Storia. Ricordi
Rivista culturale-rotocalco – unica nel suo genere. Raggiunse le 100mila copie vendute
di Roberto Salvatori
Mentre nel nord Italia occupato dai tedeschi la guerra continuava, il 27 marzo 1945 a Roma, su iniziativa della sezione stampa e propaganda del Partito comunista italiano e all’impegno del giornalista, autore teatrale e critico letterario Giulio Trevisani (1890-1969), uscì il primo numero de Il Calendario del Popolo, forse il primo e unico «magazine» del tempo e una delle più longeve riviste nel panorama culturale e politico italiano. Uno straordinario percorso editoriale durato settant’anni e terminato nel settembre 2015 con la pubblicazione dell’ultimo numero.
Approvata da Togliatti, che ne seguì sempre con attenzione gli sviluppi, all’inizio la rivista uscì come quindicinale, impostata da Trevisani sulla falsariga dei calendari-almanacchi molto in voga nei primi anni del ‘900. Sui contenuti culturali e politici invece, egli aveva le idee chiare: veniva dall’esperienza del circolo culturale creato all’interno della sezione Salaria, dove «un’intensa curiosità di sapere» animava i compagni vecchi e giovani, i primi per riannodare le fila con ciò che avevano appreso nelle università popolari, dalle pagine dell’Avanti! e della Critica Sociale, i secondi per avvicinarsi al marxismo e alla storia del movimento operaio. nelle università popolari. Racconterà, in seguito, che entrambi erano «impazienti di conoscere la verità su ciò che, per venti anni, il fascismo aveva nascosto e deformato». Negli anni dell’immediato dopoguerra, la rivista – di cui Trevisani ne sarà direttore fino al 1969 – svolse un ruolo importante e centrale nell’ambito dello sforzo compiuto dal PCI per l’alfabetizzazione, la formazione dei militanti e dei quadri, e nella diffusione di un sapere accessibile a tutti, come una specie di enciclopedia popolare. Era l’immagine di un secolo in cui si considerava politica la trasformazione di sé. Carlo Salinari, successore di Trevisani, scrisse che «Il Calendario del Popolo assolse con successo questi compiti: il suo asse culturale fu la storia e, in particolare, la storia del movimento operaio […] e, intorno ad esso, un’informazione enciclopedica che servisse di base al nuovo pubblico che si accostava ai problemi della cultura: operai, contadini, piccola borghesia impegnati in una lotta politica che doveva essere nutrita da adeguati sostegni ideologici e culturali».
Dopo gli ottimi risultati di vendite, la redazione venne spostata a Milano e dal 1° gennaio 1946 Il Calendario uscì come mensile. Gradualmente la formula delle date-ricorrenze fu abbandonata per far posto alla cultura, che venne divisa in settori. Dopodiché il comitato di redazione decise di aumentare il numero delle pagine e di far diventare Il Calendario del Popolo una rivista culturale-rotocalco – unica nel suo genere – che raggiunse le centomila copie vendute. Negli anni, la mission postbellica di alfabetizzazione dei ceti popolari e di divulgazione della memoria storica della Resistenza lasciò il posto all’innovazione: la rivista divenne centro propulsore di molte iniziative di promozione culturale e protagonista di dibattiti su letteratura, cinema e teatro. Dopodiché un lento e graduale calo delle vendite la portò presto alla crisi. Nel 1964 Nicola Teti si offrì di rilevare la rivista, ripianarne i debiti e proseguirne la diffusione – come Edizioni del Calendario del Popolo e dal 1976 come Teti Editore – attraverso gli abbonamenti e il circuito librario. Nel 2010, anno della scomparsa dell’editore, il Calendario fu ereditato dal figlio Sandro, che lo ripropose come trimestrale. Ricordo che con quest’ultimo ebbi un breve approccio nel tentativo di pubblicare la mia bozza sulla guerra e la Resistenza a sud di Roma, ma poi non se ne fece nulla. Nel maggio 2011, nell’ambito della fiera della piccola e media editoria che si svolse nel castello Colonna di Genazzano partecipai, su invito di Martina Ercoli, responsabile dello stand espositivo Sandro Teti Editore, al convegno «Lavoro e diritti nella società liquida» e alla presentazione del n. 751 del Calendario del Popolo nella sua nuova veste grafica.
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