C’era una volta …l’America

Stefano Rizzo

ByStefano Rizzo

14 Luglio 2024
Il molo galleggiante temporaneo costruito dagli americani per far arrivare via mare aiuti umanitari a Gaza. È già collassato ed è fuori uso. ©ytali.comIl molo galleggiante temporaneo costruito dagli americani per far arrivare via mare aiuti umanitari a Gaza. È già collassato ed è fuori uso. ©ytali.com

Inventiva e umanità

di Stefano Rizzo

C'era una volta ...l'America
C’era una volta …l’America

C’ERA UNA VOLTA Ci fu un tempo in cui l’America era capace di grandi imprese: lo sbarco di Normandia, il ponte aereo per rifornire Berlino bloccata dai sovietici, il primo uomo sulla luna.

La capacità organizzativa, l’inventiva, e anche l’umanità degli americani era proverbiale: “a differenza di voi europei, noi americani i problemi li risolviamo; combattiamo duramente, ma poi ai vinti distribuiamo tavolette di cioccolato e latte condensato”.

Questo in una narrazione “mitica” e non priva di contraddizioni e ipocrisie.

Poi è arrivata l’epoca dei pasticci: l’incapacità a fornire aiuti agli alluvionati dell’uragano Katrina (2005), il “bellissimo” muro (copyright Donald Trump) per arginare i migranti al confine che non ha mai funzionato, la tardiva e inefficace risposta alla pandemia da Covid, la disastrosa evacuazione di Kabul (2021), per citarne solo alcuni.

E infine il molo di Gaza. Anzi, no, prima del molo è arrivato il lancio su Gaza.

Ora, non ci voleva un genio per capire che lanciare pacchi di viveri pesanti una tonnellata lungo una costa affollata da gente stremata non era l’idea migliore per risolvere il drammatico problema degli approvvigionamenti.

E infatti non pochi gaziani morirono schiacciati sotto i pallet nel tentativo di portare qualcosa a casa da mangiare, o affogarono cercando di tirare a riva la manna piovuta dal cielo.

Inettitudine e arroganza occidentale (non solo dell’America perché altri paesi europei e non si accodarono alla brillante impresa): là in basso folle affamate e disperate, là in alto le macchine volanti potenti e rombanti e nel mezzo volteggiano ariosi i paracaduti con il loro carico che promette salvezza e invece spesso ti uccide.

Ma gli Stati Uniti, si sa, sono un paese di gente pratica che sa imparare dai propri errori. Dopo qualche lancio propagandistico (propaganda ovviamente confezionata per noi che guardiamo i notiziari della sera e così ci confermiamo nella convinzione di essere buoni e generosi), gli americani hanno capito che la soluzione non funzionava e poiché quei seccatori delle agenzie internazionali (sospettati oltretutto di essere complici di Hamas) continuavano a parlare di carestia imminente, il problema restava.

Certo, per risolverlo sarebbe bastato riaprire i valichi e lasciare passare i camion, ma per questo sarebbe stato necessario parlare a muso duro con Israele.

Ma che volete, a novembre ci sono le elezioni presidenziali e più di tanto non si può.

È la solita storia: cosa non si fa per prendere (o non perdere) un po’ di voti di arabi-americani e un po’ di voti di ebrei-americani. Un colpo al cerchio e uno alla botte e un po’ di doppiezza “diplomatica”.

In pubblico si dichiara enfaticamente che: “Israele ha la responsabilità legale e morale della carestia in atto e deve lasciare passare i camion di viveri.” In privato si sussurra: “Vabbè, fate un po’ come volete.”

Ma non divaghiamo. Se i lanci umanitari dall’alto dei cieli — presi dal copione “ponte aereo su Berlino” — non funzionano, inventiamoci qualcos’altro, questa volta preso dal copione “sbarco in Normandia.”

Laggiù in pochi giorni nel giugno del 1944 furono scaricate migliaia di tonnellate di viveri, materiali, mezzi corazzati oltre a decine di migliaia di valenti GI che subito partivano all’attacco sotto il fuoco nemico. Un’impresa militare e organizzativa di enormi proporzioni, ancora oggi celebrata ogni anno con grande fanfara.

