorali…).
Principalmente, bisogna inoltre sottolineare, ma non esclusivamente. Infatti, in tutti i casi è riscontrabile l’insieme dei difetti, di mezzi e di fini; e qui emerge un secondo elemento di chiarezza. Se al Pd è imputabile principalmente il difetto strategico, del fine, quel partito non è tuttavia immune da critiche riguardo i mezzi che ha adottato; d’altra parte, se ai raggruppamenti alla sua sinistra è imputabile principalmente un difetto nei mezzi, essi non sono certo immuni da critiche riguardo il fine: il difetto principale di un soggetto è quello subordinato dell’altro.
Infatti, più in particolare: il Pd è giunto alla rinuncia di una propria, coerente ed originale elaborazione politica (il fine) avendo preliminarmente optato per una forma partito (il mezzo) che, via via, è passata dallo stato solido, a quello fluido, a quello liquido, fino a quello gassoso attuale (e se ne prospetta uno allo stato plasmatico, come il movimento dei “civici” auspicato da Renzi e Scalfari); i raggruppamenti alla sua sinistra sono giunti alla rinuncia della forma partito solida (il mezzo) avendo preliminarmente optato per una ripetizione meccanicistica della propria tradizione culturale (il fine) senza operare quella celeberrima analisi concreta della situazione concreta (o almeno non fino in fondo e adeguatamente). Entrambe hanno così rinunciato all’efficacia storica, oltre che elettorale, della propria azione politica.
Una risposta a quella domanda iniziale, dunque, si può rintracciare nelle ragioni esposte. A ben guardare, la costante rilevabile in tutti i casi è la rinuncia, principale o subordinata che sia, alla forma “solida” di partito, quella enunciata dalla Carta Costituzionale quale strumento di congiunzione tra popolo e istituzioni democratiche, senza la quale la rappresentanza politica dell’interesse generale viene meno e i partiti, quando esistenti, si trasformano in agglomerati anamorfici e autoreferenziali.
In altre parole, il mezzo conforme che consente di elaborare e perseguire efficacemente il fine, come insegna la comune tradizione culturale della sinistra, è innanzitutto il partito strutturato, in cui sia favorita ed organizzata scientificamente una effettiva partecipazione popolare la più ampia possibile. Non, dunque, un generico e tartufesco ritorno dei partiti tra la gente, come si usa dire, ma un massiccio ritorno della gente nei partiti. Non un partito “contendibile” dagli aspiranti leader, ma “fruibile” democraticamente da tutti gli aderenti ed oltre. Non un partito “imbonitore” che ottunde e imbonisce i cervelli, ma un luogo di riflessione che promuova e incoraggi il pensiero critico. Non ricette miracolistiche e ingannevoli calate dall’alto, ma un partecipato processo di elaborazione per la definizione della volontà collettiva.
Quindi, alla domanda “come ridare credibilità alle parole e all’azione della sinistra?” che intende riaggregarsi, la risposta dovrebbe essere: ricostruendo un partito “solido” e dicendolo con chiarezza; tenendo conto dell’evoluzione delle relazioni interpersonali nella società e dei principi che le sostengono; utilizzando tutti gli strumenti, anche tecnologici, che si hanno nella disponibilità attuale, per favorire la massima partecipazione democratica effettiva; non mettendo l’uno strumento organizzativo necessariamente in alternativa all’altro, ma scoprendo e valorizzando eventualmente la loro intrinseca complementarietà.
Insomma, occorre un partito “solido” fortemente innovato, ma che si ricolleghi con consapevolezza alla migliore tradizione della sinistra, per ritrovare quella credibilità che è tra i mezzi più conformi al fine.
Frosinone 23 novembre 2018
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