Si, perché? È il potere dei soldi?
di Stefano Rizzo
I RICCHI AMERICANI La campagna per le elezioni presidenziali è in pieno svolgimento ed entrambi i candidati si stanno spendendo con grande impegno per far sapere agli elettori quanto sono partecipi dei loro problemi e come intendono risolverli.
I due candidati
È difficile immaginare due candidati più diversi, eppure al centro del messaggio di Harris e di Trump (la diagnosi è quasi la stessa, sono le ricette che divergono) ci sono sempre le non brillanti condizioni economiche del mitico ceto medio (lavoratori manuali compresi), delle famiglie e dei singoli che soffrono a causa dell’inflazione, soprattutto per il rincaro dei generi alimentari, del costo dell’energia, per l’impossibilità di comprarsi una casa, pagare le spese mediche, mandare i figli all’università, o fare una vacanza.
E ancora, nel pacchetto delle lagnanze comuni ad entrambi i candidati, seppure con enfasi diversa, figurano sempre la criminalità (fuori controllo per Trump, in diminuzione per Harris), l’immigrazione (troppa per entrambi), il diritto di portare armi (sacrosanto per tutti).
Quando parlano di questi problemi nei comizi, nei dibattiti, nelle interviste, nelle migliaia di spot pubblicitari, i candidati non si limitano a rivolgersi ad un elettorato indifferenziato ma, come è nella tradizione localistica e identitaria del paese, si rivolgono di volta in volta a diversi segmenti della popolazione — bianchi, neri, latini, asiatici, giovani, anziani, uomini, donne, abitanti del Sud, del Nord, del Midwest, delle coste — e per ognuno di questi regolano il proprio messaggio e propongono soluzioni ai loro problemi specifici.
Non si parla mai di…
Ma c’è una categoria di persone, anch’essa con una chiara identità etno-sociologica, di cui i candidati non parlano mai, che è assente dalle piattaforme programmatiche dei partiti, dal dibattito politico, relegata solo a qualche oscura statistica sui quintili e i differenziali: sono i ricchi e i superricchi americani.
I ricchi americani finanziano la politica?
Anni fa, nel novembre del 2011, ci fu un movimento che si chiamò Occupy Wall Street, che per qualche settimana attirò l’attenzione dei media e della politica. Quei manifestanti denunciavano la smisurata, e crescente, concentrazione della ricchezza del paese nell’uno per cento della popolazione, i ricchi, e l’ancor maggiore concentrazione nello 0,1 per cento, i superricchi, al grido di “Noi siamo il 99 per cento”.
Ma durò poco. Bastarono un po’ di cariche della polizia a far tornare i generosi attivisti a casa e gli studenti nelle loro università. Oggi di 1 per cento nessuno parla più, certamente non i due candidati alla presidenza.
Questo silenzio dovrebbe apparire strano perché i ricchi e i superricchi sono molto importanti, non solo in genere, ma in particolare nelle campagne elettorali.
I benefattori della politica
Dai dati forniti dalla Commissione elettorale federale (FEC) a fine agosto cinquanta grandi donatori hanno versato nelle casse di entrambi i partiti circa un miliardo e mezzo di dollari per finanziare tutte le campagne elettorali (presidente, senatori, deputati, parlamentari locali), di cui un terzo sono andati ai democratici e due terzi ai repubblicani.
Molti dei nomi di questi “benefattori della politica” sono noti anche al grande pubblico: dal maggiore donatore (165 milioni) Timothy Mellon, a Kenneth Griffith, George Soros, Michael Bloomberg, gli eredi di Sheldon Adelson, Charles Koch (tutti nell’ordine di decine di milioni) fino al petroliere Timothy Dunn (solo nove milioni!).
I ricchi americani finanziano la politica?
Come ci si può aspettare, la maggior parte di costoro sono maschi (le donne sono quasi sempre le mogli) e bianchi al 90 per cento. Per ciascuno di loro, che possiede un patrimonio valutato da Forbes di decine o centinaia di miliardi di dollari, regalare una manciata di milioni ai candidati è come gettare un pugno di noccioline allo zoo.
Un quadro analogo emerge dalle donazioni per la sola campagna presidenziale, che con un totale raccolto di quasi un miliardo (fin qui) si preannuncia la più dispendiosa di sempre, con Harris che ha raccolto quasi 489 milioni (più i soldi raccolti da Biden), mentre Trump ha raccolto quest’anno “solo” 268 milioni (altri gliene restano dall’anno scorso).
