PROTAGONISTI
Noi giovani dobbiamo conoscere, studiare e approfondire la storia di quest’uomo
di Jacopo Nannini In un Paese come il nostro, dove culture millenarie sono indissolubilmente legate alle tradizioni e storie locali, ogni terra detiene un suo personaggio granitico e ben saldo nella memoria di tutti.
Classe 1921, segretario della Federterra nel 1948, nel ‘51 della Camera del Lavoro di Frosinone, nel ‘52 consigliere provinciale fino a salire a Montecitorio alle elezioni politiche del 1953. Queste pochissime date non possono di certo riassumere gli incarichi e le battaglie di Angelino Compagnoni, per decenni in prima fila nella arida terra politica della Ciociaria.
Non si può comprimere nello scritto tutto ciò che è stato per la nostra provincia il senatore ceccanese, uomo che di giorno portava tra gli scranni di Montecitorio e Palazzo Madama le rivendicazioni di una popolazione fortemente provata dalla miseria e dalla fame, pronto a mettersi tra loro in canotta per difenderli da ogni rappresaglia padronale perché la saggezza e il coraggio della cultura contadina da cui viene, sono stati il lume più accecante della sua estenuante e lunghissima difesa degli ultimi, tra gli ultimi e per gli ultimi.
Può essere iconica del suo indissolubile legame con la sua terra e la sua gente una esperienza del senatore, riportata in uno storico articolo di Giorgina Levi sul “Calendario del Popolo“ dell’ottobre del 1983:
«Andavo a fare il giro quasi sempre nelle campagne con il tascapane pieno di propaganda, una bicicletta, e andai un giorno in un comune vicino al mio. E dovevo raggiungere dei contadini che stavano sulla montagna. Trovai un giovane proprio all’inizio della montagna che mi accompagnò. A mezza strada c’era un contadino, che credo avesse allora settant’anni dall’aspetto, e invece era molto più giovane. Credo che ne avesse quarantacinque, cinquanta al massimo. Gli dissi se voleva accettare la propaganda del mio partito. Lui mi rispose “Quale partito?”. E come me lo diceva in termini piuttosto bruschi, io genericamente risposi che si trattava del partito dei lavoratori, per vedere intanto quali erano le sue reazioni. E lui mi disse “Perché? Tu lavori?”. “Certo”, gli risposi, “che lavoro. Faccio la propaganda per il mio partito, però quando non faccio la propaganda io lavoro come lavori tu”. “E allora se lavori prendi la zappa e fammi vedere cosa sei capace di fare” mi rispose. E siccome lui stava solcando il terreno con la zappa per seminare il granturco e aveva fatto dei solchi con molte gobbe, io approfittai senz’altro dell’occasione per raddrizzarci il solco. E il contadino rimase talmente convinto ed entusiasta che io me ne intendevo per quel tipo di lavoro, che abbandonò tutto e venne con me a fare il giro per la montagna che durò fra l’altro per alcuni giorni».
Poiché Angelo Compagnoni, nella medesima intervista, ritiene il suo partito “uno strumento indispensabile perché mi ha fatto uscire dallo stato di ignoranza pressoché totale e mi ha dato un certa coscienza”, vogliamo che a raccontare la lunghissima vita politica del Senatore siano compagni di partito, uomini e donne* che ha incontrato nel suo percorso, giovani e anziani affascinati da una storia vera che incanta come la più bella delle fiabe.
Angelo Compagnoni avrebbe spento quest’anno 100 candeline, ma non per questo la sua appartenenza generazionale ad un passato politico che sembra lontanissimo ha confinato la sua storia e la sua attività ai suoi coetanei e a uomini che hanno con lui condiviso fianco a fianco decenni di battaglie.
A testimonianza dell’impeto e del profondo solco scavato dalla lotta politica di Angelo Compagnoni, del suo testamento politico aperto ne traggono benefici e stupendi spunti anche generazioni che mai hanno conosciuto il senatore di Ceccano. Neanche la cecità che consumava e appannava Compagnoni è riuscita a mozzare la lungimiranza e il quotidiano impegno nel diffondere i valori di libertà ed uguaglianza, facendo apparire orbi tantissimi politici di oggi dotati apparentemente di un’ottima vista.
