STORIA PROVINCIALE PROTAGONISTI
Un’intervista a due voci
di Romeo Fraioli e Fabio SimonelliSono molto lusingato di questa intervista che rilascio a mio nome e a nome di Fabio Simonelli che insieme a me coordina il Centro studi: dunque una sorta di intervista doppia.
Ma chi era Bernardo Nardone? Nato ad Arce il 10 febbraio 1867 dallo «stalliere» Gaetano che, volendo per il figlio un futuro migliore, lo fece raccomandare dall’onorevole Federico Grossi, deputato al Parlamento nazionale del Regno d’Italia, al preside del Liceo-ginnasio «Tulliano» di Arpino; da qui la vicenda in crescendo fino alla laurea in Giurisprudenza all’Università di Napoli e poi la frequentazione di quegli ambienti che saranno fondamentali per la sua futura formazione politica. Un’esperienza, quella maturata a Napoli, che gli premetterà di organizzare tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento i primi nuclei di quel sindacato che tanta parte avrà nella storia del movimento operaio in Terra di Lavoro. Il ciclo eroico e tormentato di Nardone si concluse in una fredda sera del gennaio 1941, quando ormai logorato dalle forze e stanco non riusciva nemmeno più a scrivere e a parlare: Rosina, sua seconda moglie nativa di Colfelice, venderà poco dopo la sua casa di Arce e i figli Gaetano e Nino non faranno più ritorno nel luogo tanto amato dal padre.
Su Bernardo Nardone, avvocato e sindacalista di Terra di Lavoro mi permetto di rinviare alla mia monografia, non senza ricordare che di lui hanno scritto, collocandolo ognuno nel contesto indagato, storici di alta levatura. Gianfranco Volpe nel suo lavoro sui moti a Napoli del 1898¹, poi Raffaele Colapietra² che lo hanno inquadrato, il primo tra le fila del Partito repubblicano quale candidato al Consiglio comunale di quella città e il secondo sempre a Napoli nel periodo della profonda crisi che seguì la Grande guerra, mentre compiva i primi passi all’interno del Soviet; bisognerà attendere il contributo di Michele Fatica, perché la figura di Bernardo Nardone venga finalmente inserita nel contesto storico della Terra di Lavoro: siamo nel 1914, alla vigilia del primo conflitto mondiale e, in occasione del Congresso socialista campano tenutosi a Napoli per discutere l’adesione al «neutralismo», Bernardo Nardone, incaricato di redigere l’o.d.g., poi pubblicato il 10 dicembre sul giornale «Il Socialista», intervenne quale delegato della Sezione socialista di Sora. Nello stesso ambiente lo colloca Luigi Gerosa nel suo secondo volume dedicato all’edizione critica degli scritti di Amadeo Bordiga. Un o.d.g. quello redatto da Nardone che plaudì nettamente alla linea neutralista del Partito, senza assumere però alcun impegno pratico contro la guerra: un atteggiamento che, come nota allora Gerosa, «rese scarsamente incisiva l’azione dei rivoluzionari napoletani contro la tendenza alla partecipazione dell’Italia al conflitto»³.
L’impegno attivo nel Partito ad Isola del Liri è, per così dire, testimoniato dagli studi di Francesco Barbagallo: agli inizi del secolo Nardone organizza non solo le prime le sedi di Partito nella Valle del Liri, ma anche i primi sindacati tra gli operai del Polverificio di Fontana Liri e tra quelli dell’industria cartaria tra Isola del Liri e Sora. E se a Fontana Liri fu soltanto il «motivo ispiratore» del giornale «Il Liri» fondato nel 1906 e diretto da Federico Venditti, ad Isola del Liri lui stesso diresse per alcuni mesi «La Luce», periodico fondato nel 1901 sulla base di una decisione del Congresso federale campano-sannita del 2 dicembre 1900⁴. Per approfondire questi ultimi aspetti della personalità di Nardone sono fondamentali i contributi scientifici di Aldo di Biasio⁵ e Alfredo Martini⁶ per la parte strettamente legata all’attività politica e sindacale e quelli di Vittorio Di Donato⁷ e Adriana Di Cianni per l’attività giornalistica di Partito⁸.
In generale, per una maggiore contestualizzazione dell’operato di Nardone in Terra di Lavori si dovrà aspettare dapprima il lavori di Carmine Cimmino⁹ del 1974 e a distanza di quindici anni quello di Maurizio Federico¹⁰: due opere che, per l’arco cronologico ricoperto 1861-1915, la prima, e 1919-1920, la seconda, si completano a vicenda, delineando, come una sorta di work in progress, tutta la storia delle classi subalterne della nostra antica provincia, dai primi organismi di base, quali società operaie, leghe di resistenza ecc., per arrivare all’ideale riscatto durante il «Biennio rosso».
