di Antonella Necci – Non tornerà in Italia il Cimabue ritrovato nella cucina di una casa a Compiègne, nel nord di Parigi. Un quadretto appeso appena sopra la piastra. Così, come se niente fosse, un’occhiata di passaggio scaldando minestroni, che l’anziana proprietaria di casa pensava fosse un’icona religiosa greca. Finché ha deciso di farlo valutare, che non si sa mai.
È saltato fuori che l’opera (1240-1302) originale, certificata da Jerome Montcouquil esperto d’arte del laboratorio di periti Turquin, è il “Cristo deriso”, un dipinto su legno di piccole dimensioni (25,8 cm per 20,3 cm), battuto all’asta da Actéon per quasi 24,2 milioni di euro all’inizio di novembre. Oltre quattro volte la stima che era stata fatta all’anziana signora.
Ma la Francia ne ha bloccato l’esportazione.
Il Ministero della Cultura francese ha firmato il provvedimento che sancisce il blocco dell’esportazione, provvedimento che annulla il certificato d’esportazione già rilasciato, e ha conferito all’opera lo statuto di “tesoro nazionale” per un periodo di trenta mesi, che comincerà a partire dalla notifica della decisione al proprietario dell’opera. In questi mesi la Francia li utilizzerà per raccogliere i fondi necessari ad acquistare il “Cristo deriso”. Se ci riuscirà, l’opera di Cimabue raggiungerà la “Maestà” del pittore fiorentino già conservata al Museo del Louvre.
La decisione di bloccare l’esportazione è stata approvata dal ministro francese della cultura Franck Riester. “Saluto positivamente”, ha dichiarato Riester, “il ruolo importante ricoperto dal dispositivo di controllo sull’esportazione dei beni culturali, finalizzato a proteggere e arricchire il patrimonio nazionale e ringrazio i membri della Commissione consultativa dei tesori nazionali, sotto l’impulso del suo presidente, Edmond Honorat, il cui attento esame della proposta di rifiuto del certificato chiarisce la mia decisione. Grazie ai tempi concessi da questa misura, potranno essere effettuati tutti gli sforzi affinché quest’opera eccezionale possa arricchire le collezioni nazionali”.
Secondo il laboratorio di periti, il quadro dell’artista che in vita riconobbe il talento di Giotto, è in eccellente stato di conservazione e probabilmente è elemento di un dittico del 1280, nel quale erano rappresentate su otto pannelli di simili dimensioni, alcune scene della Passione di Cristo. Fino ad oggi, di questi pannelli, se ne conoscevano due: “La Flagellazione” della Frick Collection di New York e la “e la “Madonna col Bambino in trono” conservata alla National Gallery di Londra.
“Non ci è voluto molto per capire che si trattava di un’opera d’arte del pittore italiano Cimabue”, ha detto Montcouquil aggiungendo che mai prima d’ora un dipinto dell’artista Cenni di Pepo, nato a Firenze intorno all’anno 1240, era stato messo all’asta. “Ci sono solo 11 dei suoi dipinti al mondo, sono rari”, ha detto Montcouquil.
Il “Cristo deriso” era finito in una cucina di Francia. La notizia fa scalpore se applicata allo stravagante metro di giudizio che determina lo spirito di conservazione degli inestimabili beni culturali di cui il nostro paese è pieno. Come è finito in Francia, ed esattamente nel nord di quel paese, un’opera del nostro Rinascimento? E come è finito ad ornare una cucina? Probabilmente se l’anziana signora non avesse avuto l’intuizione di far stimare il quadretto, il dipinto sarebbe rimasto in bella mostra per qualche altro secolo. Quello che più stupisce, infine, è che lo stato italiano non faccia niente per riappropriarsi di una simile opera che, invece del Louvre, potrebbe tornare nella natia Firenze, magari agli Uffizi. Nemmeno metter su una gara per vedere se anche noi siamo in grado di raccogliere 24 milioni di euro e di orgoglio nazionale per riprenderci ciò che è nostro.
Ma niente. Parole inutili. Se esistesse l’orgoglio nazionale avremmo una classe dirigente e politica degna.
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