Proprio per ascoltare cosa è stato ed è Compagnoni per tanti giovani, io, 20enne e segretario dei Giovani Socialisti di Frosinone, per ovvie ragioni anagrafiche non ho mai avuto l’onore di condividere con il senatore Compagnoni le battaglie politiche dei suoi anni da parlamentare e dirigente di partito. Ciononostante non posso confinare il mio pensiero su un gigante della nostra terra ai soli racconti dei più grandi o a ciò che si può apprendere da numerose interviste, carteggi, libri, resoconti parlamentari della interminabile attività di Angelo Compagnoni, bensì debbo ricordare l’indelebile momento delle esequie del senatore. Ormai Tre anni fa, nemmeno diciottenne, accompagnai mia madre (che nella sua militanza nella FGCI e poi nel PDS conobbe il senatore) a Ceccano al funerale pubblico in una piazza gremita di persone di ogni età.
Nei bellissimi ricordi di compagni e amici del senatore che si susseguirono notai un filo rosso che legava i racconti, inusuale per un momento dove la tristezza per la dipartita dell’ultimo dei grandi uomini di una politica sacra soffocava tutti. Dietro la voce commossa si poteva benissimo scorgere, anche in uomini e donne di età avanzata, un impeto di lotta e un grande sforzo nel proiettare nel futuro ad ogni costo i valori che condivisero in un passato con Compagnoni. Forse è proprio questo il più grande lascito testamentario di Angelo Compagnoni: essere consapevoli della profondità delle radici che ci legano ad un passato glorioso ma non per custodirne le ceneri, ma per essere ogni giorno combattenti per la difesa di quegli ultimi sostanzialmente esclusi dalla democrazia. Il suo più importante dono eterno è proprio questo spirito di costante slancio per compiere passi avanti per chi ancora attende l’attuazione della Costituzione, per ogni giovane che si sente parte di una delle decine di sensibilità della sinistra.
Quel giorno, al funerale del senatore, fui ad un tratto avvicinato da ex dirigente del PCI frusinate, che mi fece cenno di appropinquarmi verso il microfono per dare un ultimo saluto a nome degli studenti che allora rappresentavo come coordinatore provinciale della Rete.
Fui colto da un brivido difficilmente rimovibile dalla memoria e iniziai a parlare non senza fatica in gola, davanti a tanti uomini e donne che avevano rappresentato la seconda famiglia di Angelo Compagnoni.
Oltre al mio personale ricordo e soggettiva emozione ritengo che dobbiamo raccogliere quanto ci ha lasciato il senatore, quell’uomo che viaggiava sui treni tra la gente per raggiungere Montecitorio ben sessant’anni prima che diventasse moda sfoggiare ipocriti e artificiali bagni di umiltà. Perché Angelo Compagnoni ci ha insegnato il peso della responsabilità che si porta quando si rappresentano uomini e donne affamati e in lacrime per le loro sorti, ci ha fatto capire che quella canotta che portava mentre difendeva con il proprio corpo i contadini dalle repressioni padronali non era il feticcio di una politica oggi costretta ad apparire popolare con un offensivo e classista francescanesimo da battaglia, bensì il segno della fatica e del sudore di essere uomo che mai ha tradito i valori di uguaglianza e di libertà che sin da giovane lo hanno mosso.
Oggi abbiamo bisogno noi giovani di conoscere, di studiare e approfondire la storia di quest’uomo, perché siamo costantemente anestetizzati da una politica che ha abdicato alla sua missione di rappresentare le istanze sociali e i bisogni di alcune categorie della società pretendendo solo di mascherarsi dietro vuote parole e illudere di voler rappresentare tutti e non chi davvero ne ha bisogno. Noi giovani dobbiamo attingere alla eterna fonte di un uomo che con gli strumenti di oggi sembra poter essere esistito soltanto nel capolavoro “Baaria” di Giuseppe Tornatore, invece è testimonianza umana e vera di come il coraggio e la passione ideale di alcuni uomini hanno reso passo dopo passo questa Italia un paese più giusto e affrancato da certi soprusi.
Senza cercare eroi e miti altrove, a Ceccano c’è stato un uomo che ha speso il lungo ed estenuante cammino della sua vita personale e politica per non tradire mai quei contadini, quegli operai, quei disoccupati che sapeva difendere da gran signore sia in canotta che in abito da sera.
Mi permetto di dirlo, a Ceccano abbiamo avuto un nostro Giuseppe di Vittorio che si chiamava Angelo Compagnoni. Un uomo che ci ha insegnato, anche lui, a non levare il cappello davanti al padrone incarnando ogni giorno la solo apparente contraddizione di essere un utopista concreto.
Frosinone 18 sett. 2021
*Jacopo Nannini – Segretario dei Giovani Socialisti di Frosinone
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