Rivoluzione tecnologica e partecipazione dei lavoratori nella gestione
di Donato Galeone
CAPITALISMO Gli articoli sulle sfide del futuro verso la “Sicurezza sul Lavoro e la Sicurezza del Lavoro” di Gianluca Popolla e sul “Capitalismo internazionale che impone una radicale economia di profitti e di sfruttamento” di Ermisio Mazzocchi – pubblicati e da me letti nella prima settimana di maggio su questo giornale online unoetre.it -meritano non solo la massima attenzione ma impongono – a mio avviso – altrettante profonde riflessioni che dovrebbero condurre verso confronti “politici sociali sia parlamentari che sindacali coerenti e unitariamente condivisi “nella rapida attuazione normativa degli articoli 41 e 46 della nostra Costituzione – strada maestra – più volte solo gridata o richiamata tanto sulla “iniziativa economica che non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale” quanto su “il riconoscimento del diritto dei lavoratori a collaborare, nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi, alla gestione delle aziende”.
Via maestra
Se questa è e deve essere la “via maestra” da percorrere nel nostro Paese, in un contesto europeo e mondiale, in presenza di un “capitalismo internazionale tanto finanziario quanto sempre più innovativo e tecnologico” – penso che – la centralità “sicurezza sul lavoro e sicurezza del lavoro” non si può e non si potrà non collocare nei fatti sociali veri del lavoro – rilevando e osservando non solo storicamente – che sin dalla prima rivoluzione industriale di metà settecento e ancora di più da fine ottocento, ad oggi e non sempre, le tante questioni sociali e “tematiche economiche” hanno concorso compiutamente a “trasformare il lavoro umano” dal più mercantile rapporto di un “capitalismo da padrone del vapore” – da due secoli fa – con il varo della nave Ferdinando 1° nel Mediterraneo che, profittevolmente – dal 1818 – procede in continua perseverante “evoluzione tecnologica” non solo nei trasporti ma nell’economia tutta, sia prima e sia dopo il 1861, nella ricomposizione unitaria dello Stato italiano.
Sappiamo bene che viene da lontano quel capitalismo – oggi evoluto – in “capitalismo tecnologico da rapportare alla dignità del lavoro umano” già richiamato dal filosofo economista scozzese Adam Smith e l’economista inglese David Ricardo a fine ‘700 e inizio ‘800 tanto sui cambiamenti possibili con la “positività delle innovazioni tecnologiche” nella organizzazione del lavoro quanto con la meccanizzazione delle attività produttive che tendevano a ridurre i livelli di manodopera, comprimere i salari e iniziare a conoscere la “disoccupazione tecnologica” che, poi, dagli anni ’20 dell’800 – sostenuto da un movimentato libero mercato tra agenti economici – proseguirà dalla metà e oltre il’900.
Condizioni di lavoro
Così come conosciamo che l’accentramento produttivo e lo sviluppo tecnologico, riducendo la fatica umana ma, anche, sostituendo con le macchine molti posti di lavoro, hanno modificato gradualmente le “condizioni del lavoro umano” mediante diversi metodi lavorativi, suddividendo unilateralmente i processi produttivi e definendoli anche “scientifici” mediante la nuova organizzazione produttiva del lavoro avviata nel primo decennio del ‘900 e introdotta dal “fordismo” – accuratamente – poi estesa nella grande impresa industriale italiana ed europea.
Capitalismo e lavoratori nelle imprese
Si consolidava all’epoca, di fatto, un sostenuto processo di sviluppo industriale che se dava certezza di “pieno impiego lavorativo” era pur sempre più montato e forzato mediante una ritmata e “rigida catena produttiva” che incideva, non poco, sulle condizioni di sicurezza e salute del lavoro umano.
Bassi salari
E non mancavano voci e sollecitazioni sociali anche sui “bassi salari” che nel 1891 venivano esplicitati dalla RERUM NOVARUM di Papa Leone XIII affrontando la discussa questione dei diritti e dei doveri del “capitale e del lavoro” e tra quei doveri a ciascuno il “giusto salario” –sottolineando con forza sociale e politica – che le leggi umane non permettono di opprimere per utile proprio i bisognosi e gli infelici, e di “trafficare sulla miseria del prossimo defraudando, poi, il dovuto salario che è colpa così enorme e grida vendetta al cospetto di Dio”.
