Bentornati tra le righe di questa rubrica. I disappunti di viaggio di questo numero li ho idealmente ascoltati dal fluire delle acque del fiume che percorre la nostra terra, il Sacco. Proprio il suono dell’acqua mi ha suggerito tutti i disappunti che il fiume stesso porta con sé, durante il suo viaggio in ciociaria. Un tempo florido, bello, pulito e occasione per un territorio rurale, oggi il fiume Sacco trasporta tutto il peggio possibile, tra sostanze inquinanti e malattie correlate ad esse. Certamente visto come un pericolo dalle persone che osservano il suo corso sinuoso tra le campagne ciociare, eppure se il fiume potesse parlare sarebbe il primo ad essere arrabbiato per quello che l’uomo ha fatto per lui.
Proprio questo ha stimolato la mia fantasia, immaginando una lettera aperta scritta da un corso d’acqua ai suoi conterranei, fiume che nasce placidamente nella periferia di Roma, costretto poi ad attraversare, per 87 km, uno dei territori più inquinati d’Italia. Nessuno sarebbe felice di fare un viaggio del genere, ma il Sacco è costretto, perché la natura gli ha riservato questo spazio di esistenza. Già dopo pochi chilometri i primi colpi bassi, nella zona tra Colleferro ed Anagni; una volta il fiume lì proseguiva la sua corsa portando dietro il bello della biodiversità della campagna laziale. Da qualche anno, invece, il povero Sacco è costretto a lambire delle rive poco accoglienti, che gli offrono solo sostanze che inquinano le sue acque. Ma continuando la sua corsa verso la bassa provincia di Frosinone le condizioni non migliorano. E ancora aziende, ancora criminali che continuano a colpire l’inerme Sacco con pesanti pedate in pieno volto.
“E passo Supino” -penserà tutti i giorni il nostro povero fiume- “e poi ancora Patrica, e Ceccano, fino ad arrivare a Ceprano dove incontro Liri, mio fedele compagno di sventure. Non avete alcuna pietà per questo povero vecchio fiume che vi ha dato la vita. Quante volte con le mie acque ho reso fertili i vostri raccolti; e quante altre ancora ho accolto i tuffi dei ragazzi che venivano a fare il bagno lungo le mie sponde. Ma oggi nessuno mi guarda più con gli occhi dell’opportunità, anzi, vedete in me il nemico giurato, il pulcino brutto e nero da evitare. Ma c’è qualcuno che si chiede cosa provo io ad essere maltrattato costantemente, metro dopo metro?
Nessuno mi vede come un essere animato, eppure sono fatto di acqua, materia principale per ogni essere vivente. Ma proprio alcuni di questi esseri continuano ad infangare il mio nome, costringendomi a portare nella vostra, anzi nella nostra terra, malattie, inquinamento e morte”.
Forse guardare un fiume come un soggetto che pensa e scrive delle parole per noi, suoi vicini di casa, potrebbe sembrare troppo. Ma credo sia necessario ragionare sull’opportunità che la nostra terra ha avuto dalla natura; non è un caso, infatti, che le grandi civiltà della storia siano nate nei pressi di corsi d’acqua. Ma per la Ciociaria la storia è stata ribaltata, per far fronte alla costante corsa al modernismo dell’industrializzazione senza vincoli. La cecità di una politica, offuscata dal facile bacino di voti da cui attingere, ha tradito la vocazione agricola del nostro territorio, modificandone ogni sua caratteristica, a partire chiaramente dalle acque del fiume Sacco.
Oggi si parla tanto di bonifica e riqualificazione dell’intera Valle, ma in pochi sanno intercettare gli errori strategici che hanno portato al declino ambientale la nostra terra. Per questo ho immaginato queste parole di Sacco, un fiume che farebbe di tutto per tornare a dormire quello che era, perché è il primo ad amare la terra che ospita il suo corso.
Serve una visione nuova per tutta la zona della Valle del Sacco, che sappia mettere al centro del sistema le risorse, umane e naturalistiche, utili ad un nuovo sviluppo verde ed ecosostenibile. Una condizione necessaria per far ripartire la macchina socio-economica del territorio, smettendola finalmente di barattare la salute con il lavoro. Il Sacco è una risorsa, ma serve chi è in grado, a differenza di tanti anni fa, di vedere le opportunità future, senza costruire i castelli di utopie che hanno solo distrutto la Ciociaria.
È tempo di ripartire dalla nostra terra e dalle sue ricchezze, sta a noi intercettarle e riqualificarle.
Questo numero di “Disappunti di viaggio” si chiude con l’obiettivo puntato verso il futuro. Un obiettivo che ha, però, bisogno anche del suo glorioso passato per diventare realtà. Per questo vi invito di nuovo a segnalare i vostri disappunti, cosicché il viaggio verso il nostro futuro, il futuro della nostra terra, ci porti a costruire basi solide e grandi opportunità.
Ancora un saluto dal vostro viandante cronista, con l’appuntamento a mercoledì 4 dicembre, per un nuovo numero di “Ciociaria: disappunti di viaggio”
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