STORIA E RACCONTI
Un’incredibile vicenda della Prima guerra mondiale (La Grande Guerra)
di Franco Di Pofi
Premessa
Dopo la sconfitta napoleonica del 1815, l’Europa visse un lungo periodo di pace e sviluppo. Il 28 luglio 1914 l’Austria dichiarò guerra alla Serbia. “Casus belli”: attentato di Sarajevo. L’arciduca Francesco Ferdinando, erede al trono austroungarico , e sua moglie vengono uccisi,durante una visita ufficiale, dal serbo bosniaco Gavrilo Princip. L’Italia entrò in guerra nel 1915 a fianco della Francia, Gran Bretagna, Russia, contro l’Austria.
Oltre i militari di leva, vennero richiamati coloro già congedati. Fu così che molti giovani, aventi già famiglia, vennero strappati ai loro cari e mandati a combattere una guerra che farà 37.000000 di morti tra militari e civili. Tra questi c’erano due giovani che se ne stavano tranquilli in una campagna di un paesino della provincia di Viterbo: Vetralla. La famiglia possedeva un podere e la loro vita trascorreva lietamente pur nella fatica di coltivare un terreno, spesso, ” ingrato”.
Umberto e Gigi. Il primo: 27 anni, sposato, una bimba di un anno. Il secondo: 25 anni,in procinto di sposarsi. La vita serena,nel grande casolare, fu sconvolta dal postino: la cartolina precetto, la chiamata alle armi. Fu chiamata “La mobilitazione rossa “.
Emozione, rabbia, sconforto. Inimmaginabile il dolore della mamma che mormorera’ soltanto, nell’orecchio di Gigi ,” pensa a Umberto “. Un abbraccio alla ignara piccolina,tra le braccia della madre in lacrime, e… i due fratelli partirono per una guerra senza conoscerne il perché.
Sono a Roma! Visite, 40 gg di addestramento e si ritrovarono nello stesso reggimento, nella stessa compagnia.
Al fronte
Col di lana, montagna dolomitica tristemente famosa per essere stata ribattezzata “Col di sangue “. Qui si combatte’ una cruenta battaglia che costò 6000 morti di soldati italiani ed un numero imprecisato di feriti. Col di lana costituiva un bastione strategico a difesa di una vasta zona: dal passo Pordoi chiude il passaggio verso Bolzano. È il cuore di tutta la difesa del Tirolo. La battaglia cominciò a giugno 1915 e terminò in aprile 1916. Furono mesi di attacchi e contrattacchi con risultati alterni.
Il 7 novembre, con il terreno ricoperto di neve e la temperatura sotto lo zero, i fanti della brigata Calabria, balzarono dalle trincee verso la conquista della vetta al grido ” Savoia Savoia “. Così, allo scoperto, offrirono i loro petti al fuoco di 60 mitragliatrici e 50 pezzi di artiglieria. Caddero a centinaia, ma conquistarono la vetta. Umberto e Gigi si abbracciarono. Durò poco. Gli austriaci, rafforzati da nuovi aiuti tedeschi, sferrarono un contrattacco rabbioso e riconquistarono la vetta. In una rotta che precedera’ la disfatta di Caporetto
(ma vinceremo la guerra: Piave) , i superstiti si ritrovarono al campo base.
Al campo base
Gigi è illeso! È confuso,inebetito; non tanto da non cercare,subito, Umberto. Si guarda intorno, domanda, va in infermeria; Umberto non c’è. Esce dalla tenda; è un via vai di barellieri che portano feriti. I morti rimangono su. Ad ogni arrivo sale l’ansia: Umberto non c’è. Il buio impedisce ai barellieri,peraltro stremati, di uscire. L’ultimo deposita l’ennesimo ferito. L’ansia di Gigi si tramuta in angoscia; prega i compagni di accompagnarlo, poi sbraita contro di loro. Sono dispiaciuti, cercano di calmarlo; nessuno potrà,ormai, andare fuori. ” Ti devi rassegnare”, gli dice un soldato che era diventato ,nel corso dei mesi, suo amico. Quella parola ” rassegnazione” lo fa scattare inviperito. “Vai a quel paese”, vado solo” urla sulla faccia dell’amico. E va,inutilmente trattenuto, armato di una torcia e dell’amore fraterno.
Epilogo
Gigi cammina lesto tra un cadavere e l’altro. Inciampa, cade, si rialza. È stanco, intirizzito, il cuore sembra scoppiargli nel petto, il respiro sempre più affannoso, ma non si ferma. Ricorda le parole della mamma ” pensa a Umberto “. Chinato,chiama il fratello a bassa voce per sentire ogni lamento. Non sono del fratello. Il tempo scorre inesorabilmente, le gambe non sostengono più Gigi,il fiato sempre più corto. Lo assale lo sconforto “è finita”. Dal profondo dei polmoni un urlo ” Umbertoooo”; poi si accascia su quella neve gelata. Spegne la torcia. Resta così in un buio fitto, profondo, un silenzio spaventoso e nel naso ,un odore di sangue e di morte. “Ancora qualche minuto,pensa, e poi “debbo scendere”. Passa le mani gelate sulle sue guance smunte, asciuga gli schizzi di neve misti a lacrime che scendono copiose e in quei minuti sogna: il casale, la grande cucina dove cenava tutta la famiglia al calore di un vasto camino. La mamma che sorride alla bimba di Umberto, il babbo che fuma la pipa. Bisogna affrettarsi! È salita, anche,una fastidiosa nebbiolina. Si scuote , si alza, le gambe traballanti; riaccende la torcia e si avvia lentamente. Chissà… Due passi tre dieci e … un flebile lamento. Tende l’orecchio. È un lamento, un lamento strano,nasale. È Umberto! In una posizione fetale con una guancia sulla neve; lo gira, supera l’orrore della tremenda ferita sul volto. Si china “Umberto Umberto “,lo chiama con voce commossa, ma il fratello non risponde. “Presto presto, debbo far presto “. Prende,a mo’ di sacco, quel corpo esanime,reggendo con una mano le gambe e con l’altra la torcia. Via,a passo svelto, verso il campo base; rallenta ,teme di cadere,sarebbe la fine. La fatica diventa insopportabile, comincia un forte mal di testa e il timore di non farcela lo sta vincendo. Tra la nebbia un punto di chiarore, due punti tre ed ancora ancora…
Sono luci! Le luci del campo. E via con rinnovate forze. Tutti i compagni della base ricorderanno le grida di Gigi ” una barella un dottore una barellaaaaa…
Umberto è sulla barella, un camice bianco al suo fianco… l’ultima immagine che Gigi ricorderà, prima di svenire. Umberto è a Roma ricoverato presso l’ospedale militare. Gli hanno ricostruito la mandibola, non si vedrà nessuna ferita, ma non avrà più denti e mangerà il pane senza crosta per tutta la vita. Con Gigi si rivedranno alla fine della guerra; Umberto gli sopravviverà, morirà a 89 anni.
Nota: se ho potuto scrivere questo commovente racconto, lo debbo a zio Gigi. Umberto era mio nonno e mia madre è nata nel 1924.
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