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Altrove si muore qui si gioca a fare la guerra

Sfilata di armi al 2 giugno 2023Sfilata di armi al 2 giugno 2023Sfilata di armi al 2 giugno 2023

Questa Repubblica all’art. 11 della Costituzione afferma che “l’Italia ripudia la guerra”


di Stefano Rizzo

Armi alla sfilata del 2 giugno 2023
Armi alla sfilata del 2 giugno 2023

Chi scrive non è un pacifista radicale e non ritiene che il ricorso alle armi non sia mai giustificato; ritiene invece che si possa fare la guerra quando si è attaccati e che si possa, anzi si debba, aiutare (almeno fino ad un certo punto) un vicino aggredito. Ma è anche un cittadino di questa Repubblica che, all’art. 11 della Costituzione afferma che “l’Italia ripudia la guerra”. L’Italia, cioè non solo lo Stato o il governo, ma tutti i cittadini di questo Paese, presenti e futuri. L’articolo usa anche un termine insolito: “ripudiare”, che vuol dire non praticare più e respingere da sé quello che in passato si praticava e magari si abbracciava con entusiasmo.

La prescrizione costituzionale non si applica quindi soltanto alle possibili guerre future, ma anche a quelle del passato, alla guerra in sé e al sistema di valori che ne sono all’origine e che furono propri anche dell’Italia, come del resto di tutti i paesi.

La Costituzione ci dice che valori come lo “sprezzo del pericolo”, l’“indomito coraggio”, l’“onore militare”, la “fedeltà fino all’estremo sacrificio”, ecc. tanto cari alla propaganda bellicista di ogni epoca, non sono assoluti ed eterni. Sono invece valori in cui per secoli le nazioni, i popoli, gli stati hanno creduto, ma che oggi (senza nulla togliere a chi ha dato la vita in difesa del proprio paese), vanno ripudiati.

La guerra, di difesa o di conquista, per accaparrarsi territorio o per vendicare qualche presunto torto è sempre stata considerata legittima purché a dichiararla fosse un potere statuale legittimo. Essere animati da “spirito guerriero” era un tratto positivo del carattere che si cercava di inculcare nei giovani, maschi naturalmente, perché la guerra era considerata il punto più alto e la prova della loro “virilità”. Oggi fortunatamente, nella società e nel sentire comune, non è più così. Le immani stragi delle guerre del Novecento hanno ingenerato una crescente ripulsa nei confronti della guerra, che ha portato al divieto di ogni guerra che non sia difensiva nella Carta delle Nazioni Unite e prima ancora nell’articolo 11 della nostra Costituzione.

Ma veniamo all’oggi. Lasciamo perdere il fatto che non si capisce perché la festa di una Repubblica, che nella sua Costituzione ripudia la guerra, debba, anno dopo anno (con qualche eccezione), essere celebrata con una parata militare. Comprendiamo il peso delle tradizioni e dei simboli, che rimangono in vita anche quando ciò che simboleggiano è scomparso o non svolge più alcuna funzione. Ma forse, dopo settanta e più anni di vita repubblicana, qualcosa di diverso si poteva trovare per celebrare la Repubblica in modo più confacente alla sua natura antibellicista. Ma, appunto, lasciamo perdere.

Il palco del 2 giugno 2023
Il palco del 2 giugno 2023

Soffermiamoci invece sullo spirito nuovo che aleggiava nella parata di quest’anno. Tutto l’armamentario della retorica militaresca più roboante è stato dispiegato in questa occasione, come del resto in molte delle precedenti.

La differenza tra queste e quelle stava nel singolare contrasto sul palco tra i membri del governo, festosi e plaudenti come ragazzini ad una scampagnata, e il presidente della Repubblica, sempre controllato con il suo indefinibile sorriso, che si limitava a qualche applauso in sordina e a rispondere con un cenno della mano ai vari reparti che lo salutavano.

A fianco dei vertici politici c’erano naturalmente quelli militari: un gran numero di generali e ammiragli impettiti nelle loro uniformi ricoperte di medaglie e di greche dorate che salutavano con la mano perennemente alla visiera. (Colpiva tra tanto sfoggio di spirito militaresco la figura del generale Figliuolo che pareva leggermente imbarazzato da tanta guerresca esibizione, lui l’uomo della logistica e della campagna vaccinale.)

Perché di questo si è trattato, non di festa della Repubblica ma di guerresca esibizione che metteva insieme in un unico trionfalistico sacco tutte le guerre italiane: quelle giuste e le molte ingiuste, quelle di difesa e quelle di conquista e di aggressione; comprese le numerose missioni militari all’estero, risoltesi quasi tutte con risultati scarsi o nulli. Un’esibizione che a tratti è sembrata raggiungere vette di ridicolo. Come quando sono stati fatti sfilare ricoperti da lunghe parrucche bionde i “tiratori scelti” (pudica definizione di coloro che possono ammazzare un uomo con un colpo solo ad un chilometro di distanza), o gli incursori col volto mascherato come dei terroristi; o, tra i sistemi d’arma, un buffo aggeggio che era un mini-sottomarino, discendente degli antichi “maiali” della prima guerra mondiale e della X MAS del comandante repubblichino (e poi golpista) Junio Valerio Borghese, la cui memoria è tuttora cara alla destra neofascista; per terminare con la presentazione di un sofisticato veicolo all-terrain per le operazioni militari nel deserto, che sarebbe poi un semplice fuoristrada come si vedono da anni nei film post-catastrofici. (A proposito di termini inglesi, bisogna dire che gli annunciatori della parata ne hanno fatto uso abbondante, probabilmente con grave disappunto del ministro dell’istruzione e di altri membri del governo.)

Sì, c’erano un po’ tutti, carristi, paracadutisti, artificieri, bersaglieri, corazzieri, corpi speciali di qua, corpi speciali di là. Abbiamo troppa stima degli uomini e delle donne delle forze armate per prendere sul serio questa ridicola esibizione di presunta forza militare, la cui unica funzione era di fornire la scenografia, peraltro alquanto dispendiosa, della festa di paese in cui i nuovi governanti hanno potuto, tra risate, pacche sulla schiena e applausi, mostrarsi da padroni di fronte al popolo festante.

Tuttavia, con una guerra sanguinosa in corso nel centro dell’Europa e un’altra in ebollizione nei Balcani, vedere gli esponenti del governo della Repubblica applaudire gioiosamente, come scolaretti, al passaggio delle bande musicali o ammirare con i nasi all’insù le evoluzioni dei tre paracadutisti con fumogeni tricolori (la novità di quest’anno), produceva un senso di estraniazione, di dissonanza concettuale. Là si combatte e si muore a decine di migliaia; qui noi, felici e contenti, giochiamo a fare la guerra.

5 Giugno 2023

Immagini tratte da Ministero Difesa @MinisteroDifesa

Ministero della Difesa

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Stefano Rizzo

Stefano Rizzo. Giornalista, romanziere e saggista specializzato in politica e istituzioni degli Stati Uniti. Già Sovrintendente dell’Archivio storico della Camera dei deputati, ha insegnato per diversi anni Relazioni internazionali all’Università di Roma “La Sapienza”. E’ autore di svariati volumi di politica internazionale: Ascesa e caduta del bushismo (Ediesse, 2006), La svolta americana (Ediesse, 2008), Teorie e pratiche delle relazioni internazionali (Nuova Cultura,2009), Le rivoluzioni della dignità (Ediesse, 2012), The Changing Faces of Populism (Feps, 2013). Ha pubblicato quattro volumi di narrativa; l’ultimo è Melencolia (Mincione, 2017

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