Il “centro” non c’è più, cosa rincorreranno ora i cosiddetti riformisti? Il quadro politico, come si dice in gergo, è fortemente radicalizzato a destra. Quel centro aveva una funzione, essere il ring dove due forze con la stessa vocazione capitalistica si confrontassero per vedere chi sopraffaceva l’altra. Capitalisti buoni contro capitalisti cattivi, (audace e improbabile alternativa, che non esiste) ma stando a questa vulgata bisogna dire che stanno vincendo quelli cattivi che hanno Trump, come capo riconosciuto.
Cosi, però, chi vive il disagio combatte una guerra che non è sua, ma è solo quella fra chi deve assumere il comando di questa disperata stagione capitalistica. L’ingiustizia, la povertà, la mancanza di diritti può mai essere solo un solo un problema di polso? La campagna elettorale risulta il più ridicolo emblema del conflitto in cui si resta coinvolti per stabilire chi deve vincere. E il Paese e i cittadini che fine fanno? Solo tatticismi sulla pelle di tutto un popolo. «Il voto arrivato a Salvini non è solo quello “urlato” ma anche quello silenzioso, che non si è fatto sentire». Questo voto va individuato e abbiamo il dovere di individuarlo. Cosa difficile ma necessaria per capire la nostra gente e i loro bisogni, per capire tutti noi…
La cintura rossa di Torino, quelle delle grandi lotte operaie e delle grandi conquiste democratiche, come lo Statuto dei diritti dei lavoratori, votano massicciamente “Lega”, in alcuni comuni da sola, questa formazione, arriva al 50%. In Emilia-Romagna la somma dei voti di Lega, FI e FdI delinea una maggioranza pronta a governare questa regione dove si voterà nel 2020.
Scrive Loffredi, in un post su FB: «Come è possibile che Vertenza Frusinate non abbia mai avuto una adesione da parte dei partiti sedicenti di sinistra? Come è possibile che a favore di questo raggruppamento ho dovuto assistere ad un impegno di amministratori di Fratelli d’Italia? E le questioni sanitarie e la scuola e le privatizzazioni, le false cooperative?»
Sono solo alcuni esempi, ma la domanda da porsi è: Perché si vota per un partito che nulla fa per nascondere il suo autoritarismo e la sua natura illiberale?
I voti che si sono succeduti in questo primo ventennio del XXI secolo sono la manifestazione del tentativo di trovare risposte alla crisi che viviamo e che ha connotati economici assai penalizzanti per la maggioranza delle popolazioni. Qui, in Italia, più che nel mondo, è come se si avanzasse per tentativi, prima speranza nel M5S e ora nella Lega. Parafrasando il titolo “Sei artisti in cerca d’autore” di Luigi Pirandello, si potrebbe dire: un popolo in cerca di guida e di speranza.
Come già successo con la destra americana di Trump, quella europea di Salvini, Le Pen, Orban vince perché coglie la nuova rottura fra “classi sociali”, la fine del “contratto sociale di mutua collaborazione insito nel welfare del dopoguerra”. È la fine della solidarietà e della sua cultura. Il suo successo come si spiega? Non con il richiamo al fascismo, o con la coltivazione delle paure, del razzismo. Fascismo, paure, razzismo, appaiono la forma di un profondo risentimento sociale. La rabbia del disagio. Non ne sono l’origine.
Il crollo dei 5 stelle suggerisce, a questo proposito qualche ulteriore lezione sulle correnti di pensiero e sensibilità che percorrono la società italiana. La politica intesa come puro elemento di corteggiamento del voto non paga. La CREDIBILITA’ di cui si vantavano, l’hanno persa strada facendo, Ilva, Tap, Tav, il voto a sostegno di Salvini e poi i tenti errori di politica quotidiana. I 5 stelle pagano quella promesse irrealizzabili e irrealizzate, ad esempio la “sconfitta della povertà”. Pagano pure, diciamoci la verità, di non aver saputo reggere all’attacco smodato e indecente dei liberisti, ma non solo, alla loro proposta più significativa: il Reddito di cittadinanza inteso come strumento di tutela fra un lavoro ed un altro, sostegno nella ricerca di un lavoro che impedisse ai disoccupati di svendersi di fronte alle offerte di lavoro e cercando anche per questa strada di recuperare valore ai salari, si sono fatti massacrare la proposta originaria al punto che non si capiva più se era sussidio alla povertà o strumento per un nuovo approccio al lavoro. Manca però una politica per il lavoro e l’occupazione che non si può individuare nel “Decreto Dignità”, manca proprio. Con quali fondi si finanzia? Perché non c’è una patrimoniale? Perché toccare le pensioni? Dagli errori al ridicolo dei 40 euro al mese alla guerra fra poveri. Ma c’è dell’altro. Salvini si è giovato di due circostanze: a – una indulgenza, ingiustificata, dei media verso le rozze e violente smargiassate di Salvini mentre era costante l’attacco ai 5 stelle contro i provvedimenti da loro proposti, a prescindere. Non hanno saputo cogliere neppure le timide aperture verso di loro confronti, insiti nelle disponibilità a discutere di sindacati e qualche altro per migliorare il migliorabile; b – Salvini e la Lega hanno beneficiato di una struttura radicata, e di forze sperimentate, non solo quelle della Lega impegnate nelle amministrazioni locali, ma anche quelle raccolte con operazioni simili a quella di Ottaviani a Frosinone, sindaci e altre figure sopraggiunti con le loro sperimentate organizzazioni elettorali.