In quella stessa seconda metà dell’800 il filoso e sociologo economista tedesco Karl Marx commentava – nel merito della meccanizzazione e automazione e con gli effetti positivi sulla produttività attesa del capitalismo tecnologico – con altrettanta forza e oggettiva osservazione, in sintesi massima, che “il capitalismo con l’utilizzo delle macchine realizza il suo punto di arrivo di appropriazione, utilizzando il lavoro operaio”.
Sofferenza umana
Ma già verso la seconda metà del’900 – tra le due guerre mondiali – le riflessioni sulla organizzazione del lavoro “tayloristico fordista” evidenziano una “sofferenza umana” nello svolgimento di mansioni e ritmi rigidi che – pur perfezionati e ridotti nei tempi di lavoro – imponeva al capitalismo, cresciuto nella produzione e consumo di massa, la ricerca di un “diverso modello organizzativo imprenditoriale” tanto mediante la introduzione di “lavori flessibili” quanto nella “qualità di prodotto”.
Ed ecco che, dal secondo dopoguerra con la terza e, poi, quarta rivoluzione industriale – avviata mediante il graduale superamento dell’organizzazione “produttiva fordista” con il “capitalismo dell’informatica e del digitale” – non solo appare a me ma è presente in tutti noi – l’indispensabile e l’urgente confronto sulla ripresa – approfondita e partecipata – nel merito del lavoro in sicurezza, dignità e stabilità” pur flessibile ma non da “modellare precario” e volutamente a basso salario – più volte rinnovato a termine – quali vere basi fondanti delle povertà.
Capitalismo e lavoratori nelle imprese
Da oltre 70 anni della nostra Costituzione, ormai lontani dai “capitalismi ottocenteschi” sinteticamente da me richiamati, viene ripetuto e detto che i nostri parlamentari costituenti – conoscendo bene il passato e la evoluzione del mondo delle attività produttive mediante la “impresa e i lavoratori” tanto i ruoli quanto le funzioni del “capitale e lavoro” – hanno voluto “valorizzare la persona che lavora” riconoscendo, in quanto lavoratore, l’esercizio del diritto di “collaborare alla gestione delle aziende” e finalizzando direttamente la sua “partecipazione alla elevazione economica e sociale del lavoro”.
Democrazia economica e partecipazione dei lavoratori nelle imprese
Nell’aprile 2023 – circa un anno fa – annunciavo la “PROPOSTA DE LEGGE POPOLARE SULLA PARTECIPAZIONE DEI LAVORATORI ELABORATA DALLA CISL “ e riconfermavo, su questo giornale, che “la democrazia economica con la partecipazione dei lavoratori nelle imprese è la chiave di volta per affrontare le grandi sfide, dal salario agli investimenti produttivi sui territori, con un obiettivo preciso: democratizzare, umanizzare e rendere più efficienti le relazioni industriali, con centralità, la contrattazione delle condizioni di lavoro in sicurezza”.
Proprio questa proposta di legge popolare – sottoscritta da me e da circa 400.000 elettori – consegnata alla Camera dei Deputati a fine novembre 2023 – sappiamo che prevede le seguenti forme di coinvolgimento libero, legalmente riconosciuto, dei lavoratori nella impresa con la “partecipazione gestionale, finanziaria, organizzativa e consultiva” in attuazione dell’articolo 46 della Costituzione.
E’ auspicabile, quindi, che la proposta di legge venga velocizzata, sostenuta a larghissima maggioranza parlamentare e pubblicata entro l’anno, considerando, che dopo l’audizione del 1° febbraio 2024 è stato approvato, il 24 aprile, il “testo base unificato tra tutte proposte” e la Commissione Lavoro della Camera dei Deputati ne ha fissata la data del 9 maggio 2024 quale termine massimo per la presentazione di emendamenti.
Capitalismo e lavoratori nelle imprese
Roma, 16 maggio 2024
Lavoro e Lavoratori su UNOeTRE.it
già Segretario Provinciale di Frosinone e Regionale della CISL Lazio
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