Donato Galeone in dialogo con l’articolo di Franco Di Giorgio
Abbiamo l’impressione che la Rubrica di unoetre.it “Storie del Frusinate “ abbia avuto una buona partenza. Non abbiamo ricevuto e pubblicato solo pezzi di storia con una propria autonomia cittadina ma anche, con grande soddisfazione, questo intervento di Donato Galeone, già dirigente della CISL di Frosinone, che mantiene e sviluppa l’attenzione sulle considerazioni poste precedentemente da Franco Di Giorgio, riguardanti lo stato dell’economia della nostra provincia negli anni 70, offrendo così ai nostri lettori i connotati di una vero, positivo confronto. (Angelino Loffredi)
di Donato Galeone – Nicola Zingaretti, Presidente della Regione Lazio e Segretario del DP ha dichiarato di: “non sprecare l’occasione proveniente dai 270 miliardi di euro (di cui 100 a fondo perduto) concessi dall’Europa che daranno fondamento alla strada dove camminerà il futuro”.
Ottobre 1976: Le crisi aziendali si moltiplicano e si perde il lavoro
(da IL TEMPO del 15 e 17 ottobre 1976 e da www.unoetre.it del 20 luglio 2013)
Con la moltiplicazione delle aziende in crisi non solo la DC perdeva consensi il 20 giugno 1976 ma neppure altri Partiti sostengono l’azione dei Sindacati che denunciavano giorno dopo giorno la perdita di posti di lavoro a centinaia ed era assente anche la nuova Giunta Regionale Lazio eletta nel 1975.
Il Governo, guidato da Giulio Andreotti, tentava di rilanciare l’economia nazionale ma emergeva sempre di più nel Paese e nella nostra Provincia, sia tra gli operatori economici che nel movimento sindacale e nelle istituzione locali su «come gestire la ripresa economica in assenza di una politica industriale ”oltre agli scarsi indirizzi e modalità su come, conseguentemente, avviare le “ristrutturazioni e le riconversioni produttive”. Il giornale quotidiano “IL TEMPO” – cronaca di Frosinone – rendeva pubblica una mia lunga intervista nei giorni 15 e 17 ottobre 1976: “entravo nel merito della crisi del lavoro, la riconversione industriale e la ripresa economica».
All’ampia domanda della “ripresa economica e la sua gestione, così come sulla riconversione produttiva e la ristrutturazione industriale” emergeva necessaria quanto urgente una svolta qualificante del nostro sistema economico sostenuto da un indirizzo di programma economico e sociale del Governo che mancava, allora, e risulta assente assente oggi.
Fu questa la mia prima risposta di contesto generale ed aggiunsi che alla domanda politica si integrava l’impegno delle parti sociali – se volevano contare nella società democratica – per favorire e poi verificare l’indirizzo di programma economico di Governo, esercitando un loro specifico ruolo autonomo che poteva essere anche più determinato per avviare una “democratizzazione dell’economia” con la partecipazione dei lavoratori nelle imprese annunciata più volte a solo parole.
Alla domanda sul come intervenire per la ripresa produttiva del basso Lazio, tanto nelle nostre aree quanto nei nuclei in declino industriale – quali potevano essere i livelli politici ed operativi – rispondevo che era mia convinzione, per essere vincente la politica economica del Governo, il concordare quale versione dare alla riconversione degli apparati produttivi nel contesto di una politica industriale, competitiva nel suo complesso, entro cui indirizzare e guidare il programmato sviluppo economico.
Si trattava di tenere presente la reale faccia del nostro Paese, del basso Lazio e della Provincia di Frosinone, congiuntamente, al notevole sottosviluppo del Mezzogiorno e delle aree depresse del Centro e Nord, non valutando residuale il settore agricolo-forestale, essenzialmente, per l’utilizzo delle sue fonti energetiche rinnovabili.
Condividere ragionevolmente, quindi, per dare contenuti alle parole una volta delineati gli obiettivi che si intendevano gradualmente raggiungere attorno a proposte verificate se praticabili in tempi certi.
Tempi favoriti, peraltro, dall’utilizzo mirato e coordinato dei mezzi finanziari incentivanti le ristrutturazioni aziendali o le riconversioni produttive, auspicando momenti unitari, partendo dai luoghi di lavoro e dai settori produttivi del basso Lazio, quale “luogo economico” che realizzava e realizza le interdipendenze e il riequilibrio tra gli stessi settori produttivi ( industria, agricoltura e servizi nella dimensione provinciale e regionale).
Alla domanda non localistica ma del “territorio luogo economico di sviluppo” aggiungevo che il territorio – nella sua realtà comprensoriale regionale e provinciale – era ed è la dimensione di livello politico e operativo più valido, capace di correggere localismi e invertire, se necessario, una debole ripresa finalizzata a se stessa che, spesso, non concedeva e nè promuove un forte sviluppo economico riequilibrato e neppure assicura lavoro vero, non precario, anche in quelle imprese da ristrutturare o da riconvertire.
In concreto sostenevo che tutti i comportamenti territoriali sono più visibili – toccando con mano – i livelli della occupazione e attivando una mobilità occupazionale che favorirebbe, anche, il contenimento delle risorse di cassa integrazione, mediante la ripresa del lavoro e in misura maggiore in quei settori indotti della grande industria entro cui si contano perdite di posti di lavoro e continui ingressi di persone nella povertà delle famiglie, con il cessare del sostegno al reddito.
Alla domanda conclusiva “sull’utilizzo dei mezzi finanziari” per rilanciare le aziende in crisi e in corso di chiusura o di altre attività produttive che annunciavano riduzioni o licenziamenti di lavoratori la mia riposta – pur soggettiva e lontana nel tempo, oltre 40 anni, non era e non è cambiata sui sistematici ritardi di Governo verso le scelte di politiche economiche o meglio verso quei Governi che non riescivano e non ancora a definiscono un condiviso orientamento di “politica industriale” per settori produttivi.
Il mio riferimento era ed è rivolto a tutte quelle aziende che, profittando dell’intervento pubblico, avevano promosso l’attività industriale più sulla spinta di un favorevole momento import ed export, mistificando l’iniziativa o giustificandola formalmente con un rilancio produttivo settoriale a livello nazionale – collegata alla domanda estera – ma aggiungendo e sottolineando che quelle aziende, fuori da un quadro nazionale e internazionale di riferimento, potevano avere una ripresa produttiva ma molto limitata.
Pensavo e continuo a ritenere che, in ogni caso, si dovrà contrastare – con il massimo rigore – la facile propensione al “salvataggio di incapaci imprenditori” ma capaci speculatori di denaro pubblico oltre che esportatori di prodotti industriali, congiunti, alla grande evasione ed elusione fiscale o tributaria delle quali se ne evidenzia, ancora, la vergogna italiana tra i Paesi europei.
Concludevo la mia intervista sul “corretto utilizzo del pubblico denaro” ritenendo ragionevole e giusto ‘condizionare e proporzionare’ ogni intervento agevolato o garantito dallo Stato – all’impresa richiedente – se mira alla ripresa programmata dell’economia mediante“ piani industriali di investimenti produttivi”che salvaguardino la salute nei territori e luoghi di lavoro, con equità retributiva contrattata e partecipata.
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