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America senile/Europa giovanile

DAL MONDO

La incipiente gerontocrazia americana porterà saggezza?

di Stefano Rizzo
USA Senile EU giovanileC’era un tempo quando gli Stati Uniti d’America erano considerati la nazione giovane per eccellenza. La parte del mondo in cui erano stati creati era il Nuovo mondo, la nazione stessa datava dalla fine del Settecento, praticamente una bambina rispetto alle “vecchie” nazioni europee. L’immagine di un’America giovane si era solidificata nel corso dell’Ottocento, non tanto perché la sua classe dirigente fosse composta da giovincelli (non lo era), ma per il vitalismo giovanile e avventuroso della sua industria, della sua espansione e delle sue prime imprese militari. Nella prima metà del Novecento la musica, il cinema, lo sport, i corpi atletici e ben nutriti, le ragazze libere e indipendenti, tutto indicava gioventù, cioè voglia di cambiamento, assertività, gusto per il divertimento, idealismo non privo di una certa ingenuità. Le guerre mondiali, la prima e la seconda, esportarono attraverso il cinema e la fotografia le immagini dei GI*, dei soldati americani sempre all’attacco, determinati nella guerra e generosi nella pace, con il fucile in una mano e la tavoletta di cioccolata nell’altra offerta ai poveri europei, vinti o liberati a seconda dei casi.

L’immaginario americano di una società giovane e dinamica è durato ancora un paio di decenni dopo l’ultima guerra, grazie (ancora) al cinema, all’arte d’avanguardia, alla musica (il rock and roll), alla cornucopia di beni di consumo, all’immagine di enormi automobili fruscianti, di linde casette nei suburbs, alle molte invenzioni, ai jet che traversavano l’Atlantico. Un presidente, Jack Kennedy, con la moglie Jacqueline, impersonò più di tutti all’inizio degli anni Sessanta questo immaginario giovanile americano aggiungendovi un tocco di eleganza europea. Poi, dopo la guerra del Vietnam, nel corso degli anni Settanta, gli scandali, il Watergate, l’aumento della criminalità, la diffusione della droga, la crisi petrolifera: in poco più di un decennio l’America invecchia improvvisamente e perde le proprie certezze.

Ci volle il paradosso di un uomo anziano, Ronald Reagan, che aveva settant’anni quando fu eletto e 78 quando terminò il mandato, di un ex attore, un cowboy di celluloide, per reinventare il mito di un’America giovane e dire agli americani che era di nuovo mattino (“It’s morning again in America”), è ritornato il tempo di un’America “più orgogliosa, più forte e migliore”. Il mito durò a lungo, dette all’America la sicurezza di sé per vincere la guerra fredda, per lanciarsi in nuove avventure militari, per erigersi a unica superpotenza garante dell’ordine mondiale, l’ordine americano. Ma era appunto un mito, un mito di giovinezza scomparsa e di innocenza perduta, nel mentre che la società americana invecchiava, diminuiva la sua capacità di attrazione, e al contempo aumentava la complessità di un mondo che non era più chiaro o scuro, giusto o sbagliato, buono o cattivo, come ai tempi della guerra fredda o quando i marines sbarcavano a Omaha Beach.

Improvvisamente, nel 2001, la potenza americana viene squassata dagli attentati dell’11 settembre e gli Stati Uniti si ritrovano deboli e indifesi di fronte al nuovo male assoluto, il terrorismo jihadista. “Nulla sarà più come prima” fu detto allora. E invece tutto è ritornato come prima. La sfida del terrorismo internazionale si è allontanata, ma al suo posto a rendere inquieti i sonni degli americani (e non solo) sono arrivate altre “sfide”: la pandemia, il riscaldamento del pianeta, l’immigrazione, la perdita del primato economico, le nuove minacce (reali o percepite) di superpotenze rivali. Tutto difficile da comprendere per un paese che si considerava senza rivali — e per un periodo lo è stato — un’eccezione della storia, un “faro sulla collina” la cui missione storica era di guidare le nazioni della terra verso la democrazia, la prosperità, la libertà, ecc. ecc.

È a questo punto, dopo la parentesi di Barack Obama, che arriva alla presidenza un altro uomo anziano, Donald Trump, quasi 71 anni quando diventa presidente, anche lui un ex attore, ma di minor talento del precedente, cui comunque si richiama con il suo slogan MAGA, “Make America Great Again”. È un affarista, un imprenditore, un mentitore inveterato, un pacchiano imbonitore, che tuttavia riesce a interpretare l’ansia di certezze di almeno la metà dei suoi concittadini convincendoli che ci sono soluzioni semplici a portata di mano. Basta fare come dice lui, spazzare via tutto, smettere di fare distinzioni, di cercare din capire, di avere buoni sentimenti. L’America Grande che ha in mente (per il poco che si concentri) è l’America bianca che ha conquistato il West massacrando gli indiani, che ha accolto ed è disposta ad accogliere i migranti purché siano bianchi ed europei. Un calderone di contraddizioni in cui è difficile trovare un senso, a eccezione della pulsione a spazzar via, a cambiare tutto. Il messaggio è ancora una volta il ringiovanimento del paese, il ritorno alle origini, cambiamento che però si ferma alla persona del presidente. È lui, il maschio alpha che si crede perennemente giovane, che con la sua strafottenza, la sua sessualità maschilista pensa di interpretare quelli che crede tratti dell’età giovanile. Vorrebbe essere giovane, ma è pateticamente vecchio, anzi senile.
Ronald Reagan prima dell’ingresso in politica

Equi veniamo al punto sorprendente. Gli Stati Uniti d’America sono oggi, almeno nella loro classe dirigente politica, un paese sempre più vecchio, in cui i leader politici rimangono abbarbicati al potere finché non sono costretti (per ragioni naturali o elettorali) a lasciarlo. Joe Biden, l’attuale presidente ha 81 anni e ha annunciato di volersi ricandidare; se sarà rieletto alla fine del mandato avrà 87 anni. Il suo predecessore Donald Trump ha “soltanto” 77 anni e anche lui ha annunciato di volersi ricandidare. Il capo della minoranza del partito democratico, Bernie Sanders, ha 81 anni, guida una importante commissione del senato e non ha nessuna intenzione di farsi da parte; lo stesso dicasi per Mitch McConnell (81 anni), capo dei senatori repubblicani, e per il capo dell’ala moderata del partito repubblicano, Mitt Romney (75 anni). Il capo della nuova maggioranza democratica al senato, Chuck Schumer, di anni ne ha “solo” 73 e non pensa certo a lasciare. A differenza di loro Nancy Pelosi, che ventuno anni prima aveva rotto il “soffitto di cristallo” divenendo la prima donna speaker della camera, non si è ricandidata: aveva comunque 82 anni. Tirando le somme, un quarto dei parlamentari americani ha più di settant’anni. Curiosamente i giudici della Corte suprema, che sono nominati a vita, sono decisamente più giovani: soltanto due su nove hanno più di settant’anni. Mentre invece un terzo dei membri del governo (“cabinet”) Biden ha più di settant’anni e soltanto uno di loro (Pete Buttigieg) ne ha meno di cinquanta.

In confronto la situazione in Europa è molto diversa. Il presidente francese Macron ha 46 anni, il primo ministro inglese Rishi Sunak ne ha 43, lo spagnolo Pedro Sánchez 51, mentre il tedesco Olaf Scholz, il più anziano del gruppo, ha 65 anni, quindici in meno di Joe Biden. E poi c’è naturalmente il caso Italia, dove nessuno dei principali leader della maggioranza o dell’opposizione (con l’eccezione di Silvio Berlusconi, ma quello è un caso a parte) arriva a sessant’anni: la presidente del consiglio Meloni (43 anni), il vice di Meloni Salvini (50), i capi dell’opposizione Schlein (37), Calenda (50), Conte (58). Non c’è bisogno di citare la neozelandese Jacinda Ardern primo ministro a 37 anni e ritiratasi a vita privata cinque anni dopo, né la finlandese Sanna Marin, anche lei primo ministro a 37 anni, per affermare che in genere in Europa e nel mondo occidentale, a differenza di quanto avviene nelle dittature africane e asiatiche, si assurge alle massime cariche dello stato ad un’età molto più giovane; e si smette di fare politica, per propria decisione o per volontà degli elettori, molto prima di quanto non avvenga negli Stati Uniti.

C’è solo da sperare che la incipiente gerontocrazia americana porti saggezza a quel paese e maggiore tranquillità al mondo.

p.s. A scanso di equivoci l’autore di queste righe ha da poco compiuto 77 anni

10 Marzo 2023 da ytali.com

 

*G.I. è un acronimo utilizzato per descrivere i soldati dell'Esercito degli Stati Uniti d'America e gli avieri dell'Aeronautica Militare Americana e, occasionalmente, anche i Marines e i marinai a terra, e anche qualsiasi articolo del loro equipaggiamento.

 

 

 

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I sacrifici che non ci chiede l’Europa

AMBIENTE

Storia di un "sogno" costantemente minacciato ... che forse resterà tale

di Ina Camilli*
BACINO IDROGRAFICO FIUME SACCO ok 390 minNella valle del Sacco si vuole credere in un domani che possa consentire alla sua gente di vivere in una terra bonificata, senza compromissioni e conflitti tra salute, ambiente e lavoro. Ogni giorno questo sogno continua ad essere minacciato e mina la speranza di futuro dei giovani.

Una grave minaccia viene dalla criminalità organizzata, camorra e mafia, che muove interessi anche nel settore del trasporto e della gestione dei rifiuti, come appreso dall’allarmante appello dell’ex Prefetto di Frosinone, Portelli.

Illegalità e illegittimità. Una recente inchiesta giudiziaria ha messo in luce l’ipotesi di gravi irregolarità nell’Amministrazione regionale a carico di un dirigente del settore Ambiente, relativamente al rilascio di autorizzazioni ad impianti di smaltimento dei rifiuti.

L’economia della valle del Sacco dopo decenni resta ancorata ad un modello di sfruttamento delle risorse naturali e la classe politica non ha la capacità di visione per cambiare questo sistema.

Si continua a parlare di moratoria e bonifica, che tardano a diventare operative, mentre nel contempo la Regione autorizza impianti industriali ad alto impatto industriale. Ciò accade a Frosinone, Anagni, Ferentino, Patrica, Roccasecca e Colfelice.

E’ quanto sta accadendo, in particolare a Frosinone, contro la volontà del Comune e dei suoi cittadini, in merito alla dislocazione di un biodigestore da parte di un soggetto privato, motivo di forti tensioni e preoccupazioni tra la popolazione, sotto il profilo sociale e della legalità, sanitario ed ambientale, e soprattutto tra i residenti, che temono la forte svalutazione dei propri immobili ed attività commerciali.

IMPIANTO DI BIODIGESTIONE

Il 30 dicembre 2019 la società Maestrale srl ha presentato presso gli Uffici amministrativi della Regione Lazio (in qualitàCentrale a biomasse quanto inquinamento produce 390 min di Autorità proponente, Direzione Regionale Ambiente – Area VIA) per la valutazione d’impatto ambientale (VIA) un progetto per la “Costruzione e messa in esercizio di un impianto di produzione di biometano ottenuto dalla digestione anaerobica della frazione organica da raccolta differenziata dei rifiuti solidi urbani”, da realizzarsi in via A. da Messina, in prossimità di una zona popolosa, qual è Corso Lazio.