Niente di tutto questo per il M5S. Grande sordità alla dialettica fra forze politiche. Ma, si può guidare un movimento che raccoglie milioni di voti fino al 33% senza strutture territoriali, senza efficienza organizzativa nei comuni, affidandosi a delle consultazioni online ridicolizzate da avversari e media? Non può, questa forza politica, galleggiare nell’indefinito “né destra e sinistra”. Si getta un patrimonio al vento. Anche nel caso dei 5 Stelle, gli elettori, hanno esercitato in questo voto una straordinaria forza di selezione nella convinzione di farsi del bene.
Come si interviene? Guardando la realtà in profondo ed anche nelle sue manifestazioni più elementari. Quando Nadeia De Gasperis, per UNOeTRE.it, intervistò Nicola Fratoianni, mi colpì il desiderio di intervenire che si manifestò negli ascoltatori pur in una circostanza non proprio definita a quello scopo. Intervennero in quella occasione Pietro Fargnoli animatore dell’Associazione Pendolari Roma Cassino, Stefano Pizzutelli Consigliere comunale di Frosinone, Daniela Bianchi che guida il movimento per il recupero della Certosa di Trisulti da Stive Bannon e il giornalista Gino De Matteo. Senza entrare nel merito dei singoli temi affrontati va sottolineato come in ognuno di essi ci fosse chiara e precisa la richiesta di promuovere la protesta per portare alla luce disagi e sofferenze, obiettivi promessi e mai realizzati. Il loro dire si potrebbe riassumere nelle parole “Riscatto e Protesta”, oltre alla voglia di poter dire la propria perché segnalavano di essere privi di sedi dove esprimersi. Interessante mi parve quanto accadde all’intervento di De Matteo. Il giornalista, impegnato nell’Ufficio stampa del comune di Frosinone e nel quotidiano L’Inchiesta pose un problema chiamando in causa i sindacati: qui in provincia di Frosinone, dice, non c’è movimento, non ci sono proteste e usando un termine errato di cui si pentì subito dopo, chiamò mestieranti i sindacalisti che a suo parere non svolgono adeguatamente il loro lavoro.
In questo rapido accadimento occasionale vennero alla luce due questioni importanti: l’assenza di promozione delle proteste e l’individuazione di chi dovrebbe promuoverle.
Dico subito che in questo manifesto interesse c’è una novità, benvenuta, ma piuttosto assente e qualche volta demonizzata, soprattutto dal PD che ha conculcato sempre ogni minima rivendicazione. Benvenuta quindi questa esigenza. Ma la protesta nasce da sola? Anche, ma non sempre, ha bisogno a volte di una levatrice e chi meglio dei sindacati dovrebbe svolgere questa funzione? Al De Matteo fu risposto che non era vero, perché in giugno ci sarebbe stata una manifestazione unitaria di pensionati Cgil, Cisl, Uil a Roma. Quella grande e bella e forte che abbiamo visto il 1° giugno.
A ben guardare l’osservazione non è infondata e la risposta è insufficiente e deviante rispetto alla richiesta, che è riferita al territorio, ai bisogni specifici del territorio. Qui c’è un vuoto doloroso e colpevole. Non si protesta e neppure se ne vuole sentire parlare.
C’è una forte centralizzazione dell’iniziativa, giustamente indispensabile oggi, ma a questa deve urgentemente seguire il massimo decentramento dell’attività nei territori.
Una domanda, ma perché le forze della sinistra dovrebbero lasciare la protesta alla destra? La protesta è il potere negoziale della sinistra, è il suo legame con le donne e gli uomini, è la sua identità nel territorio e questo bene può e deve ritrovarsi nelle grandi iniziative nazionali, ma non ne può essere sostituito.
Giorgio Amendola nel suo bel libro “Una scelta di vita” ricorda di un suo comizio in un comune dove in altri tempi, prima di lui, parlava suo padre e sottolineava la differenza: allora finito il comizio restavano solo echi di parole che sarebbero svaniti. Nella sua epoca invece c’era un partito, il Pci, che ogni giorno avrebbe operato perché quelle parole, quelle impostazioni non solo fossero ricordate ma diventassero iniziative concrete. Questa è l’importanza di essere radicati nel territorio.
Vai alla parte terza: Il PD – Primo articolo
aggiornato il 5 giugno ’19
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