Salvini il trasformista

renzisalvini 390 minSalvine e Renzi, i due comoari della politica itraliana

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 La palma del saltimbanco va sicuramente a Matteo Salvini

di Aldo Pirone
renzisalvini 390 minPer stigmatizzare gli indegni effluvi di adorazione che nei confronti di Draghi emanano dalla stampa di lorsignori, qualcuno si è rifatto, ironicamente, a una pubblicità del celebre “Carosello”: “Falqui, basta la parola”. Cioè basta il cognome dell’ex governatore della Bce perché qualsiasi problema politico scompaia. Abbattuto Conte, quasi tutti si sdraiano su “Supermario”, a prescindere da ciò che proporrà sia sul piano del programma di “salvezza nazionale” sia su quello della struttura, i ministri, della compagine di governo. Di Renzi, Bonino, Calenda, Berlusconi e altre frattaglie centriste o semicentriste si sapeva già. Ognuno ha i suoi interessi particolari economici, politici, personali da difendere e mettere al sicuro. Il governo Conte non glielo permetteva, sperano che Draghi sia più condiscendente. Del resto su qualcuna di queste “interiora corporis” i giallorossi hanno puntato per procurare a Conte quegli 8-10 senatori in più per metterlo a riparo da Renzi–Attila ma senza successo.

Per descrivere le giravolte in corso, i salti mortali tripli carpiati e le multiformi esibizioni clownesche, lo spettacolo più consono è sempre quello del Circo Barnum. Ieri la palma del saltimbanco è andata sicuramente a Matteo Salvini. Sentirgli citare Parri, Togliatti e De Gasperi, al tempo del Cln antifascista, come esempi storici per giustificare il suo trasformistico cambiamento di posizione rispetto a tutto quello che ha sostenuto, fatto e minacciato in termini di flat tax, immigrazione, Europa nemica dell’Italia, ecc., in questi anni, non fa arrabbiare, fa solo scompisciare dalle risate. Sulla pandemia è stato lassista e aperturista di tutto e di più, ha occhieggiato a ogni riduzionismo, si è tolto la mascherina per compiacere gli scimuniti negazionisti per poi rimettersela solo per inneggiare a Trump; in Europa sta con la Le Pen, ha appoggiato Orban e tutti i sovranisti nemici dell’Italia, non voleva il Recovery plan e ancora qualche giorno fa in TV esaltava la Brexit e molto altro ancora. L’intenzione del voler stare nel governo Draghi il “bauscia” l’ha chiaramente motivata: “Preferisco essere nella stanza dove si decide piuttosto che stare dove si assiste ad esempio nella stanza dove si deciderà come spendere i 209 miliardi del Recovery”. Altro che “prima gli italiani”! Prima i miliardi. Il malloppo europeo val bene una messa. Tanto più che, secondo Salvini, l’occasione Draghi non richiederebbe né pentimenti né ritrattazioni.

E’ evidente che nella Lega la parte più scontenta (Giorgetti, Zaia ecc.) dell’abbrivio nazionalista, sovranista e xenofobo preso da Salvini vuole cogliere l’occasione di Draghi per prendere molti piccioni con la fava di “Supermario”: abbandonare l’antieuropeismo salviniano, riciclarsi come potabili europeisti a Bruxelles e dismettere il prolungato tentativo di sostituire il nazionalismo al federalismo padano. In fondo a questa riconversione c’è il ritorno alla “fabrichetta” della “patria padana”.
Non è detto che questa giravolta faccia pagare un prezzo elettorale a Salvini. Che poi è quello che spera la Meloni rimasta sola all’opposizione con la freccia alzata per il sorpasso. Può darsi, ma molto dipende dall’iniziativa del fronte progressista. Intanto bisogna considerare che la maggioranza degli italiani oggi è per la riuscita del tentativo di Draghi, per le ragioni note: vaccinazione, ripresa economica legata al Recovery plan, sostegni e aiuti sociali. La disponibilità di Salvini a concorrere può non essere vista di malocchio dal suo elettorato o almeno a parte di esso. La cultura di fondo di questo elettorato anche popolare è storicamente più propensa a cogliere al volo il senso dei propri interessi, è meno nutrita di senso civico e anche del ridicolo, punta all’osso, non guarda le cose con il prisma di valori come onestà, coerenza, dignità ecc.. E’ di bocca buona, disponibile alle giravolte trasformistiche se di mezzo c’è il soldo e la difesa del proprio “particulare”. Cosa ben diversa, nonostante tutti i declini e le delusioni subite, è la constituency dell’elettorato progressista e democratico.

Ciò vuol dire che Leu, Pd e M5s debbano arrendersi e accogliere fischiettando la prepotente e trasformistica disponibilità del “bauscia” meneghino? Niente affatto. Intanto è bene fargli rilevare tutte le contraddizioni e le giravolte rispetto alle posizioni precedenti con cui si è ingrassato elettoralmente. Inoltre, per debellare la sua prosopopea clownesca bisogna evidenziare ancor più nettamente i punti programmatici da lui e dai suoi elettori sempre avversati: riforma fiscale progressiva, patrimoniale ai tremila superricchi, niente condoni mascherati da paci fiscali, continuazione del blocco dei licenziamenti e dei sostegni ai lavoratori ai ceti popolari e a quello medio (commercianti, partite Iva ecc.), politica di accoglienza per gli immigrati, “ius cultura” e “ius soli”, transizione ecologica, mantenimento dell’interruzione della prescrizione nel processo penale, Recovery plan rigoroso secondo le direttive ambientaliste europee, abolizione di quota 100 quando cesserà alla fine dell’anno e conferma-miglioramento del reddito di cittadinanza, niente mani sulla gestione del Recovery plan.

Togliatti osservava che in politica anche il trasformismo è un movimento, farlo fallire è doveroso facendo politica nella situazione data, avendo con sé robusti princìpi e rifuggendo dal panico. Le contraddizioni sono nel campo avversario del “bauscia” e lì bisogna farle rimanere rivoltando il coltello nella piaga non consentendogli alcuna allegra capriola. In questa situazione Leu, Pd e M5s dovrebbero muoversi all’unisono nel porre le condizioni programmatiche suaccennate a Draghi. Quello che non si può fare è affidarsi mani e piedi, come va dicendo Zingaretti, “alla sintesi” di “Supermario” perché quella sintesi sarà la risultante delle forze in gioco, delle loro iniziative e non solo della volontà e dell’orientamento personale del Presidente del Consiglio incaricato.

L’eventuale governo Draghi dovrà basarsi su molte cose. Tra esse, una soprattutto: la serietà. Se le persone con cui si è costretti ad avere a che fare, (Renzi, Berlusconi, Salvini ecc.), non la garantiscono, e questo è più che assodato, ci vuole un sovrappiù di chiarezza politica e programmatica.

 

 

malacoda 75

Aldo Pirone, redattore di malacoda.it

 

 

 

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