Sempre la FEC certifica che quest’anno ci sono state fino ad oggi ben 68.500.000 singole donazioni ai due candidati alla presidenza: davvero una bella prova di democrazia partecipata!
Dettaglio delle donazioni
Tuttavia, se si guarda nel dettaglio, si scopre che solo una parte minoritaria di queste somme proviene da donazioni sotto il limite consentito dalla legge di 2000 dollari; il grosso è frutto di donazioni superiori — in alcuni casi molto superiori, rese possibili con vari escamotage per aggirare la legge.
Il risultato è che su 68.500.000 donazioni 67.500.000 sono piccole somme che rappresentano il 42 per cento del totale raccolto da Harris e il 31 per cento di quello di Trump. Un milione soltanto di donazioni rappresenta invece circa il 65 per cento circa del totale!
I ricchi americani finanziano la politica?
Di chi sono queste generose donazioni? Ma evidentemente dei ricchi e superricchi, di cui i due candidati non parlano mai e neppure li ringraziano (in pubblico) per la loro generosità.
La ragione è semplice: ai superricchi con redditi da decine di milioni di dollari l’anno, ma anche ai semplici ricchi con redditi di qualche milione, i programmi dei due candidati interessano molto poco, semplicemente non li riguardano.
Cosa volete che pesi l’aumento del costo del mutuo di una casetta nei suburbs con garage e giardinetto per chi abita nell’Upper West Side di Manhattan dove gli appartamenti costano da 120 ai 240 milioni di dollari; o per chi possiede una villa, neppure troppo faraonica come quella di Trump a Mar-a-Lago, a Cape Cod o in Florida?
O come pensate che un superricco possa preoccuparsi dell’aumento del prezzo della benzina quando si sposta con un Gulf Stream da 75 milioni di dollari (più l’equipaggio e la manutenzione) e magari ha nel garage, tra le altre, una Bugatti Chiron da 4 milioni di dollari? O quando, per partecipare al Met Gala o a qualche altra serata di “beneficenza”, paga senza batter ciglio 300.000 dollari per un tavolo e un paio di milioni (minimo) per l’abito della sua signora?
I ricchi americani finanziano la politica?
Né si può immaginare che nel suo residence protetto da uno stuolo di guardie armate abbia problemi di sicurezza, anche se purtroppo — come i recenti attentati dimostrano — oggi in America è difficile sfuggire ad un malintenzionato deciso ad ucciderti.
Questo è il motivo per cui, anche se nessuno li ringrazia per la loro munificenza, i ricchi e i superricchi non si lamentano. Rovesciando l’adagio: meglio che non parliate di me anche se volete parlarne bene.
Per evitare accuse di populismo economico o, dio non voglia, di invidia sociale, è opportuno a questo punto riassumere alcuni dati statistici dai quali si evince l’unicità della posizione degli Stati Uniti tra le democrazie occidentali.
In base ai dati forniti dalla Banca mondiale (indice Gini) gli Stati Uniti sono al 113° posto per tasso di diseguaglianza su 168 paesi. Francia, Germania e Regno Unito sono rispettivamente al 42°, 44° e 50° posto, il vicino Canada al 43°, l’Italia al 78°, la Spagna al 67°.
I ricchi e superricchi
Quanto alla ricchezza posseduta, negli Stati Uniti il 10 per cento della popolazione possiede il 67 per cento della ricchezza e il restante 90 per cento il 33 per cento della ricchezza; il 50 per cento inferiore possiede il 2,5 per cento della ricchezza, quello superiore il 97,5.
I ricchi americani finanziano la politica?
Quanto ai redditi, secondo un rapporto del Congressional Research Office, su un totale di 160 milioni di famiglie il 10 per cento inferiore guadagna in media 17.000 dollari all’anno, cioè meno di 1500 dollari al mese: sono i circa 30 milioni di americani poveri certificati dalle statistiche; il 10 per cento superiore delle famiglie guadagna in media 216.000 dollari l’anno: sono i benestanti.
Ma al loro interno ci sono enormi differenze: l’1 per cento (corrispondente a un milione e mezzo di famiglie) guadagna intorno al milione di dollari l’anno: sono i ricchi; al di sopra di loro c’è lo 0,1 per cento (160.000 famiglie) che guadagnano fino a 10 milioni: sono i superricchi; al di sopra ancora ci sono gli iperricchi (lo 0,01 per cento ovvero 16.000 famiglie) che guadagnano fino a 50 milioni.