Il progetto di un “biodigestore anaerobico” è del gruppo Turriziani, occuperà un’area di circa 6,30 ettari e tratterà 50.000 tonnellate l’anno di rifiuti organici (FORSU), un quantitativo di gran lunga eccedente le 4.000 tonnellate prodotte dal capoluogo. Poiché tutta la Provincia ne produce 38.734, l’impianto in questione è sovradimensionato rispetto al fabbisogno di una popolazione di 500.000 abitanti.

Tali dati inevitabilmente vanno oltre il principio di prossimità e dell’ATO per l’afferenza di rifiuti da altre Province, in violazione del Piano di gestione dei rifiuti regionale (2020), in un territorio fortemente penalizzato dalla conformazione orogeografica, che impedisce la dispersione degli inquinanti in atmosfera.

Inoltre, il progetto contrasta con la legge costituzionale 11.2.2022, n. 1, che ha introdotto non solo il principio fondamentale della tutela dell’ambiente, delle biodiversità e degli ecosistemi nella nostra Carta costituzionale, ma anche la previsione per cui l’iniziativa economica deve essere esercitata in modo da non arrecare danni all’ambiente e alla salute.

PROCEDIMENTO AMMINISTRATIVO REGIONALE

Finora si sono svolte tre riunioni della Conferenza di servizi, nelle quali i cittadini, organizzati nel Comitato No Biodigestori Frosinone - valle del Sacco, Salviamo il paesaggio Frosinone, Comitato Residenti Colleferro, Cittadini della Valle del Sacco (Sgurgola-Anagni), essendo stati ammessi come uditori, hanno prodotto osservazioni motivate contrarie al progetto, rilevando le criticità sia degli aspetti tecnici, sia dei passaggi procedurali, puntualmente rimasti senza riscontro da parte della Regione.

A questo proposito, alcuni passaggi si configurerebbero come gravi illegittimità procedurali da parte della Regione. Ci riferiamo al fatto che l’Autorità procedente, al termine della terza Conferenza di servizi decisoria, invece di concludere negativamente il procedimento, vista la posizione prevalente dei vari Enti contraria al progetto della Maestrale srl, e il parere negativo del Comune di Frosinone, lo ha lasciato aperto. Non solo, ma ha concesso alla società un rinvio di 30 giorni, che contrasta con i termini perentori previsti dalla normativa per la conclusione della Conferenza di servizi.

E se non bastasse successivamente la Regione ha accolto la richiesta del proponente di “sospendere il procedimento nelle more dell’acquisizione dell’Autorizzazione Unica”, richiesta di cui non era stata presentata in atti alcuna centralina di rilevamento polveri 390 ministanza e che si è palesata soltanto nella terza Conferenza decisoria.

Tale “concessione” avveniva dopo che la Regione Lazio, come da normativa, aveva già richiesto agli Enti presenti, nella prima riunione, la presa d’atto e la conferma della completezza della documentazione inerente le istanze.

LE CONTESTAZIONI AL BIODIGESTORE

I Consiglieri comunali Marco Mastronardi e Fabiana Scasseddu nonché il Comitato No biodigestori hanno segnalato la supposta illegittimità della sospensione del procedimento di VIA, con richiesta di annullamento della Conferenza di servizi, già convocata per il 21.2.2022, facendo presente alla Regione Lazio, alle Amministrazioni e agli Enti territoriali interessati che il proponente non aveva ottemperato all’obbligo di inoltrare per tempo l’istanza per il rilascio dell’Autorizzazione unica, e che tale mancanza non era stata rilevata nella fase istruttoria.

Secondo la normativa nei procedimenti di VIA le richieste non accompagnate dalla documentazione di legge sono ritenute improcedibili e conseguentemente archiviate.

Non appare peraltro legittima l’ammissione della richiesta di sospensione del proponente e men che mai la sua concessione da parte della Direzione regionale. La normativa sulla tempistica è perentoria e prevede tale concessione fino ad un massimo di 180 giorni solo nel caso in cui venga richiesta documentazione integrativa nel corso e in carenza di istruttoria, certamente non quando questa è considerata in atti conclusa.

Vale ricordare che la concessione di tale intervallo temporale può avvenire su domanda e solo quando è in corso l’istruttoria per l’integrazione del progetto a richiesta degli Enti.

In tal senso c’è la nota del 21.2.2022 trasmessa dalla Provincia di Frosinone, che è l’organo competente al rilascio dell’Autorizzazione unica, alla Regione. E’ una richiesta di chiarimenti in merito alla sospensione del procedimento di VIA, con la precisazione che non procederà alla valutazione della documentazione inoltrata dalla Società prcollefagiolara 350 minima di aver ricevuto i suddetti chiarimenti.

CARENZE PROCEDURALI

Non risulta che la proponente, all’epoca della stesura di tale nota, abbia presentato la documentazione antisismica, nonostante la città di Frosinone sia classificata come zona sismica B, sottozona sismica 2B.

Resta da verificare se la distanza dell’impianto dagli stabilimenti a rischio d’incidente rilevante (RIR) presenti nell’area sia sufficientemente garantita.

Trovandoci nel SIN dovrebbe essere disponibile - e non lo è - una indagine ambientale sul suolo, sottosuolo ed acque di falda da attualizzare per valutare la presenza di possibili contaminazioni, anche alla luce del parere condizionato della Asl di Frosinone, seppur positivo, resta dal contenuto generico. A conferma della riconosciuta grave capacità impattante sulla salute e sull’ambiente del progetto, la Asl di Frosinone riserva numerose e rilevanti prescrizioni alla Maestrale srl in merito alla necessità di un monitoraggio ambientale.

Purtroppo, le indagini epidemiologiche sanitarie locali, così come previsto anche dall’Accordo di programma del 2019 sulla bonifica del SIN Bacino del fiume Sacco, non sono ancora operative e, sotto il profilo metodologico, abbastanza contestate.

C’è inoltre un fatto. La Direzione regionale competente non può attivare procedimenti che coinvolgano anche indirettamente autorizzazioni e rilascio di fondi pubblici, come nel caso del biodigestore di Frosinone, laddove prima che inizi l’istruttoria del Paur non abbia eseguito tutte le verifiche per essere insindacabilmente certi di non concedere voce ad aziende che per legami “pericolosi” siano per legge estromesse dall’esercitare attività di impresa nel settore di trasformazione dei rifiuti.

Nel caso di specie, la Maestrale srl non risulterebbe essere iscritta nella White List e neanche che ne abbia presentato domanda.

Non risulterebbe altresì che la certificazione antimafia sia stata richiesta dall’Autorità procedente, che doveva acquisirla prima dell’avvio del procedimento di VIA.

Infine i progetti di biodigestione fruiscono di incentivi pubblici ed anche quello in questione rientrerebbe tra gli impianti strettamente legati al PNRR e pertanto dovrebbe essere sottoposto alle verifiche dei sei pilastri cardine previsti dalla tassonomia DNSH (Non arrecare danni significativi all’ambiente) per non creare nocumento ad ambiente e salute pubblica. Tale importante verifica non è stata eseguita da parte della Regione.inceneritori ColleSughero Colleferro 350 min

ASPETTI TECNICI DEL BIODIGESTORE

Non risulta presentata dalla Maestrale srl la sua iscrizione all’Albo gestori ambientali, né l’iscrizione all’Albo nazionale del tecnico per il rumore (che peraltro ha apposto una firma illeggibile).

Il biodigestore non produrrà energia elettrica, ma la consumerà e per funzionare avrà bisogno di una caldaia a gasolio e di un generatore, quindi dovrà approvvigionarsi sia di energia elettrica che termica, impianti entrambi ad alto inquinamento ambientale.

Nella documentazione non si rileva traccia della valutazione dell’impatto delle emissioni della caldaia da 500 KW, potenza termica di circa 430 mila Kcal/h, e della sua compatibilità rispetto a tali criticità, se si considera che nella nuova zonizzazione regionale la maggior parte dei Comuni della Provincia di Frosinone è in classe 1 (ex Zona A), la peggiore in termini di polveri sottili.

Risulterebbe che la concessione edilizia rilasciata dal Comune di Frosinone a nome di Turriziani Petroli srl per la costruzione dello stabilimento industriale in loc. La Selvotta abbia come indirizzo Via A. da Messina 2 – Selva dei Muli. Non si capisce il motivo né a che titolo sia stata acquisita dal proponente una concessione intestata ad una Srl con un indirizzo diverso, peraltro pure ampiamente scaduta dal 1985.

Non risulta l’istanza né il pagamento, nei termini, degli oneri per l’Autorizzazione Unica, tra quelle presentate dal proponente.

RICHIESTE DEL COORDINAMENTO

Da quanto sopra si evince che la completezza documentale non è stata verificata e che integrazioni documentali richieste il 29.12.2020 non sono pervenute dopo 30 giorni, termine anch’esso perentorio: in assenza di riscontro alla data di scadenza, l’istanza doveva essere archiviata, come richiesto dai cittadini del Comitato No Biodigestori Frosinone - valle del Sacco. Quest’ultimo ha chiesto formalmente alla Regione Lazio, a conclusione di tale carteggio, l’archiviazione del procedimento autorizzatorio, a cui non è seguita risposta.

Il 28.4.2022 è stato chiesto alle Direzioni regionali competenti il rilascio di diniego motivato al procedimento di Paur perConsRegionaleLazio laRepubblica 390 min carenza di istruttoria nel rispetto della procedura e dei termini perentori.

All’Assessore competente Roberta Lombardi è stato chiesto di applicare coerentemente quanto di sua competenza per garantire al cittadino procedimenti improntati alla trasparenza, legalità, imparzialità, buon andamento e ragionevolezza dell’azione amministrativa. Non è seguita alcuna risposta.

DUE GRAVI INADEMPIMENTI

Ci soffermiamo ora sull’attualità, richiamando due fatti. Il primo riguarda il rilascio dell’Aia al progetto della società Energia Anagni srl per un biodigestore da 84 mila tonnellate l’anno di rifiuti, a pochi km da Frosinone. Il che fa occupare alla valle del Sacco un posto privilegiato nella classificazione di centro di trattamento dei rifiuti.

Il secondo fatto riguarda l’assenza in Conferenza di servizi ed il silenzio, estremamente eloquente, dei partiti e delle organizzazioni della società civile, dei corpi intermedi e di ogni altra espressione sociale rispetto ad un simile progetto.

Difficile per questi ultimi azionare strumenti giuridici efficaci per agire nei confronti di tutti i soggetti al di fuori della Conferenza di servizi (salvo l’improbabile ricorso al Tar del Lazio), ma non si sono levate nemmeno voci per far desistere l’Autorità procedente dall’adottare e/o archiviare il provvedimento in questione o ancora per fare pressione sul Comune di Frosinone.

Si è invece celermente attivata la società Maestrale che il 27 dicembre 2022 ha sollecitato la Regione a convocare la Conferenza dei Servizi per chiudere il procedimento e rilasciare il Paur.

