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 LA TV DI STEFANO BALASSONE

Saziare il cliente da renderlo del tutto dipendente

di Stefano Balassone
internet salvatorearanzulla 390 minUsiamo Internet per sapere della guerra e per avere la pizza a domicilio. Per chi non sia edicolante o cameriere in pizzeria, questo è il lato chiaro, comodo e conveniente della Rete. Nel lato oscuro si nasconde, invece, la tensione perenne fra il Servo e il Padrone, ma stavolta dall’esito scontato perché il servitore è, nientepopodimeno, che l’intelligenza in Rete, capace di antivedere i sogni e i bisogni del Cliente e di saziarlo talmente a puntino da renderlo del tutto dipendente.

Progresso e Dipendenza

Come avviene, a quanto si sospetta, coi videogiochi on line, che si offrono come passatempo e si trasformano in vincoli e prigione per chi senza saziarsi ci si sfianca. Il dramma traspare dalle grida delle madri con i figli incollati alla consolle e perduti per la scuola, così come dai lamenti di chi perde le fortune nelle tante Las Vegas della Rete (sui siti di social news americani se ne racconta di continuo). Mentre l’aneddotica dei casi miserevoli dilaga, emergono sussulti organizzati di panico morale e s’avanza, leggero e inconsistente come sempre, il confronto fra apocalittici e integrati. I primi che enfatizzano quanto la Rete ci fa perdere creando nel contempo pericoli di conio sempre nuovo; gli altri che, infatuati di futuro, mettono nel conto qualche vittima, a pro’ del trionfo della tecnica e della trendy-fiducia nel Progresso.

Diagnosi

Evitando queste altezze e restando rasoterra, un dato di fatto pare certo: esiste una qualche relazione fra i videogiochi in rete e il cosiddetto “gaming disorder” (inteso come disordine mentale del giocatore compulsivo). Ma constatare una coincidenza non significa spiegarla, tant’è che la causa di quel disordine mentale sembra ancora alquanto oscura.

Tant’è che l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha aggiunto di recente al suo Manuale di diagnostica il “gaming disorder”, corredato da una lista (dichiarata peraltro provvisoria) dei sintomi del male, tra cui gli immancabili compagni di ogni dipendenza: la “dedizione al vizio” (con l’abbandono degli altri passatempi) e il “nascondimento” del medesimo (a partire dal tempo e dal denaro dedicato) perfino mentendo a genitori, compagni o terapisti. Quanto alla ricerca delle cause, si constata che il giocare compulsivo s’accompagna sempre allo stato depressivo, ma senza le evidenze capaci di decidere se la dipendenza dal gaming on line sia causa oppure effetto della depressione.

Ossessione ed Astensione

Mentre la Scienza cerca il bandolo del gaming disorder, la politica e il business ne scrutano le paure pronte a cavalcarle. Negli USA se ne parla nei sermoni e i candidati al Congresso se ne disputano a vicenda la bandiera; in Italia, conoscendo i nostri polli, c’è da temere l’istituzione dell’ennesimo Garante, i comunicati di associazioni pasticcione, le iniziative dei Procuratori da proscenio. La Cina si è, da parte sua, portata avanti col lavoro passando al proibizionismo con jucio (non per nulla l’industria dei video games è un vanto dell’Impero) che permette il gioco per tre ore settimanali nel week end. Quanto al business già s’affollano dovunque i guaritori e le cliniche che garantiscono la cura del gaming disorder, attraverso le terapie già collaudate per le dipendenze da sesso, alcool e droga.

Propp & Algoritmo
Al di là degli opportunismi del momento, il gaming disorder pare comunque l’anticamera di questioni che cresceranno insieme con l’espansione delle “vite in metaverso” perché i metaversi, siano di Zuckerberg o dei concorrenti, arruoleranno i loro praticanti proprio a partire dall’offerta del gaming. Nulla più della struttura del game on line è adatto infatti a “fidelizzare” la base degli utenti (il gaming disorder stesso è in fondo una fidelizzazione uscita fuori dai binari) grazie alla convergenza di due forze: il racconto che, come spiegano Propp e successori, è una struttura costante al di là del variare delle trame e trova risonanze non meno costanti e strutturali nei cuori e nella menti degli umani; la sorveglianza degli algoritmi su ogni azione e reazione che compiamo, dalla ricerca, al like, fino a tempi e contenuti delle scelte attivate entro un videogioco.

Quanto alla forza del racconto, ogni gioco è una favola che si svolge nel tempo e dice della pulsione a misurarsi con la vita prova dietro prova (fosse anche abbattere un mostro o scoprire l’antro del tesoro). Una iniziazione inarrestabile e continua agli occhi nostri e a quelli del branco che ci giudica, che diventa una specie di ordalia quando la posta in gioco è costituita dalla vita stessa (come raccontato da Squid Game) perché si rischia il denaro a dispetto del timore della fame. Così ogni sfida, accolta o rifiutata, innesca un episodio del racconto di noi stessi, si fonde con la vita offre il desto ai ricavi di chi spaccia in rete sfide a profusione.

Gaming su misura e polli da spennare

Lo specifico potere della Rete sta nel profilare. Dunque può mirare al gaming differenziato su misura e per consolidare, al di là d’ogni strattone il legame dell’utente con questa o quella piattaforma. “Differenziare” è infatti, come si sa, la parola magica delle piattaforme, all’opposto di chi fabbrica prodotti in serie “uguali per uguali”. E così, le sfide dei games non solo nascono diverse per le tipologie di base (i giochi d’azzardo o di abilità, i giochi di cura o gli sparatutto, e così via) dirette agli uni o agli altri, ma possono incorporare e gestire la coda lunga delle variazioni di concetti e di passioni e le stesse soggettività sensoriali cnel distinguere forma da forma, colore da colore, suon da suono e, in un probabile domani, profumo da profumo, sapore da sapore, contatto da contatto. Così, nel mentre che ti serve, l’Algoritmo “impara”, a colpi di statistiche chi sei e alimenta di suggestioni il reparto narratori, che può dilatare “just in time”, l’assortimento di personaggi e situazioni da introdurre nel nostro schema di gioco preferito. A patto di pagare.

Così il modello di business che si fa pagare il coinvolgimento in film serie, show o documentari, fa pariglia con quello dell’engagement (la massimizzazione del tempo e delle azioni svolte in Rete) sul quale campa ogni piattaforma. Tanto che le compagnie esperte di narrazione (Disney, Warner e così via) vorranno assorbire le competenze algoritmiche per farsi il proprio metaverso di racconti on demand e videogiochi immersivi derivati, oppure alleandosi strutturalmente con qualcuno (converrà tenere d’occhio in questa prospettiva, le mosse prossime di Twitter, se Musk giunge in porto con l’acquisto) che possiede un social, ma scarseggia di competenza del narrare.

Resta, come l’ombra di uno spettro, un dubbio che non si può evitare di pensare: che tanta potenza narrativa ed algoritmica sia mobilitata per beffarci, come accade con le tre tavolette sopra il tavolino. Per cui – mentre azzardiamo una giocata, o s’accumulano punteggi sparando ai mostri dello spazio, stiamo magari investendo tempo e soldi sulle orme di un Destino taroccato su misura dall’Algoritmo, come fa il Baro rispetto ai polli da spennare.

 

 

 

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