In cima alla piramide troviamo una manciata di — come definirli? Indecentemente ricchi? — che arrivano a 150 milioni di reddito l’anno. Molti di questi ricchi e superricchi sono gli amministratori delegati (Ceo) delle grandi aziende da cui ricevono stipendi (senza parlare degli altri benefit) in media superiori di 350 volte a quelli di un loro dipendente.
Tutti costoro, per i motivi che abbiamo detto, non sono molto interessati ai programmi dei due candidati, ma non sono neppure contrari. Anche se non sono toccati dall’aumento dei generi alimentari, perché dovrebbero essere contrari ai buoni per fare la spesa (food stamps)?
I ricchi americani finanziano la politica?
Anche se non hanno problemi a fare entrare i figli in dispendiose università private, perché non dare ai meritevoli qualche borsa di studio e prestiti che peseranno su di loro per il resto della loro vita lavorativa? Anche se si curano in costosissime cliniche private, perché non consentire che i farmaci salva vita siano disponibili ad un prezzo più basso negoziato dal governo?
La quantità compenserà comunque i minori profitti. E via discorrendo.
Naturalmente i ricchi, come chiunque altro, si dividono sulle questioni valoriali, tra chi sostiene il diritto di aborto e chi vi si oppone, tra chi sostiene i diritti delle minoranze e chi si volta dall’altra parte, ecc.; ma non sono intrinsecamente reazionari come non sono intrinsecamente progressisti.
Poiché hanno tutto quello che gli serve (e anche di più) possono permettersi di essere genericamente a favore dell’“uomo della strada”, dell’average guy (il tipo medio) e dei suoi bisogni, che a loro non costano nulla.
Questa è una delle ragioni per cui appoggiano entrambi i candidati con così cospicui esborsi di capitali, anche se, per sicurezza — non si sa mai — preferiscono Trump a Harris.
I ricchi americani finanziano la politica?
Solo le tasse interessano ai ricchi
Ai ricchi e superricchi interessa una cosa sola (oltre al fatto che non si parli della loro ricchezza): che le tasse sui redditi alti, sui patrimoni e sulle imprese siano abbassate e mantenute basse. Di Trump si possono fidare, visto che durante la sua presidenza aveva già tagliato l’aliquota massima sul reddito da 39,6 a 37 per cento, aveva ridotto la tassazione sui profitti aziendali dal 35 al 21 per cento e ora propone di portarla al 15 per cento.
Harris è un po’ un’incognita da questo punto di vista: ha sì detto di volere alzare la tassazione sulle imprese al 28 percento, ma è pur sempre meno di quanto a maggio aveva annunciato Biden, che voleva portarla al 39 per cento.
Questa prima marcia indietro ha tranquillizzato i ricchi, almeno per il momento, sulla “ragionevolezza” della candidata democratica. Per il resto si vedrà: le tasse le decide il congresso che si è sempre dimostrato sensibile ai loro interessi, se la storia insegna qualcosa, visto che negli ultimi 60 anni le tasse sui profitti aziendali sono passate dal 53 all’attuale 21 per cento, e l’aliquota più alta di tassazione sui redditi delle persone è passata dal 70 per cento di cinquanta anni fa al 35 per cento di oggi
Naturalmente ricchi e superricchi, che non se ne stanno quasi mai in panciolle a godersi la loro ricchezza, ma anzi sono in perpetuo movimento per accrescerla, sono anche interessati a qualunque incentivo, dazio doganale, sussidio, che possa aumentare le vendite e i profitti delle loro imprese.
I ricchi americani finanziano la politica?
Anche da questo punto di vista non hanno nulla da temere, né da Trump con le sue mirabolanti promesse protezionistiche, né da Harris che da vicepresidente ha contribuito a fare approvare il più gigantesco piano di investimenti nelle infrastrutture e di sovvenzioni alle imprese dal New Deal rooseveltiano.
I ricchi e superricchi non saranno buoni, ma ci tengono ai loro concittadini meno fortunati, se non altro perché se i poveri e gli abbienti non comprano e non consumano, anche le imprese soffrono e i profitti diminuiscono. Quindi finanziare la politica è nel loro interesse, sia il Maga (Rendere l’America di nuovo grande!) di Trump, sia il Forward (Avanti!) di Harris.
Qualunque cosa va bene purché non si parli di loro.
Immagine: Enorme quantità di banconote da cento dollari USA. Crediti: Mehaniq / Shutterstock.com. © Istituto della Enciclopedia Italiana fondata da Giovanni Treccani – Riproduzione riservata
I ricchi americani finanziano la politica?
24 settembre 2024
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