Frosinone, 29.12.20222
*Ina Camilli della Redazione di UNOeTRE.it

 

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Fine dell’Europa, Stati Uniti e Zelensky. Seconda parte

DAL MONDO

da: Noam Chomsky: "CAPIRE IL POTERE", il Saggiatore, Milano, 2008.

di Michele Santulli
zelensky 390 min“Nessuno…uscirà vincitore da questa guerra. La guerra non è un giuoco, la guerra è una cosa mostruosa, che costa milioni di vite umane e a cui non è facile mettere fine” (Lenin)

Le citazioni tratte dal libro "CAPIRE IL POTERE" con le pagine dove sono rintracciabili

447) “….il 40% dei bambini di New York sotto la soglia di povertà….”
448) “Secondo le statistiche più aggiornate si valuta che negli Stati Uniti trenta milioni di persone soffrano la fame”, ”quasi cinque milioni di americani anziani, circa il 16% della popolazione di età superiore ai 60 anni, sono destinati a soffrire la fame, sono già malnutriti”.
76) a Harlem “la nonna che deve stare sveglia tutta la notte e impedire che i ratti mangino i nipotini”.
82) “la droga regalata ai bambini di dieci anni.”
148) “noi abbiamo più persone senza casa e meno salute.”
19) il presidente “Reagan si impegnò…. ad eliminare da noi i sistemi previdenziali ed assistenziali.”
78) “….la sensazione di camminare per strada e…..correre il rischio che qualcuno possa ammazzarti.”
78) “….lo spettacolo della ricchezza sfacciata accanto alla più squallida povertà…” [oggi la disperazione, senza speranza].
79) “Alla televisione le immagini di una vita impossibile….offerta deviante.”
468) “Nel mondo industrializzato gli Stati Uniti hanno il più alto carico di lavoro e sono anche l’unico paese in cui non esistono vacanze pagate per legge.”
115) “Il Pentagono progettato non per offrire alla gente una vita migliore ma per garantire ‘un’economia in salute’ cioè per assicurare profitti alle imprese.”
464) “intorno al 1970, il 90% del capitale coinvolto nelle transazioni economiche internazionali veniva utilizzato per scopi commerciali o produttivi e soltanto il 10% a scopi speculativi. Nel 1990 il contrario! Addirittura nel 1995 il 95% per spese speculative!”
6) “Perché l’11 settembre 2001? Perché tanto odio verso gli USA?”
25) “Le azioni terroristiche americane condotte in gran segreto, assoldano paesi satelliti per tema delle contestazioni pubbliche.”
22) “Paesi mercenari al servizio USA: Israele, Corea del Sud, Taiwan, Sud Africa e poi Arabia Saudita e Panama.”
25) “Salvador Allende deposto da un colpo di stato organizzato dalla CIA nel 1973.”
66) ” ‘Terrorismo’ indica sempre quello che fanno gli altri”.
66) “ ‘difesa’ non ho mai sentito uno stato ammettere che sta compiendo un atto di aggressione….magari ‘difesa preventiva’ o del genere.”
67) “…i sovietici sono piuttosto conservatori non tengono forze di pronto intervento in tutto il mondo come facciamo noi.”
69)….[documenti ufficiali] “…senza spese militari si andrà incontro a un declino della economia degli S.U. e del mondo intero….perciò forte aumento delle spese militari e dissoluzione della Unione Sovietica.”
75) “ ‘moderato’ se si obbedisce agli Stati Uniti [e agli stati amici] altrimenti ‘radicale’ : il Marocco di Hassan II il maggior torturatore e violento, l’Arabia Saudita pari e uguale, perfino l’Iraq di Saddam, sono ‘moderati’, idem Suharto dell’Indonesia, uno dei maggiori assassini dai tempi di Hitler….”
81) “Manca il lavoro manuale che avrebbe potuto assorbire le grandi migrazioni dei neri provenienti dalla meccanizzazione dell’agricoltura del sud e quella degli gli ispanici provenienti dall’America Centrale: ora ammassati in quei campi di concentramento che sono le grandi città del Nord, da dove la maggior parte non uscirà più perché non ci sono più occasioni. Il PIL cresce ma non per la popolazione povera.”
84) “Manca un partito politico legato al lavoro, unico in occidente, quindi la gente spoliticizzata…. La colpa? Neri, ebrei, omosessuali, comunisti.”
86) “Bush si appoggiò alle minoranze etniche….polacchi, ucraini e altri popoli del genere….nazisti ucraini antisemiti fino all’isterismo, romeni, ecc.”
92) “Agli Stati Uniti è consentito perpetrare crimini di guerra, è consentito aggredire altri paesi, è consentito ignorare il diritto internazionale.”
109) “…si deve tenere la popolazione ubbidiente, tranquilla e passiva….quando c’è un grande nemico, la gente è disposta a rinunciare ai propri diritti pur di sopravvivere.”
115) “L’opinione pubblica non deve saper nulla. Non dobbiamo usare la parola ‘sovvenzioni’, la parola da usare è ‘sicurezza’ ”.
193) “Il nostro sistema economico ‘funziona’ ma… nell’interesse dei padroni e non…nell’interesse della popolazione.”
198) “Più un paese tortura i cittadini, più smaccate sono le sue violazioni dei diritti umani, più aiuti riceve dagli Stati Uniti.”
233) “L’Europa è stata colonizzata culturalmente dagli Stati Uniti a un livello inverosimile, una brutta copia degli Stati Uniti, anche se è ancora più tragico perché hanno una sensazione di grande indipendenza”.

 

 

 

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Fine dell’Europa, Stati Uniti e Zelensky Prima parte

 

USA: 0,05% dei abitanti del pianeta, da soli il 40% delle spese militari globali 

di Michele Santulli
UE assente geopop.it 390 minIn prosieguo a quanto nell’intervento del 20 ottobre 2022 scorso, riportiamo altre osservazioni del Prof. Noam Chomsky sul proprio Paese, gli Stati Uniti. Ricordiamo che Noam Chomsky è stato professore ordinario, oggi emerito, di Linguistica al MIT, la università di Boston forse più di prestigio degli USA: un intero volume potrebbe contenere l’elenco dei libri e degli articoli scritti, delle conferenze e trasmissioni tenute nel corso della lunga vita, come pure delle numerose lauree ad honorem, dei premi letterari e dei riconoscimenti ufficiali: è la voce critica enormemente più seguita in America, una delle primarie personalità della cultura americana.
Le note sono citazioni dal testo: CAPIRE IL POTERE, il Saggiatore, Milano, 2008.

La micidiale guerra tra Russia e Ucraina che stiamo vivendo anche di persona noi Europei a seguito di certe conseguenze, documenta per l’ennesima volta, adesso pericolosamente, la volontà e il disegno primari degli Stati Uniti e della succursale NATO, di impadronirsi del pianeta: l’arroganza della forza militare e l’assenza dei controlli internazionali ONU, soprattutto la ignoranza delle popolazioni grazie ai media che o per mercimonio o per viltà o per altro tengono l’umanità all’oscuro delle, tra l’altro, fortificazioni e installazioni militari che gli Stati Uniti hanno realizzato dovunque nel globo a questa finalità di conquista e di dominazione, sono prove di una apocalisse incombente: “…gli Stati Uniti, che si è arrogato e arroga oggi con la forza il diritto all’illegalità e all’impunità” (C.Rovelli). Qui appresso, per difetto, una serie di nazioni che ne hanno subito la violenza, l’aggressione, la distruzione o perché regimi democratici o perché regimi avversi ai loro ordini e comandi: Timor Est, Vietnam del Sud, Cambogia, Corea del Sud, Guatemala, Haiti, Honduras, Costarica, Nicaragua, Salvador, Panama, Bosnia/Belgrado, Libia, Iraq, Cile, Afghanistan, Argentina, ecc. ….. ”Ci opponiamo? No! Noi sosteniamo sempre il terrore, anzi lo insediamo al potere”(p.197). A tale elenco manca la regione oggi, solo apparentemente, più significativa: l’Europa, adattatasi a manifesto zimbello di Biden, a stuoia davanti alla porta! “Le mosse e i gesti di Ursula von der Leyen sono un coacervo di miopia e sconsideratezza, arroganza e mediocrità” (Donatella Di Cesare).

Tutti gli stati europei sono, chi più chi meno, letteralmente già militarmente occupati, da anni, dall’immediato dopoguerra, a seguito delle basi militari presenti in quantità in quasi ogni nazione a seconda della capacità di resistenza e di autodifesa: per esempio, si scrive, l’Italia ha circa cento basi militari pronte a tutto e perfino una ventina segrete di cui nemmeno il Governo conosce la locazione!! essendo la più manifesta serva e succube, già dalla Resistenza, già dalle prime elezioni del 1948, da sempre, agli Stati Uniti protettori della DC. Basi militari, non di difesa!! ma di offesa! Gli americani istituirono il tribunale di guerra a Norimberga per processare i Tedeschi, ma per loro stessi, altrettanto aggressori e violenti, non se ne parla! Non per Biden, Bush jr. o per Blair o per Erdogan e non pochi altri.

Noam Chomsky lo ricorda chiaramente, già da anni: (p.233) “L’Europa è stata colonizzata culturalmente dagli Stati Uniti a un livello inverosimile, una brutta copia degli Stati Uniti, anche se è ancora più tragico perché hanno una sensazione di grande indipendenza”. L’attuale Unione Europea ne è una pessima fotografia. Cioè gli Stati Uniti sono ottanta anni che stanno militarmente operando per la conquista del globo: le loro enormi risorse finanziarie sono totalmente destinate agli armamenti e alle sovvenzioni a certi reparti industriali particolari: “Gli Stati Uniti, con meno dello 0,05 per cento dei abitanti del pianeta, coprono da soli il 40 per cento delle spese militari dell’intiero pianeta” (C.Rovelli), e nel contempo la politica sociale è a livello documentalmente di quarto mondo: fame, miseria grande, povertà, morti precoci di bambini e di vecchi, assenza di sanità pubblica, per decine e decine di milioni!! Il loro nemico mortale era ed è la Russia perché identificata col Comunismo, ecco dunque la ragione palese e manifesta della guerra in corso, da loro voluta, da loro organizzata e preparata, dai servi europei affiancati.

L’Europa, il secondo ostacolo sulla loro strada, è stato ormai neutralizzato e metabolizzato, da anni, senza possibilità di appello! La presente vergognosa soggezione nonché sudditanza è terribile riprova. Salvo poche voci che, è vero, aumentano quotidianamente, la gran parte dei media e intellettuali europei sono muti o ciechi o venduti. Grandemente complici -l’evidenza è fin troppo evidente!- del disegno americano non solo i membri della Commissione Europea ma imperdonabilmente anche le centinaia di parlamentari che hanno avuto il coraggio di dichiarare solennemente terrorista chi non lo è e risparmiare, al contrario, chi lo è storicamente e documentalmente! Si continua a fare il gioco terribile americano, fatto di menzogne e di spergiuri, e dunque a promuovere la schiavitù e sudditanza dell’Europa. Solo che il calcolo americano da questi ultimi anni, è grossolanamente andato errato: ora deve fare i calcoli con la Cina e con l’India, oltre che con la Russia ancora in grado di difendersi e perfino pericolosamente, a dispetto di tutti i nemici e servi.

Con riferimento al livore e avversione manifesti dell’Europa nei confronti della Russia che trapela evidente dalle iniziative in gran parte bizzarre se non ridicole quando non volutamente avverse e deleterie, e allo stesso tempo all’esplicito e dichiarato afflato lirico nei confronti della Ucraina prima di ora nota solo per le sue badanti e per il suo nazionalismo e razzismo antisemita, è da ritenere che tale improvviso odio verso la Russia sia in sostanza dettato, se non da invidia e gelosia o altri sentimenti, dal ruolo significativo e profondo della sua cultura nella cultura europea nonché della sua possente economia, più che alla servile sottomissione alle concezioni sballate ma criminali degli Stati Uniti e NATO.