Ma la storia di Nardone, “inciampa”, per così dire, anche nelle trame di romanzo, quello pubblicato da Giuseppe Neri nel 2003 (Il sole dell’avvenire), dove si narrano gli eventi di una comunità contadina di Terra di Lavoro che negli anni Venti lotta per un avvenire migliore. Nel libro tre sono i personaggi individuati: Antonio Gramsci, Pellizza da Volpedo intento a disegnare la sua «fiumana» e Bernardo Nardone e mi permetto di citare lo stralcio:
– Quando l’avvocato Bernardo Nardone spuntò sull’aia di Francesco del Turco, un gruppetto di coloni, addossato al muro della stalla, parlava della malasorte che gli era capitata tra capo e collo e se ne lamentava come di una disgrazia ineluttabile, di un’angheria della natura che li aveva defraudati dalla fatica, delle sementi e del raccolto. Li aspettava un lungo anno di quaresima, durante il quale avrebbero dato fondo alle loro magre scorte, i quattro coppi di fave e ceci, il mezzo staio di grano, qualche sacchetto di granturco, tenuti da parte per i tempi calamitosi.
Era un uomo smilzo ma piuttosto alto l’avvocato Nardone, con due occhi mobili e vivaci e portava al collo una cravatta a fiocco. Rossa. Si vedeva da lontano che era un uomo di carte e di penna e questo insospettì i contadini. Che cosa avevano da spartire, loro, con i galantuomini che sempre avevano fatto combutta con don Andrea Tricò e gli altri possidenti e che quando si avvicinavano alle loro case non era mai per dare qualcosa, annunciare una bella nuova, ma sempre per chiedere, pretendere, notificare un’ingiunzione o una nuova gabella? Nulla avevano da spartire e per questo, quando videro il forestiero spuntare sull’aia, istintivamente si arroccarono nel sospetto.
L’avvocato Nardone che, nei suoi stravaganti pellegrinaggi per le campagne, aveva imparato, a sua volta, a riconoscere la diffidenza contadinesca, si preoccupò subito di rassicurarli.
«Non sono venuto a riscuotere tributi o a rattristarvi con nuovi balzelli – si affrettò a dire in un sorriso -. Quest’anno poi ci ha pensato la natura a spargere cenere nelle vostre case – aggiunse e guardò la vallata, ricoperta da quello strato di fanghiglia indurita, screpolata, grigia, come una colata di lava -. Sono venuto – proseguì – a portarvi la solidarietà di altri contadini, impegnati in altre campagne e in altri paesi a lottare per una società meno iniqua, nel nome del socialismo».
Si guardarono in faccia i contadini, a quelle parole, non afferrandone appieno il significato e che perciò rimasero sospese in una indeterminatezza che non scalfì la loro diffidenza.
Solo Francesco del Turco ritrovò nelle parole dell’avvocato l’eco di discorsi lontani, quando soldato di leva a Torino, per ammazzare il tempo della libera uscita, si fermava, talvolta, ad ascoltare qualche oratore che, dall’alto di un palco, parlava delle ingiustizie del mondo, di sfruttamento, di riscatto e di un non meglio identificato sole dell’avvenire e a quelle parole il pubblico presente – facce dure, determinate, chiuse in una silenziosa aspettativa – faceva scoppiare un applauso scrosciante e qualcuno gridava anche viva il socialismo.
Ricordi accantonati, smarriti nel fondo nero della memoria e che ora, improvvisamente, ritornavano a galla, sfocati, nebbiosi e che attraverso le parole dell’avvocato Nardone, acquistavano la loro valenza, una non casuale leggibilità. E quando, con fervore crescente, l’avvocato cominciò a raccontare che un sardo malandato, gobbo, con una testa enorme, su, nell’Italia delle nebbie e delle fabbriche, nelle città delle automobili, era alla guida di quelle schiere di taciturni e testardi operai, solo allora a Francesco del Turco riaffiorò, con un guizzo repentino e improvviso, l’immagine di quel rivoluzionario che stranamente corrispondeva alla descrizione fatta dall’avvocato¹¹.