La costruzione del molo galleggiante (floating JLOTS) (Courtesy Photo)
La costruzione del molo galleggiante (floating JLOTS) (Courtesy Photo)

Tra i brillanti consiglieri del presidente qualcuno avrà visto l’analogia. Utilizziamo mezzi da sbarco anfibi che arrivati sulla spiaggia aprono i portelloni anteriori dai quali escono i camion carichi di ogni ben di dio.

Qualche altro altrettanto brillante consigliere avrà però fatto notare che neppure Spielberg avrebbe potuto trovare le migliaia di mezzi da sbarco d’epoca e i camion (e poi dove e come caricarli?). Così si è dovuto ripiegare sulla apparentemente meno fascinosa (e soprattutto meno costosa) soluzione del molo.

Apparentemente perché a questo punto l’immagine diventa quella di un cordone ombelicale che dalle generose navi americane ormeggiate in alto mare raggiunge, nutre e salva le masse affamate. Immagine meno bellicosa dello sbarco di Normandia, ma più in sintonia con i tempi, più materna, più pacifica e umanitaria.

Detto fatto. O meglio, detto a marzo, fatto due mesi dopo grazie a qualche migliaio di contractors civili, a un migliaio di soldati americani di protezione (protezione da chi? dagli israeliani? da Hamas? dalle agenzie umanitarie disarmate?) e un costo di circa 320 milioni di dollari.

Il molo comincia subito a funzionare. Dovrebbe consentire il carico di cento camion al giorno (una goccia rispetto al fabbisogno di alcune migliaia), ne rifornisce sei o sette al giorno per due settimane. Poi si rompe.

Gli esperti metereologi del Pentagono non avevano previsto che a maggio nel Mediterraneo orientale potessero esserci mareggiate di una certa forza (bastava chiedere ai Fenici!). Ai primi di giugno iniziano le riparazioni che richiederanno almeno un mese e altri 25 milioni di dollari.

I primi aiuti umanitari transitano sul molo galleggiante (Jordan KirkJohnson/U.S. Navy)
I primi aiuti umanitari transitano sul molo galleggiante (Jordan KirkJohnson/U.S. Navy)

Nel frattempo però l’area non rimane inutilizzata. È un grande piazzale nel centro di Gaza da cui le macerie sono state spianate, con ottime strade senza buche che vanno verso nord e verso sud.

I contractors riparano il molo mentre i soldati americani, che hanno ordini severissimi di non scendere a terra per non farsi coinvolgere nel conflitto stanno a guardare.

Gli israeliani però non si fanno sfuggire l’occasione: arrivano con i loro mezzi corazzati e usano il piazzale come base per i loro elicotteri d’assalto dalla quale a metà giugno lanciano un’imponente operazione per salvare quattro dei loro ostaggi, uccidendone però alcuni altri e seppellendo sotto le macerie provocate dalle bombe fornite dagli americani qualche centinaio di civili palestinesi.

Presto il molo sarà riparato e potrà nuovamente funzionare all’inutile ritmo di qualche camion al giorno.

Attenzione, però, al massimo per un paio di mesi perché i meteorologi americani questa volta prevedono che a settembre ci saranno le mareggiate d’autunno e quindi già ad agosto il molo dovrà essere smontato e portato via per essere utilizzato in qualche altra parte del mondo per un’altra missione umanitaria.

Qualcuno intanto tra i consiglieri del presidente sicuramente sta già pensando a qualche altra grande impresa per alleviare le sofferenze della popolazione di Gaza e incidentalmente – ma solo incidentalmente – aiutare le chances elettorali del presidente, grazie all’inventiva e all’umanità del popolo americano.

24 Giugno 2024


Articolo di Stefano Rizzo pubblicato su Ytali.com

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Stefano Rizzo

ByStefano Rizzo

Stefano Rizzo. Giornalista, romanziere e saggista specializzato in politica e istituzioni degli Stati Uniti. Già Sovrintendente dell'Archivio storico della Camera dei deputati, ha insegnato per diversi anni Relazioni internazionali all'Università di Roma "La Sapienza". E’ autore di svariati volumi di politica internazionale: Ascesa e caduta del bushismo (Ediesse, 2006), La svolta americana (Ediesse, 2008), Teorie e pratiche delle relazioni internazionali (Nuova Cultura,2009), Le rivoluzioni della dignità (Ediesse, 2012), The Changing Faces of Populism (Feps, 2013). Ha pubblicato quattro volumi di narrativa; l’ultimo è Melencolia (Mincione, 2017)

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