 

 

 

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Tortorella: “Questa guerra è una sconfitta per l’Europa e per la sinistra"

 ANALISI&OPINIONI

La guerra e il giudizio su questa sinistra italiana oggi troppo dispersa

Ganni Cuperlo intervista Aldo Tortorella
aldotortorella 350 260Nascere in Italia nel 1926 a modo suo scriveva un destino. Mussolini era al potere da quasi quattro anni, Antonio Gramsci sarebbe stato arrestato ai primi di novembre e l’anno dopo condannato dal Tribunale speciale assieme a Umberto Terracini e Mauro Scoccimarro. Aldo Tortorella che a luglio di anni ne compirà novantasei appartiene a quella generazione lì. Nata sotto il fascismo e che il regime ha combattuto con una scelta di parte o, come avremmo detto una volta, di vita. Non ancora diciottenne era entrato nella Resistenza milanese, arrestato riuscì a fuggire e riprendere la clandestinità. Poi la lunga militanza nel Partito Comunista Italiano (“il più democratico e colto dei partiti comunisti, per questo ritenuto il più pericoloso”, mi dirà durante la conversazione). Tortorella è rimasto un difensore della storia dei comunisti italiani e, insieme, un assertore di una ricostruzione della sinistra a partire dalle fondamenta teoriche.
Viene classificato come “berlingueriano” fosse solo per aver condiviso con quella segreteria durata dodici anni, dal 1972 al 1984, i passaggi fondamentali. Più problematico sul “compromesso storico” era stato lui, da responsabile della politica culturale del Pci, a organizzare il convegno dell’Eliseo, era il 1977, quello dove Berlinguer spiazzando un po’ tutti aveva teorizzato la sua visione dell’austerità. Sarebbero seguite la tragedia di Moro, il preambolo democristiano, la chiusura a sinistra di Craxi sino alla svolta dell’Alternativa democratica dopo il terremoto del 1980 in Irpinia, insomma l’ultimo scorcio, il più discusso, della parabola di quel gruppo dirigente. È particolarmente a questo “ultimo Berlinguer”, con cui ebbe un rapporto di stretta e intesa collaborazione, che si richiama Tortorella. Incontrarlo oggi è anche tutto questo, ma non in chiave di ricordo, meno che mai di rimpianto, piuttosto è il tentativo di capire cosa di quella tradizione si proietti ancora nella sinistra di adesso. E allora non si può che muovere da questi due mesi, gli ultimi, perché hanno cumulato un bagaglio di cronaca già destinata a farsi storia.

Partirei da questa guerra nel cuore del continente. Ci sono decenni dove non accade nulla e settimane in cui si consumano decenni. Così, più o meno, Lenin sulla Rivoluzione d’Ottobre. Tu che giudizio dai di queste settimane? Credi che potranno condizionare il futuro dell’Europa come altri momenti storici sono riusciti a fare?

Aldo Tortorella
Mi pare ovvio che la guerra, sperando possa terminare senza estendersi e generare una catastrofe ancora maggiore, segnerà profondamente la realtà del dopo. A partire dalla Russia. A me sembra che sia assai difficile che il regime russo, colpevole di una aggressione ingiustificabile, ne possa uscire indenne. È dichiarato l’obbiettivo del governo americano di dare un duro colpo alla Russia. Ma già ora l’aggressione e le disumanità che l’hanno accompagnata segnano scacchi evidenti, anche tenendo a parte l’andamento dello scontro bellico: dal rinvigorimento dell’alleanza atlantica alla sua estensione. Tuttavia anche per l’Europa qualcosa può mutare. Un solco profondo è scavato nel rapporto con la Russia. Ma ci sono anche i segni di una qualche ricerca di una sia pur relativa autonomia rispetto agli Stati Uniti: segni, però, molto fragili e molto contrastati. Penso alle differenze di tono in qualche atteggiamento del presidente francese, e a quelle che emersero nell’incontro tra Draghi, informale portavoce europeo, e Biden. Ovviamente sempre nel quadro di un indefettibile legame atlantico considerato una sorta di doveroso viatico per il governare in occidente. Ma può tendere a farsi strada il convincimento che imboccare la via di una permanente contrapposizione tra Europa e Russia è a tutto danno reciproco. Anche se sinora è rimasto isolato il giudizio espresso da Giuliano Amato e confinato in una pagina secondaria dallo stesso giornale che ha pubblicato quell’intervista, giornale che si colloca tra i sostenitori della tendenza convinta che la sola via percorribile sia in un inasprimento della guerra.

Ti riferisci al racconto di Amato quando nel 2000 incontrò un giovane Putin ben disposto a un rapporto di cooperazione e forse inclusione in Europa e al senso di colpa, Amato usa quella formula, per non aver coltivato quell’apertura?
Sì, ma mi riferisco soprattutto al suo giudizio politico, la presa d’atto che questa guerra rappresenta una sconfitta per l’Europa. In queste settimane non l’ho sentito dire abbastanza, ma mi sembra del tutto giusto. Dopo la fine della guerra fredda con la vittoria degli Stati Uniti, la Nato si è comportata con la Russia come se esistesse ancora l’Unione Sovietica mentre quella era l’occasione per aiutare, coltivare, persino inventare, una vera trasformazione democratica che non c’è stata. C’è stata l’instaurazione di un capitalismo selvaggio con vivo compiacimento occidentale e grandi amicizie con Putin. Ora questa guerra potrebbe segnare, ma non ne ho la certezza, uno sforzo di maggiore autonomia dell’Europa nei confronti della potenza egemone. Il problema è che Washington nelle sue componenti politiche come nel complesso della sua dirigenza economica e persino morale, non pare avere alcuna intenzione di praticare una egemonia condivisa. Mi pare che la tesi del millennio americano continui a prevalere e temo che anche quel processo di relativa maggiore autonomia dell’Europa possa non avere la forza per imporsi.

È la tesi della subalternità dell’Europa alla linea giudicata più bellicista di Londra e Washington?
Se sto ai fatti anche su quel piano ho l’impressione che qualcosa si stia muovendo. Da una parte c’è chi teorizza un inasprimento della guerra fino ad una piena sconfitta della Federazione Russa con il pericolo di un’espansione del conflitto oppure con una ulteriore punizione e umiliazione di quel paese che – anche dopo la eventuale caduta del pessimo regime autoritario attuale, dominato da un pugno di oligarchi – sarebbe drammatica per le conseguenze nel tempo. Questa tendenza si scontra con l’altro indirizzo teso a cercare un compromesso accettabile. In questo senso francesi, tedeschi e noi italiani sembriamo relativamente più orientati verso una linea che si differenzia, seppure lievemente, dagli americani. La mia però è forse solo una speranza e non mi azzardo a fare previsioni.

Scusa se torno a quell’intervista di Amato, ma la si può leggere anche come una conferma della doppia morale che abbiamo usato nel non condannare violazioni delle norme democratiche, penso all’annessione della Crimea nel 2014 salvo continuare a comperare gas e petrolio russo e, non contenti, a vendere a Mosca armi nonostante l’embargo. Come se sui valori dell’Occidente si potessero fondare utili compromessi a seconda delle convenienze. Eppure chi era Putin lo si sapeva molto prima dell’invasione dell’Ucraina, almeno dal 2006 quando Anna Politkovskaja viene assassinata il giorno del compleanno dello “zar”.
Tu parli di una doppia morale, ma direi che c’è stato qualcosa di più. Nei paesi che definiamo di liberal-democrazia si è venuta via via spegnendo una dialettica autentica, e quindi anche gli errori che citi non sono stati solamente degli errori. Fu ignorato l’allarme di Schmidt, già cancelliere tedesco, per il colpo di stato (“fino al 1991 tutti abbiamo ritenuto che la Ucraina fosse russa…Sento un clima da 1914”) e persino voci come quelle di William Perry, l’ex segretario alla Difesa di Clinton, non siano state ascoltate nel loro allarme sulle scelte di allargamento a Est dell’Alleanza Atlantica. Tutto ciò, mi pare, è dipeso dal fatto che l’intera dialettica dell’Occidente si è completamente racchiusa dentro un pensiero che non conosce alternativa perché semplicemente non la legittima e questo è il problema che abbiamo davanti adesso. Diventava sospetta qualsiasi obiezione alla tendenza espansiva della potenza americana. Al fondo se osservi la situazione per come si presenta ora in questi paesi, Stati Uniti, Francia e Italia, ad esempio, dobbiamo concludere che siamo stretti tra un pensiero liberaldemocratico esausto (cioè che dimentica le proprie premesse anti oligarchiche) e un pensiero neo-autoritario, quello che comunemente viene chiamato populismo. Questa torsione dipende dal fatto che sono state considerate obsolete sia una alternativa pacifista – cioè propugnatrice del disarmo bilanciato e controllato – sia la prospettiva di un inveramento democratico, intendo una democrazia partecipata, una progressiva attuazione dell’eguaglianza come quella dell’articolo 3 della Costituzione italiana (che non si limita alla pur irrinunciabile ed essenziale eguaglianza formale), cioè l’idea di una libertà solidale. Queste idee sono venute via via decadendo non solo per l’assenza di soggetti in grado di esprimerle, ma perché i gruppi dirigenti, anche della sinistra, sono venuti smarrendo i motivi del loro esserci.

Ti riferisci anche alla tradizione e all’esito storico del Pci?
Pensa alla sorte del gruppo dirigente del comunismo italiano che arrivato al massimo della sua espansione, quando il Psi apre ai comunisti come forza di governo, vede le grandi democrazie liberali negare ogni spazio a quello sbocco. Henry Kissinger definì una partecipazione al governo del Pci come una rottura morale per l’Occidente. Ma quello era a tutti gli effetti, un partito “democratico” con una accettazione politica, quella pratica c’era sempre stata, del Patto Atlantico. Eppure non bastava perché si negava a quel partito la legittimità di coltivare una idea di alternativa non certo improntata al sistema sovietico, ma del tutto interna alla democrazia e coerente con una critica del modello di allora. Per altro era una critica fondata su premesse che successivamente si sono ampiamente realizzate e che hanno dato vita alla situazione attuale giustamente definita come “”post democrazia”. Certo, però, che se era giusto criticare la involuzione della democrazia (accusata di comportare un “eccesso di domande”) non bastava la cultura delle sinistre tradizionali per intendere i processi economici e sociali che intanto maturavano. Parlo degli assetti che il capitalismo globalizzato veniva assumendo. E alle trasformazioni che la rivoluzione scientifica e tecnologica, sino al digitale, ha indotto nelle relazioni umane e nelle coscienze. Questi processi che hanno investito l’economia, la cultura, le forme di protezione delle società, sono stati difficili da comprendere. Le nuove correnti di analisi della realtà (ad esempio il neo femminismo e l’ecologismo) nascevano al di fuori delle sinistre tradizionali. I loro successi alla fine del secolo (quasi tutta l’Europa e gli Stati Uniti avevano, come si sa un governo di centrosinistra) vollero accreditarsi mostrando una superiore capacità di applicare una politica di tipo liberista senza alcuna critica al modello di globalizzazione determinato dal mercato unico dei capitali e, in parte, delle merci. Il che se aiutava la Cina e molti paesi in via di sviluppo (con straordinario arricchimento degli investitori occidentali) impoveriva vasti strati di lavoratori delle metropoli. Vengono di qui il successo dei populisti e il ritorno nazionalistico e dunque anche la involuzione dei due partiti americani. L’uno con il “trumpismo” del “prima l’America”, l’altro con la riproposizione della missione salvifica degli Stati Uniti: “l’America è tornata” di Biden, cioè la ripresa della funzione egemonica degli Stati Uniti nella comunità internazionale. L’idea di una egemonia condivisa non appartiene a questo modo di pensare. L’indubbia vittoria nella guerra fredda ha sollecitato piuttosto la tendenza al dominio fondato sulla forza. Un’Europa unita e alleata alla pari non è mai stata negli auspici. La Brexit è giunta come opportuna. Il legame speciale desiderato dai paesi europei orientali non è certo scoraggiato. E per la Russia sconfitta andava bene un Boris Eltsin che prende il potere cannoneggiando un Parlamento che voleva sfiduciarlo (con 180 morti subito rimossi). Putin è stato la conseguenza di un tale impianto. E il suo bellicoso iper-nazionalismo l’unico modo per cercare un consenso popolare.

