di Nadeia De Gasperis – La paura più grande è quella di trovare dei bambini morti, è facile che accada in 10 cm di acqua, quando ormai, storditi dalle esalazioni dei motori, così ammassati su un “barchino” o gommone, i genitori o compagni di viaggio non riescono a tenerli svegli. La paura è più grande quando troviamo persone vive, un paradosso che solo l’esperienza può spiegare, convincerle a farsi salvare, non ti allungano una mano, si lasciano morire, scambiandoci per libici, i libici che vengono sempre avvisati per primi, proprio dalle nostre coste e con le loro imbarcazioni che vanno a 40 nodi orari, rispetto le nostre che riescono a portare al massimo i 12, non c’è gara.
Questo e molto altro è stato trasmesso, non solo dal video ma dalle parole del fotoreporter Valerio Nicolosi*. Un appuntamento organizzato a Sora dall’associazione Rise Hub che da anni lavora per l’inclusione e con la collaborazione del Collettivo Storie d’amare, associazione sorana di più recente formazione.
Una anteprima del docufilm di Nicolosi per le cittadine/i di Sora. Si tratta di un documentario di 60 minuti che narra i destini che si incrociano lungo le frontiere del Vecchio Continente. Per la realizzazione del progetto è stata attivata una campagna di crowdfunding sulla piattaforma Produzioni dal Basso. L’autore sostiene di aver ricevuto due proposte di produzione ma per un progetto di questa natura non si può “contrattare”, nasce e deve rimanere indipendente.
Nicolosi è uno dei due operatori della stampa a cui è concesso di salire a bordo della Open Arms, ha avuto esperienze anche con Mediterranea e Sea Watch ma Open Arms è e rimane la sua famiglia, come lui stesso la definisce.
È stato a bordo anche un mese intero, per un anno è sceso e salito dall’imbarcazione. Quando sei sopra, racconta, se c’è bisogno di salvare ti rimbocchi le maniche, non puoi dare priorità alle riprese, e come sostiene lo skipper della nave, non esistono eroi che salvano, esiste un equipaggio dove ogni elemento è fondamentale, dal primo soccorritore al cuoco.
È accaduto di arrivare contemporaneamente alle imbarcazioni libiche, di essere stati anche minacciati con le armi, in quel caso si può contare sulle forze armate del territorio di riferimento, negli altri casi è una corsa contro il tempo, a volte combattuta con l’astuzia.
“mi sento un privilegiato” sostiene Nicolosi, per quello che ho potuto fare, una volta ho preso un ragazzo per i capelli, voleva lasciarsi annegare, convinto che fossi un libico, i miei tratti somatici non mi aiutavano quanto quelli di un mio compagno, biondo e alto, che riusciva a convincere prima di essere un europeo.
Cosa si può fare da terra?
Si deve sostenere le ONG e raccontare la verità, lavorare a cambiare il linguaggio quando di parla di migranti e migrazioni, che non sono l’emergenza, sono ormai un fatto consolidato che va affrontato come tale.
Il dialogo con le cittadine/i ha seguito la proiezione del film, moderato dalla giornalista Faticante, dopo un silenzio eloquente e lacrime agli occhi, occhi lucidi. Sono bastati pochi minuti di film per muovere sentimenti contrastanti, di rabbia, impotenza, desiderio di riscatto, vicinanza.
*Valerio Nicolosi è Filmmaker Freelance presso Associated Press
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