Dopo questo excursus storiografico, necessario, crediamo, per inquadrare il personaggio nel contesto storico in cui è vissuto ed ha operato veniamo al Centro per le ricerche e gli studi sul movimento operaio e contadino nel Lazio meridionale ubicato ad Arce nella centrale piazza Umberto I, presso i locali dell’ex mercato coperto; e qui ci corre l’obbligo di ringraziare il sindaco della precedente Amministrazione, il dott. Roberto Simonelli, che accolse benevolo la pratica per la richiesta dei locali; nonché l’attuale sindaco della nuova Amministrazione, il geometra Luigi Germani, che, altrettanto benevolo, a quella pratica ha dato seguito.
L’Istituto, così come si è venuto formando, è suddiviso in tre sezioni:
1) BIBLIOTECA
La Biblioteca, di cui si sta approntando un catalogo informatizzato in seguito consultabile anche on-line, conserva un patrimonio librario di oltre 4500 volumi, in continuo aggiornamento nei singoli settori in cui si suddivide:
a) Storia locale
b) Storia del movimento operaio con particolare riferimento al Lazio meridionale
c) Opere generali di storia contemporanea
d) Riviste di storia contemporanea
e) Inventari di fondi archivistici
f) Reprint di giornali («L’Unità» «Avanti!», «Il Soviet»)
g) Cataloghi fotografici
2) CENTRO DI DOCUMENTAZIONE
Il Centro di documentazione raccoglie materiali relativi alla storia di Arce e a quella dei paesi confinanti nell’ambito dell’antico «Regno di Napoli» (Rocca d’Arce, Colfelice e Fontana Liri), in merito ai seguenti argomenti:
a) Storia dell’antica chiesa di S. Martino, della chiesa-santuario di S. Eleuterio e della Collegiata parrocchiale intitolata ai Ss. Apostoli Pietro e Paolo (secc. XI-XVII)
b) Fonti cartografiche
c) Storia del ducato Boncompagni
d) Brigantaggio
e) Storia delle agitazioni operaie e contadine nella provincia storica di Terra di Lavoro sino alla costituzione della nuova provincia di Frosinone (1927) e oltre
3) ARCHIVIO FOTOGRAFICO
Il fondo fotografico si compone di 250 immagini a partire dal 1900 in poi.
Negli ultimi anni la biblioteca si è avvalsa della collaborazione di giovani laureati e laureandi che prestano servizio civile presso il Comune di Arce che non solo hanno tenuto aperto i locali, ma hanno continuato anche l’attività di catalogazione del materiale librario. E a questo proposito facciamo una sorta di pubblico appello perché avremmo davvero bisogno, seppure nel nostro piccolo, di collegarci ad un polo bibliotecario per inserire anche il nostro patrimonio bibliografico o quantomeno avere a disposizione un software che consenta una catalogazione standardizzata delle singole risorse.
Note
¹ Il movimento socialista a Napoli ed i moti del maggio ’98, in «Clio», 2 (1966), pp. 423-455.
² Napoli tra dopoguerra e fascismo, Milano, 1962 (Istituto Giangiacomo Feltrinelli. Studi e ricerche storiche, 14).
³ Amadeo Bordiga, Scritti 1911-1926. La guerra, la rivoluzione russa e la nuova Internazionale 1914-1918, a cura di Luigi Gerosa, II, Genova, 1998, la cit. è a p. LV.
⁴ Stato, parlamento e lotte politico-sociali nel Mezzogiorno 1890-1914, Napoli 1980.
⁵ La Questione meridionale in Terra di Lavoro 1800-1900, Napoli 1976, pp. 287-300.
⁶ Biografia di una classe operaia. I cartai della Valle del Liri (1824-1954), Roma 1984.
⁷ Il Liri, in Stampa periodica in Terra di Lavoro 1840-1927. Catalogo della mostra, Caserta 1988 (Ministero per i beni culturali e ambientali. Ufficio centrale per i beni archivistici), p. 83.
⁸ Adriana Di Cianni (a cura di), Il movimento socialista in Italia. Repertori emerografici e bibliografici nel Mezzogiorno, il 1° maggio, la scuola, Lecce 1992 (Università degli studi di Lecce. Annali del Dipartimento di scienze storiche e sociali, Quaderno n. 1).
⁹ Democrazia e socialismo in Terra di Lavoro nell’età liberale (1861-1915), Napoli 1974.
¹⁰ Il “Biennio rosso” in Ciociaria 1919-1920. Il movimento operaio e contadino dei circondari di Frosinone e Sora tra dopoguerra e fascismo, Frosinone 1985.
¹¹ Il romanzo è stato pubblicato nel luglio 2003 per i tipi di Manni (San Cesario di Lecce) nella collana «Pretesti» curata da Anna Grazia D’Oria; la cit. è tratta dalle pp. 57-58.
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