Quindi collochi l’errore dell’Europa nella mancata comprensione di quali ricadute avrebbe determinato un’egemonia dell’Occidente incapace di considerare la complessità di quella transizione alla democrazia?
Dico che Putin non lo vezzeggiava solo Berlusconi, o più di recente Le Pen o Salvini. In molti ambienti europei e occidentali si è imposta una logica che, in una certa misura, anche nel Pci aveva avuto seguito: un atteggiamento del tipo “ma che pretendete? Quelli la democrazia non l’hanno mai conosciuta e allora si torna allo zarismo, ma vedrete che questo sarà uno zar buono”. Però non c’è stata solo ignoranza. La accondiscendenza si accompagnava ad ottimi affari. E la rinascita nazionalistica o la tendenza alla esaltazione del potere personale non accadeva solo in Russia ma anche in tanti paesi d’Europa compreso il nostro. Ecco perché dico che non c’è stata solo una doppia morale, c’è stato il trionfo di una morale sbagliata. O, piuttosto, nella finzione della fine delle ideologie, il ritorno all’ideologia del capo salvifico in rapporto diretto con “la massa”. Per questo citavo Amato, perché almeno lui riconosce la radice di quell’errore che, però, non ha rivelato solo scarsa lungimiranza nello sforzo di aiutare una democrazia nascente. Quell’errore è stato la diretta conseguenza di una posizione culturale e politica che ignorava i problemi reali che sono nati dentro le stesse democrazie liberali e che oggi sono il cuore delle nostre post democrazie. Temi spinosi anche per il Pd o le forze della sinistra perché se i gruppi dirigenti accettano lo stato di fatto, le persone che vorresti conquistare semplicemente non ti seguono.

L’ultimo tema forse si collega a un passato meno recente. Sono cento anni dalla nascita di Enrico Berlinguer. Mi è capitato di ricordare quel giudizio che Fortebraccio gli dedicò sull’Unità: “È stato un uomo politico. Vi pare una banalità?”. Sappiamo quanto quella frase sia difficile da ripetere, ma oggi come definiresti un “politico”, quali caratteristiche quella branca del lavoro intellettuale dovrebbe riscoprire e recuperare? Al netto del settimo comandamento che darei per scontato.
Non sono un nostalgico e so quanto nel Pci la vita fosse difficile, vengo da quella storia, ma Fortebraccio, Mario Melloni, aveva ragione. La sua frase era giusta nel senso che presupponeva in quelle due parole, “uomo politico”, degli aggettivi che tutti potevano intuire e comprendere. Voleva dire che si salutava un politico galantuomo, cosa che in effetti Berlinguer era stato e la gente se ne accorgeva, non perché non rubava, ma perché faceva scelte che meditava a lungo, tanto che quando capisce che la sua politica non era più possibile passa a una nuova realtà e immagina un partito adeguato a quella politica. Una sinistra molto diversa da quella del passato, soprattutto nelle sue fondamenta culturali, perché il Pci ma anche il Psi avevano un impianto ancorato ad una critica di un’altra stagione del capitalismo. Alle loro origini, il movimento ecologista e il nuovo femminismo dal Pci furono persino avversati. Ma quel femminismo della differenza aveva compreso come il capitalismo si iscriveva nel patriarcato, e cioè nasceva entro l’idea del maschile come valore assoluto con tutto il carico di violenza che esso comporta. E l’ecologismo scopriva che era la concezione dello sviluppo a determinare una contraddizione con la possibilità stessa della sopravvivenza della specie. Si trattava di letture fondamentali. Quell’imporsi della logica del più forte ha regolato le forme della società e lo ha fatto anche attraverso le guerre imboccando una direzione di marcia verso la propria distruzione con una dose di assoluta incoscienza. Berlinguer era consapevole che stava mutando il paradigma culturale e quanto più il Pci, soprattutto nella ultima fase della sua vita, veniva cercando strade nuove pur senza ignorare le antiche (quelle della “contraddizione di classe”) tanto più era avversato non solo dagli avversari, ma pure dagli altri partiti comunisti. Con una violenta polemica dei sovietici. Tuttavia, anche noi di quella stagione avevamo svolto solo parzialmente una riflessione sul modello capitalistico per come stava cambiando e per come ridisegnava un modello sociale oltre che economico.

Mi fai tornare a mente uno scambio, poteva essere la metà degli anni ’80, tra André Gorz e Claudio Napoleoni che ragionava sui temi che hai appena accennato. In un convegno il primo interruppe Napoleoni chiedendogli “Claudio, dov’è la porta!”, sottinteso “per uscire dal capitalismo”. E la risposta fu: “Non c’è nessuna porta, il problema è distinguere più nettamente tra la società e il mercato”. Più o meno è questo il capitolo a cui ti riferisci?
Il rapporto tra mercato e società è tuttora il punto su cui si scontrano le resistenze a concepire un’alternativa possibile al modello egemone di economia e società. Prendi la lotta all’evasione fiscale. Abbiamo dovuto attendere la Merkel e Macron per dichiararci in conflitto con i paradisi fiscali, ma come si fa a combattere l’evasione in casa nostra senza risalire a una delle maggiori origini del problema? Oppure pensiamo alla sorte dell’appello a un’economia letta dal punto di vista manageriale. I grandi manager sono diventati talora peggio dei “padroni” (che rispondevano con i loro beni). Lavorano con capitale pubblico o diffuso, con stipendi moltiplicati a livelli stellari e se falliscono cascano sempre sul morbido delle loro inverosimili liquidazioni. Il grande economista Piero Sraffa e il suo preferito allievo Garegnani, carissimo amico, vedevano bene la differenza tra mercato e società. Inascoltati a sinistra.

Quindi scorgi principalmente qui la sconfitta culturale della sinistra?
Dico che all’origine del modello capitalistico in cui viviamo ci sono cose semplici come il desiderio, cioè l’individuo per quanto sociale, e la scelta, cioè il bisogno di libertà. Penso sia la premessa per capire che la società è strutturata in forme che muovono sempre dalla vita delle persone. Senza questo non puoi progettare alcuna vera alternativa. Il cuore del problema risiede nell’individuo e in una domanda di soddisfazione dei suoi bisogni. Come rispondere a quella spinta vitale è complicatissimo perché ha appunto a che vedere col come si ricostruisce il legame tra mercato e società. Persino durante il drammatico esperimento sovietico a un certo punto si sono scontrati con la irriducibilità dell’individuo e si inventarono i contratti di lavoro individuali, lo “stakanovista”, l’“uomo nuovo”. Erano espedienti, ma indicavano un tema irrisolto. Il primato della collettività non può nascondere la questione dell’individuo, o se vuoi, della persona. Il digitale in questo è certo un grande progresso anche se era illusoria una sua funzione automaticamente progressiva. Non cessano di contare il modo e i canali con cui ci si arriva, se come individui forniti di una qualche base culturale critica oppure no, e il tema riguarda già ora miliardi di persone mentre persino l’alfabetizzazione è tuttora assai relativa. Ognuno porta nella rete i suoi pregiudizi, la sua cultura o incultura, ecco perché tutto è divenuto così complicato. Ma anche perciò, ripensando alla risposta di Napoleoni, il tema non è la “porta”, che in ogni modo presuppone di voler uscire per andare da qualche parte, ma quale forma di evoluzione della società riteniamo ancora possibile. La cultura del primato della forza è alla lunga disastrosa ma durerà se non si pensa a un’altra prospettiva costruibile. Dinanzi a questa serie di problemi la sinistra, e il suo partito maggiore nel caso nostro, hanno scelto come unica risposta la strada del governo pensando fosse solo dal governo che si poteva condizionare “la realtà”. Ma la realtà va interpretata e deve poter essere criticata. È davvero “realistico” essere “realisti” o non si dovrebbe anche adesso andare alle radici dei conflitti aperti per comprendere se esiste una alternativa possibile?

A proposito di realismo c’è quella sintesi di Bruno De Finetti: “Occorre pensare in termini di utopia perché pensare di risolvere efficacemente i problemi in altro modo è una ridicola utopia”. Allora se ripensi alla storia del Pci e della sinistra venuta dopo, diresti che a lungo abbiamo avuto il “soggetto” senza avere il “governo”, poi a lungo abbiamo avuto il “governo” ma a costo di sacrificare il “soggetto”?
De Finetti era un grande. Comunque a proposito di “soggetto” e “governo” qualunque definizione della situazione italiana, deve fare i conti con noi stessi. Non dico che abbiamo mentito, ma abbiamo fatto finta di vivere in una democrazia se non compiuta, quasi compiuta, mentre non lo era. Nei fatti era sempre una democrazia controllata. Come dici tu avevamo il “soggetto”, ma potevamo avere un soggetto di quel tipo perché ci era negata la partecipazione al potere. Diciamo che avevamo la funzione di una opposizione permanente, e sino a un certo punto abbiamo avuto anche dei buoni risultati, ma ci era preclusa la via del governo. Al più ci era dato il vantaggio di svolgere una opposizione intelligente e capace di indicare vie corrette da seguire, ma fingevamo di essere un’opposizione che al governo poteva aspirare concretamente, il che era impedito. Questo fu chiarissimo dopo il voto del 1976 quando, pure avendo accettato tutte le convenzioni, dovevamo accettare l’idea che a quel modello di società non vi fosse alternativa, al massimo delle correzioni formali. Quella logica è toccata in sorte persino agli ecologisti che miravano a una critica del modello sapendo che un modello diverso non esiste in atto, ma va costruito, e però la replica nei loro confronti è stata, “ma cosa volete, senza fonti fossili come pensate di vivere?”. Quello che voglio dirti è che il soggetto non era senza potere perché non lo avevamo, ma perché non potevamo averlo e quando si è capito questo alcuni, anche da dentro la sinistra, hanno detto facciamola finita. La conferma è che quando il potere finalmente lo abbiamo avuto, fino al Quirinale, il soggetto semplicemente non poteva più esserci perché quello precedente era senza la possibilità di una alternativa e quello che lo ha sostituito rinunciava di suo all’alternativa in cambio dell’esercizio del governo. La domanda è se esiste per un partito che si dica socialista qualcosa di diverso che non sia un miglioramento dello stato sociale. Dei punti su cui il modello attuale dichiari il suo fallimento. Mi guardo attorno e vedo che ci si avvia colpevolmente verso un cambiamento climatico dagli esiti infausti, ma manca la volontà di formulare un programma di svolta o addirittura si pensa sia impossibile immaginarlo, se succede è perché una volta di più non si pensa alla radice di quei problemi e a cosa rende quel modello così forte e allo stesso tempo così fragile.

Posso pensare che stesse qui la ragione della tua opposizione al superamento del Pci?
La mia avversione riguardava il modo che è sostanza. Si voleva un nuovo soggetto senza sapere quale. In realtà si negava il proprio esserci senza indicare il modo di costruire il “nuovo”. Naturalmente, l’opposizione era molto variegata e arrivò, contro il parere di Ingrao e il mio, a comprendere i nostalgici, rispettabili ma diversi. Ma anche tra coloro che si opponevano in nome di un altro mutamento ci furono discussioni. Ti racconto quella tra me e l’indimenticato Cesare Luporini. Lui diceva che il nostro essere comunisti non indicava qualcosa di raggiungibile, ma un orizzonte. Certo, obiettavo, un orizzonte si sposta sempre ma presuppone un oggetto, una cosa, un modello mentale sebbene irraggiungibile. Il mio punto di vista era ed è che la parola comunista deve essere significativa di un punto di vista critico da aggiornare continuamente in modo da produrre anche risultati. Il mio problema era che rinunciare a questo punto di vista e alla critica del modello in cui viviamo (perché senza quella critica non ci può essere sinistra), semplicemente non si costituisce un soggetto capace di indicare una strada nuova per un paese e più in generale per il genere umano. Il comunismo è stata l’unica idea laica, e non laica, di tipo internazionalistico (il “lavoratori di tutto il mondo unitevi”). La domanda è come si ricostruisce un pensiero con quella forza che era anche una debolezza perché universale non lo era dal momento che gran parte dei lavoratori del mondo quel modello di capitalismo se lo sognavano. Nel dire queste cose credo di essere stato poco chiaro anche per i compagni con cui condividevo quella posizione. Oggi però ne ho la conferma quando mi chiedo come fai a fare un partito che fonda il suo consenso solo sul fatto di giudicare una persona migliore di un’altra.

Se alzi lo sguardo all’Europa di questi anni trovi almeno qualche traccia che dal governo abbia sperimentato quello che hai chiamato un impianto alternativo di società?
Ti ho detto di Merkel e Macron sui paradisi fiscali perché da premesse culturali diverse hanno comunque usato un linguaggio che, magari senza volerlo, è stato di critica al modello attuale. Penso anche a qualche esperienza di governo che affronta il modello energetico e le sue regole, è già un segno che cerca di andare alle radici del fenomeno. Non ancora una strategia organica, ma singoli atti che mostrano come anche dal governo si possa agire se si risale all’origine di alcuni guai. Anche su questi terreni si può dimostrare un approccio diverso che non sia solo l’adesione ad una escalation militare, come rischia di avvenire, per affermare un padrone unico del mondo.

Allora chiudiamo da dove siamo partiti, dalla tragedia in corso. Non credo si possa “vincere” una guerra contro una potenza nucleare e so che una tregua e una trattativa sono oggi la sola via percorribile. Lo stesso aiuto militare all’Ucraina doveva e deve servire a fermare l’invasione, non a vincere la guerra sul terreno o dal cielo. Se fossi stato in Parlamento avresti votato per l’invio delle armi a Kiev?
Non so come avrei votato, avrei dovuto esserci. Certo avrei cercato di condizionare quella decisione. Adesso sono rispettosoGianni Cuperlo 390 min della scelta fatta, ma la mia critica riguarda l’ipotesi che sia una scelta incondizionata e in quanto tale pericolosa. L’Ucraina può pensare di vincere la guerra, ma se a pensarlo è il segretario generale della Nato con le armi occidentali il quadro cambia. Quando parlo di condizionamento di quella decisione intendo proprio la domanda se l’Ucraina la si debba aiutare affinché vinca sul campo e Putin sia sconfitto e magari rovesciato o per cercare di evitare il peggio. Sento evocare da più parti la questione della sovranità, ma perché non lo si è sostenuto per la Jugoslavia o per i palestinesi? Ci sono delle concause, è chiaro, e l’aggressore non ha mai ragione, ma in un esame oggettivo e se non vogliamo convivere con una guerra permanente l’unica via è che ognuna delle parti acconsenta a rinunciare a qualcosa.

Siamo proprio alla fine, posso chiederti che giudizio dai dello stato di questa sinistra italiana oggi troppo dispersa e che il partito più grande dovrebbe secondo me provare in ogni modo a riaggregare?
Non voglio dare giudizi, ti dico che quando nel 1999 in aperto dissenso con la decisione di bombardare la Serbia a opera della Nato, io con Beppe Chiarante e altri compagni decidemmo di uscire dai Ds lo facemmo quasi in silenzio, convinti delle nostre ragioni, ma senza invocare una scissione. Lo ricordo perché quando sei parte di una comunità e una posizione diventa insostenibile per te devi parlare per te, non per gli altri. A chi mi diceva che a sinistra c’era una prateria replicavo che se la classe operaia si sposta su Berlusconi e Salvini ci sono dei motivi materiali molto forti. Se vuoi il consenso di una parte della popolazione devi starci dentro. Se accetti di far parte a pieno titolo dell’establishment poi non ti devi stupire se quelli in fondo alla fila non ti credono più.

11 giugno 2022 da primopiano.info

 

 

 

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Ci vuole un'Europa diversa, autonoma, portatrice di pace democrazia e eguaglianza

  • Pubblicato in UE

EUROPA

Il tema "Europa" sarà al centro del confronto politico nei prossimi mesi

di Ermisio Mazzocchi
UE bandiere minNon c'è dubbio che la guerra russo-ucraina ha sconvolto gli equilibri geopolitici internazionali e ha fatto scendere definitivamente il sipario su quello che è stata l'UE sino ai nostri giorni.
Bisogna prendere atto che l'Unione europea ha concluso il suo primo periodo istitutivo e che è necessario che reimposti una nuova politica che ne riformi il suo assetto istituzionale.
Sono esplose le sue contraddizioni, si è rivelata la sua impotenza a essere protagonista di primo piano, è vacillata la sua compattezza, si è mostrata incerta e divisa sugli interventi in Ucraina, sulle sanzioni e sulle conseguenze che queste hanno prodotto.

Condizioni che obbligano a definire un nuovo progetto che ridia all'Unione un ruolo centrale nello scacchiere europeo e mondiale. Occorre in tempi brevi riscrivere la Carta dell'UE e aggiornare i suoi trattati, alcuni dei quali sono superati a causa degli ultimi eventi.

Una necessità rivolta a dare uniformità legislativa e autorevolezza decisionale per un'Europa indipendente e autonoma. I nuovi assetti istituzionali europei conferirebbero all'Unione un prestigio politico e un riferimento sicuro per tutti quei Paesi che guardano a essa come garanzia di pace e di benessere sulla base di una consolidata ed evidente idea di eguaglianza e giustizia fra suoi cittadini, attori costanti di una partecipazione costruttiva e verificabile di movimenti e di consultazioni. Una Europa che assicuri a tutti i diritti che il Lavoro merita e ne garantisca una remunerazione ugualmente diffusa in grado di assicurare una reale dignità di vita quotidiana.

Una profonda riforma dell'Unione porterebbe a una più solida cooperazione tra gli Stati che la compongono e avvierebbe di fatto una consistente integrazioni tra i diversi popoli europei. Una rinnovata e autonoma UE offrirebbe ampi orizzonti aperti non solo all'Europa ma anche a una vasta area che abbracci tutto il bacino mediterraneo.
Questo è investito da crisi economiche, da conflitti - drammatico quello israelo libanese, congelato da una missione ONU guidata dal 2006 proprio dall'Italia - , da guerre civili - tragica quella in Libia dilaniata da 10 anni di sanguinosi combattimenti -, da instabilità che interessa in particolare la Tunisia, dalla recrudescenza conflittuale israelo - palestinese, con attentati a civili e scontri tra popolazione araba e ebrei.

Una Unione, che ritrovi forza e compattezza per la sua rinnovata coesione su piattaforme condivise e inclusive, favorirebbe una sua presenza attiva per soluzioni di pace e convivenza in quelle realtà fortemente conflittuali e instabili in cui sono in gioco non solo le vite umane ma anche la gestione di fonti energetiche e i rapporti commerciali di vasta portata economica.

Questo comporta una scelta vitale per la futura Unione europea la quale deve presentarsi come un interlocutore alla pari con le potenze mondiali a iniziare dagli USA. L'Unione non può essere un'appendice degli USA né parte di un'alleanza militare - Nato - che di fatto ne limitano l'operatività e la declassificano a compiti subalterni.
Rimane da valutare se l'UE, configurandosi come unico Stato con una propria politica internazionale, un proprio esercito, un'unità fiscale e sanitaria, dovrebbe consentire che ciascun Paese scelga autonomamente di fare parte del North Atlantic sotto l'egida statunitense.

Al punto in cui siamo giunti non esiste altra scelta per una Europa di alto prestigio se non quella di una sua identità di Stato, in cui ci siano cessioni di sovranità e siano modificati i sistemi che eleggono i governi dell'Unione (elezione diretta del Presidente sulla base di schieramenti politici di coalizione? un Parlamento europeo con nuove regole che ne rafforzino il suo ruolo?).
Non si tratta solo di rivedere o scrivere nuovi trattati. E' essenziali che essi siano il risultato di una nuova idea di Europa, una "idea" di grande valore universale, che ha come fondamento la pari dignità di tutte le persone e la garanzia di una vita decorosa e di benessere in una cornice di cooperazione e di pace.
Una nuova cultura riformista democratica forte di una sua credibilità per sconfiggere e impedire le spinte sovraniste, populiste, xenofobe e demagogiche.

Un processo di rinnovamento che stenta a maturare nonostante alcuni tentativi che paiono essere caduti nell'oblio.
Macron propone una "Comunità politica europea" costituita da una Confederazione di Stati europei extra -UE con l'intento di "dare stabilità e unità al continente senza squilibrare l'Unione" (Conferenza di Strasburgo, 9 maggio 2022) al cui interno aderiscano i paesi che hanno fatto richiesta di adesione all'UE, Ucraina, Moldava, Georgia, e quelli che a vari livelli sono impegnati nel processo di adesione, Albania, Bosnia, Erzegovina, Kosovo, Macedonia del nord, Montenegro, Serbia e Turchia.
La sua idea sembra non avere avuto successo per l'indifferenza mostrata da più parti nelle quali permangono diffidenze e interessi nazionalistici.

Il segretario del PD, Enrico Letta, ha proposto di creare una Confederazione europea che comprenda i 27 Stati membri dell'Unione, l'Ucraina e gli atri otto paesi dell'est che vorrebbero entrare nell'UE.
L'intento sarebbe quello di arrivare in tempi brevi a una piena integrazione con quanti hanno richiesto di far parte dell'Unione e costruire legami economici e culturali attraverso accordi che garantiscano uno reciproca collaborazione.
Una proposta che non ha avuto molto ascolto e non ha aperto un ampio confronto nel PD e tra le forze politiche.
Siamo ancora in una fase di elaborazione con diversi progetti privi di una convergenza di sintesi. Le difficoltà hanno profonde radici in quello che è stata l'UE e nella scarsa spinta a trovare un comune percorso per cambiarla.

A oggi non è diffusa questa volontà né vi è un ampio arco di forze politiche impegnate ad avviare una trattativa per riformare l'Unione. Nelle poche dichiarazioni di buona volontà c’è un deficit di elaborazione e di chiarezza di intenti.
I grandi gruppi politici dal PSE al PPE presenti nel parlamento europeo non hanno di fatto avviato un confronto per arrivare alla costruzione di una nuova Europa unita e riformata.
Le forze progressiste e democratiche non si presentano compatte per affrontare le sfide del rinnovamento e lo stesso PSE, sollecitato dal PD, dovrebbe proporre la convocazione di una "Convenzione costituente", così come avvenne in Italia con la Costituente che diede vita alla Repubblica democratica e consentì al nostro paese di divenire una grande nazione.
Il partito più rappresentativo dello schieramento progressista e della sinistra, il PD, non si presenta con una visione complessiva, non provoca una tensione ideale capace di coinvolgere ampi settori di cittadini e di aprire un confronto con le parti essenziali della società.

Non basta presentare proposte di formule organizzative che sono dettate più dai fatti contingenti provocati dalla guerra in Ucraina che dalla esigenza non rinviabile di affrontare una lotta durissima e difficile per edificare un nuovo edificio europeo. E' necessario che il PD recuperi un ruolo centrale nella politica europea.
Siamo alla vigilia di un voto amministrativo che non è stato immune dai riferimenti all'Europa e questi saranno ancora di più presenti in occasione del rinnovo del Parlamento italiano nel 2023.

Il tema "Europa" sarà al centro del confronto politico nei prossimi mesi e della stessa competizione elettorale.
Risulta evidente che il PD e le forze più europeiste della sinistra e quelle riformiste dovranno porre al centro della loro iniziativa politica la costruzione di una Europa autorevole per un futuro di pace e di progresso.

Ermisio Mazzocchi. 10 giugno 2022

 

 

 

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Cara Europa è l'ora di diventare adulta...

UE UCRAINA MONDO

..con autonomo senso critico per avere un ruolo nel modo di oggi

di Ermisio Mazzocchi
bruxelles parlamento europeoL'incremento della spesa militare dei paesi dell'Unione Europea sulla base di una decisone condivisa (Versailles 10-11 marzo 2022) della NATO per portare al 2% del PIL il riarmo militare, appare come una dichiarazione bellicosa e non ha nulla a che fare con il conflitto Russia - Ucraina. Emergono chiaramente da questa scelta una logica di riarmo e uno spirito bellicista dietro i quali si muovono interessi enormi dell'industria militare e si favoriscono privilegi finanziari.
L'UE non ha mai colmato il vuoto di una costituzione di una difesa comune che presuppone la formazione di un unico esercito.
Il suo programma di difesa complessivo per sostenere lo sviluppo e la ricerca dei sistemi militari prevede un budget di quasi 8 miliardi di euro (Fondo europeo per la difesa) per il periodo 2021 - 2027 che serve a preparare l'Azione di ricerca della difesa con 90 milioni di euro destinati dall'UE a 18 progetti di ricerca e con 500 milioni di euro per lo sviluppo dei prodotti e delle tecnologie di difesa.
Un totale di quasi 600 milioni di euro che sono andati a finanziare anche società private impegnate nel commercio di armi e di tecnologie. Il 68,4% dei fondi a sostegno dell'industria militare è andato all'Italia, Germania, Francia e Spagna. Tra i principali beneficiari l'italiana Leonardo - fabbrica di armi - di cui il nostro Stato è il principale azionista e che ha ricevuto fino a oggi (marzo 2022) come finanziamenti per la difesa ben 28,7 milioni di euro.

L'UE ha come obiettivo diventare una potenza militare globale con adeguati fondi e precisi programmi. Di fatto il risultato sarà l'aumento delle esportazioni di armi europee che alimenterà la corsa globale agli armamenti e che inevitabilmente porterà a più guerre, maggiori distruzioni, perdita di vite umane e massicce emigrazioni.
L'instabilità politica, un riordino territoriale non sono le sole cause dei conflitti.
Oggi più che nel passato sono molteplici i fattori che producono questa accelerazione alla corsa agli armamenti.

La nostra vita è messa in pericolo dall'inquinamento globale, dai cambiamenti climatici, (negli ultimi 20 anni inondazioni e siccità hanno colpito oltre tre miliardi di persone), dalla desertificazione di immense aree del pianeta (nel mondo, ogni ora vanno persi 1300 ettari di terra coltivabile, a causa di siccità e desertificazione e oltre il 75% della superficie terrestre è già degradata e nell'Unione Europea l'8% del territorio, interessante 13 Stati, è a rischio desertificazione, inoltre in Italia è a rischio è il 20% della superficie totale), dal prosciugamento delle acque, da nuove e pericolose epidemie.

Questi processi degradanti del pianeta in un quadro più complesso delle profonde criticità ambientali, agroalimentari e energetiche potrebbero esse causa di conflitti, di guerre, di golpe, di una emigrazione incontrollabile.
La corsa alle armi, pertanto, sarebbe giustificata anche per far fronte alle nuove necessità prodotte dalle alterazioni climatiche e dal controllo delle risorse del pianeta e per tutelare gli interessi economici e geostrategici globali.

In questa logica va collocato il conflitto russo-ucraino per il quale l'UE, a oggi, non ha trovato la sua unità se non per interventi sanzionatori e di solidarietà, di aiuti militari e umanitari.
Ogni singolo Stato membro dell'UE ha percorso individualmente il sentiero del riarmo allineandosi alle richieste della NATO (il famoso 2%) i cui obiettivi e interessi coincidono con quelli degli USA.
La Germania ha adottato l'aumento del 2% del PIL per "la preparazione dello strumento militare del Paese" e istituisce un fondo di 100 miliardi di euro destinati a rafforzare le capacità di difesa.
Non da meno è la Francia che ritiene il potenziamento delle forze armate "storico e necessario" e approva il 2%. Circa 24 miliardi di sterline sono stati investiti dal'Inghilterra, che lancia il più grande piano di finanziamenti militari dalla fine della guerra fredda.
Su questa stessa impostazione sono l'Australia con un aumento del 40% delle spese militari, preoccupata della presenza cinese nell'Indo-Pacifico; la Polonia con circa 13 miliardi per mettere in guardia la Russia (prima del conflitto) dal condurre azioni ostili nell'Europa dell'est; la Svezia con un aumento del 40%, ritenendo la Russia la sua minaccia più insidiosa; la Grecia con oltre 15 miliardi di spesa; il Belgio con 14 miliardi.

Tutti i 30 paesi aderenti alla Nato hanno applicato l'aumento del 2% del PIL per il riarmo militare del proprio paese.
La Camera dei deputati ha approvato, il 16 marzo del 2022, l'ordine del giorno che impegna il Governo ad aumentare le spese per la Difesa verso il traguardo del 2% del PIL secondo quanto richiesto dalla NATO.
Il che significa passare dai 68 milioni attuali ai 104 milioni al giorno e dai 25 ai 38 miliardi ogni anno.
Questo è solo l'ultimo atto di una serie di scelte compiute negli anni precedenti per il finanziamento militare.

Nel 2021 il ministro della Difesa, Lorenzo Guerini, ha sottoposto all'approvazione del parlamento 18 programmi di riarmo per un valore di 11 miliardi di euro e un onere previsto di 23 miliardi di euro. Nello stesso anno egli emana la "Direttiva per la politica della Difesa" in cui afferma che l'Italia "deve disporre di uno strumento militare in grado di esprimere le capacità militari evolute di cui il Paese necessita per tutelare i propri interessi nazionali volte al consolidamento del vantaggio tecnologico e, quindi, della competitività dell'industria nazionale del settore". Il che vuol dire favorire l'industria degli armamenti.
Siamo in presenza di una vera e propria escalation militare dell'UE. Il che non toglie che essa rinunci alla sottomissione della protezione americana e quindi ad avere una sua autonomia militare con un esercito comune.

Si presenta pertanto nuovamente il tema di una difesa comune europea e la creazione di una forza militare autonoma che potrebbe decidere di essere connessa con la Nato, ma indipendente nelle sue scelte e senza ricorrere alla protezione americana.
Il riarmo di queste dimensioni e un'Europa che incrementa poderosamente i suoi arsenali militari sono un potenziale pericolo di conflitti che inseguono logiche di interessi delle singole nazioni.
Oggi l'UE è apparentemente unita perché ognuno ha pensato come meglio poteva arricchire il suo armamentario bellico.
Ciascuno dei 30 Stati dell'UE ha le sue forze armate organizzate secondo propri criteri ed esigenze nazionali. In definitiva essa si presenta frammentata e pertanto priva di una rilevante politica sul piano internazionale.
Un risultato inevitabile per l'assenza di una unitaria politica di difesa e di quella estera dell'UE che potrebbero giustificare la costituzione di un unico esercito e avvalersi di quanto ciascun Stato impiega nel finanziare un proprio esercito.
Altrimenti il rischio è quello di andare in ordine sparso e non si capirebbe quali sarebbero i motivi di questo dispiego di denaro per il riarmo.

La guerra russo - ucraina ha solo scoperto il coperchio di una pentola in ebollizione e ha offerto agli Stati europei il pretesto per rafforzare al massimo la propria potenza di "fuoco" e aprire una nuova era dei rapporti di forza nel mondo.
L'orizzonte è fosco non solo per l'evoluzione e la durata della guerra in Ucraina di cui non conosciamo né quali saranno gli esiti né quali saranno le condizioni di pace, ma anche per quello che si prospetta con i futuri mutamenti geopolitici nel mondo.

In tali mutamenti la Russia non è la protagonista assoluta.
Essa fa parte dello scacchiere internazionale dove si gioca la partita per il controllo delle materie prime e delle risorse energetiche del pianeta, i cui giocatori sono USA e Cina con in mezzo l'UE.
Il gioco significa controllare i paesi produttori di materie essenziali allo sviluppo delle tecnologie più avanzate.
Esse sono, per citare le più importanti, il cobalto, essenziale per i nostri dispositivi elettronici, le cui maggiori riserve sono nel Congo, dove spesso lavorano bambini pagati tre dollari al giorno e anche meno in condizioni di schiavitù e le cui le miniere appartengono ad aziende cinesi; il litio che si trova in abbondanza nel Nevada, indispensabile per le batterie elettriche fondamentali per la transizione energetica; il silicio necessario per la produzione di pannelli solari, le cui fabbriche sono in gran parte in possesso dei cinesi; l'alluminio che trova un sempre più largo utilizzo e la cui produzione è per un decimo nelle mani dei russi; il nichel, utile per le batterie elettriche, i cui principali produttori sono l'Indonesia e l'Australia

Queste materie, a cui se ne possono aggiungere delle altre, muovono gli interessi di molti paesi e il loro possesso può determinare conflitti.
E' pertanto necessario garantire la stabilità con l'obiettivo della pace e della cooperazione, garantita da equilibri economici.
Le armi non possono assolvere a questo compito, anzi determinano squilibri e ingiustizie, oltre a stragi e sofferenze. La guerra è da bandire come lo sono le spese militari perché si entra in una logica di pensiero di diffidenza bellicosa, di battaglia armata.
La spesa militare nel mondo nel 2020 è stata di 2.000 miliardi di dollari e ha avuto il solo scopo di costringere i popoli ad avere il fiato sospeso per il timore di una guerra nucleare.
Questa sarebbe l'ultima per i suoi effetti distruttivi e devastanti. Non potrebbe essercene un'altra.
La tragedia ucraina, per la cui fine è necessario arrivare subito al cessate il fuoco, non deve costituire strumento di pressione e di speculazione per trasferire risorse pubbliche dalla transizione ecologica e dalla spesa sociale alla spesa militare.
Si deve aprire in tutto il mondo un fronte ampio di grandi movimenti di pace.

Alle nuove generazioni, che devono essere protagoniste della pace, non possiamo lasciare e consegnare il "fucile".
Dobbiamo loro fornire dei valori, strumenti necessari, per costruire un mondo di serena convivenza e di solidarietà e perché non siano in balia dei "pazzi" come dice Papa Francesco.
Siamo all'inizio di un nuovo secolo che si è presentato con molte incognite ed è travagliato da ingiustizie, disuguaglianze, guerre e conflitti.
Dipenderà dalla volontà degli uomini renderlo sicuro e pacifico.

26 marzo 2022

 

 

 

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Il suicidio dell' Europa. Fra armi e assordante silenzio

 UCRAINA. COMMENTI E OPINIONI

D questo articolo Donatella Di Cesare* collabora con il “Fatto Quotidiano”

di Donatella Di Cesare*
DonatellaDiCesare 390 minLa parola Occidente, in questi giorni così spesso evocata, ha un significato articolato nelle diverse epoche. Non indica un sistema di valori, una forma politica, un modo di vivere. Occidente è l’orizzonte a cui guardavano i greci: la costa italiana, il continente europeo, una futura epoca nella storia del mondo. Nel periodo tra le due guerre mondiali i filosofi hanno pensato il destino dell’Occidente non come un tramonto, bensì come un passaggio: nel buio della notte europea non c’era solo morte e distruzione, ma anche la possibilità di salvezza. L’Occidente era l’Europa, l’Europa era l’Occidente. In questa prospettiva, che oggi – con un giusto accento critico – si direbbe eurocentrica, ciò che era oltre l’Atlantico, Inghilterra compresa, non era occidentale.

Dopo il 1945, il baricentro della Storia passa dal continente europeo a quello americano. Anche la parola “Occidente” cambia significato designando l’American Way of Life, lo stile di vita americano e tutto ciò che, tra valori e disvalori, porta con sé. L’Europa si uniforma, più o meno a malincuore. Se non altro per non perdere il nesso con l’Occidente di cui è stata sempre il cardine.

Quel che avviene in questi gravissimi giorni, dietro il millantato nuovo scontro di civiltà, è un’autocancellazione dell’Europa, che rinuncia a se stessa, alla propria memoria, ai propri compiti. Il 2022 segna l’ulteriore, definitivo spostamento, l’apertura di una faglia nella storia del Vecchio continente. L’Europa tace, sovrastata dai tamburi di guerra dell’Occidente atlantico, a cui sembra del tutto abdicare. L’algida figura di Ursula von der Leyen, questa singolare, inquietante comparsa, che spunta di tanto in tanto per annunciare “nuove sanzioni alla Russia”, compendia bene in sé un’Europa cerea e spenta, incapace di far fronte a una crisi annunciata.

Possibile che dal 2014 non si sia operato per evitare il peggio? Possibile che tra dicembre e febbraio non esistesse un margine per impedire l’invasione? Possibile vietarsi l’autorità di mediare per la pace? Si tratta di una vera e propria catena di errori politici imperdonabili, di cui i cittadini europei dovranno nel futuro prossimo chiedere conto a chi ora ha ruoli decisionali. Come se non bastasse, il silenzio fatale dell’Europa è squarciato dalle sguaiate provocazioni di Boris Johnson, il promotore della Brexit, e dalle temerarie parole di John Biden, forse uno dei peggiori presidenti americani.

Il suicidio dell’Europa è sotto gli occhi di tutti. Ed è ciò che ci angoscia e ci preoccupa. Perché riguarda il futuro nostro e quello delle nuove generazioni. D’un tratto non si parla più di Next Generation Eu – nessun cenno a educazione, cultura, ricerca. All’ordine del giorno sono solo le armi. C’è chi applaude a questo, inneggiando a una fantomatica “compattezza” dell’Europa. Quale compattezza? Quella di un’Europa bellicistica, armi un pugno? Per di più ogni Paese per sé, con la Germania in testa? Non è questa certo l’Europa a cui aspiravamo. In molti abbiamo confidato nelle capacità dell’Unione, che aveva resistito alle spinte delle destre sovraniste e che sembrava uscire dalla pandemia più consapevole e soprattutto più solidale. Mai avremmo immaginato questa deriva. La faglia che si è aperta nel vecchio continente, in cui rischia di precipitare il sogno degli europeisti, è anche la rottura del legame che i due Paesi storicamente più significativi, la Germania e l’Italia, hanno intessuto con la Russia. Chi si accontenta di ripetere il refrain “c’è un aggressore e un aggredito”, ciò che tutti riconosciamo, non si interroga sulle cause e non guarda agli effetti di questa guerra. C’è una Russia europea oltre che europeista. Nella sua storia la Russia è stata sempre combattuta tra la tentazione di avvicinarsi al modello occidentale e il desiderio di volgersi invece a Est con una ostinata slavofilia, testimoniata, peraltro, nell’opera di Dostoevskij. Durante la Rivoluzione bolscevica prevalse l’apertura per via dell’internazionalismo. Se Stalin cambiò rotta, la fine dell’impero sovietico segnò il vero punto di svolta. In quella situazione caotica andò emergendo la corrente nazionalistica che aveva covato sotto la cenere. Putin è il portato sia di questo nazionalismo, fomentato anche dal pensatore dei sovranisti Aleksandr Gel’evič Dugin, sia di una frustrata occidentalizzazione. Ma a chi gioverà una Russia isolata, ripiegata su di sé, rinviata a orizzonti asiatici?

In un’immagine suggestiva che ricorre in Nietzsche, in Valéry, in Derrida, l’Europa appare un piccolo promontorio, un capo, una penisola del continente asiatico. Nessuno ha mai potuto stabilire dove sia il suo confine a Est. Ma certo ha sempre avuto il ruolo di testa, di cervello di un grande corpo. È stata il lume, la perla preziosa. Ci chiediamo dove sia finita.

 

*Donatella Di Cesare, professoressa di Filosofia teoretica all’Università La Sapienza di Roma.
fonte del testo: infosannio.com
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Ucraina. L’Europa si batta per il cessate il fuoco

UCRAINA

Fermare le armi, si rischia, un disastro peggiore di Fukushima

di Rossella Muroni
CentralenuclearediZaporizhzhia 390 minIl 24 febbraio un brivido è corso lungo la schiena di noi europei alla notizia che erano in corso combattimenti intorno alla tragicamente nota ex centrale nucleare di Chernobyl, teatro del più grave disastro del nucleare civile. Combattimenti, con proiettili ed esplosioni intorno al sarcofago che copre tonnellate di uranio e plutonio sepolte nella ex centrale, la più potente e distruttiva delle bombe. Fino alla conquista del sito da parte delle forze russe.

Pensavamo ormai di averle viste tutte. Invece l’escalation è stata esponenziale. L’offensiva di Mosca non ha dato e non dà tregua, con bombardamenti e città sotto assedio anche durane le cosiddette trattative. E nella notte tra il 3 e il 4 marzo si è svolta la più spaventosa delle battaglie: quella per il controllo della centrale nucleare di Zaporizhzhia. Non una qualunque centrale atomica ma la più grande d’Europa, la quinta al mondo, uno dei punti strategici più importanti dell’Ucraina. Sotto i colpi russi è scoppiato un incendio fuori dal perimetro della centrale, spento solo intorno alle sei del mattino. A bruciare sono stati un edificio e un laboratorio, le fiamme non hanno colpito strutture essenziali. Né, come precisato dall’Agenzia internazionale per l’energia atomica, sono stati segnalati cambiamenti nei livelli di radiazioni. Almeno per ora. Ma dopo l’incendio i civili nel panico hanno assaltato la stazione dei treni per fuggire dalla città. L’allarme è talmente alto da spingerer il presidente Zelensky a un appello notturno in cui ha chiesto sanzioni più dure contro la Russia e ha convinto l’Onu a convocare un consiglio di sicurezza straordinario.

Il rischio di un grande disastro europeo
Per capire di cosa parliamo ci viene in aiuto un’analisi tecnica di Greenpeace International, secondo la quale “nello scenario peggiore, in caso di bombardamento accidentale o di un attacco deliberato a Zaporizhzhia, le conseguenze potrebbero essere molto gravi, con impatti su vasta scala peggiori del disastro nucleare di Fukushima nel 2011”. Sarebbe un disastro di scala europea che implicherebbe un allargamento della guerra e che impone subito una reazione ferma e decisa all’Europa e non solo. Altrimenti rischiamo che un domani non ci sia più l‘Europa come la conosciamo oggi. Un pericolo che tocca anche le nostre vite e che va moltiplicato. Perché in Ucraina ci sono 4 centrali nucleari operative in cui sono installati un totale di 16 reattori: 4 a Rivne, a ovest di Kiev, 2 a Khmelnitskiy, a sudovest, 4 nel Sud Ucraina e 6 a Zaporizhzhe, ai confini meridionali della regione del Donbass. E oltre a quelle operative ci sono anche altre 4 centrali atomiche dismesse, fra cui l’impianto di Chernobyl.incendio a chernobyl 390 min

Zaporizhzhia è ormai sotto il controllo delle forze russe e gli operai all’interno della centrale lavorano “sotto la minaccia delle armi” informa la Cnn. Intanto l’ambasciata Usa a Kiev ha dichiarato su twitter che attaccare una centrale nucleare costituisce un crimine di guerra.

E finché questo conflitto proseguirà, mi sento di aggiungere, il rischio di un incidente in una delle centrali ucraine resterà in campo. Un motivo in più per lavorare a un cessate il fuoco, per impegnarsi a una riapertura vera del dialogo e a una soluzione negoziale che porti alla fine delle ostilità.

È stato poco saggio, soprattutto da parte dell’Ue, lasciar circolare l’ipotesi di un allargamento della Nato fino alle porte della Russia. Sarebbe stato assai più lungimirante – come chiedeva un appello sottoscritto da autorevoli personalità del mondo dell’informazione, della cultura, della politica e della società civile che ho sottoscritto io stessa – avviare una trattativa per arrivare a condizioni che garantissero la Russia dalla preoccupazione di un accerchiamento e consentissero all’Ucraina di sviluppare la propria autonomia nazionale, in condizioni di indipendenza dai due blocchi. Partendo dall’attuazione dell’accordo di Minsk si sarebbe dovuta negoziare una posizione di neutralità per l’Ucraina, non più avamposto militare dell’Alleanza Atlantica, ma terra d’incontro, ponte tra mondi e culture altrimenti distanti.

Di fronte all’inedita risposta dell’Ue, che per la prima volta nella sua storia ha deciso di inviare armi a un Paese terzo, c’è chi giustamente ha richiamato l’attenzione sulla gravità di questa decisione che è un passo verso la cobelligeranza e che potrebbe portare a un casus belli.
Ciò premesso non bisogna nascondersi che questa è una guerra di aggressione in cui, proprio come scriveva Alex Langer a proposito del conflitto fratricida nella ex Jugoslavia, ci sono aggressori ed aggrediti, criminali e vittime. Non si può restare neutrali, né equidistanti, ma bisogna rispondere alle richieste di aiuto che arrivano dall’Ucraina sotto attacco.
E anche se condivido le aspirazioni alla pace, l’impegno di chi cerca una via diplomatica di uscita da questo conflitto, credo si debba guardare in faccia la realtà. E i punti di non ritorno ormai superati.

Sanzioni anche per le attività energetiche
In questo percorso difficile e urgente, che deve vedere l’Europa impegnata insieme agli Stati Uniti, agli alleati e alle Nazioni Unite, va sostenuta l’Ucraina, vanno accolti i profughi e vanno inasprite le sanzioni economiche. Che dovrebbero comprendere anche le attività energetiche.
In tutto questo l’Italia ha evidentemente un problema in più: la dipendenza dal gas, che fa male non solo alla transizioneThe electricity pylons of the Zaporizhzhia Nuclear Power Plant in Enerhodar of southeastern Ukraine July 9 2019 390. min ecologica e alle bollette, ma che nuoce gravemente anche alla democrazia e ai diritti umani. È una dipendenza tossica che ci costringe a fare compromessi al ribasso sui diritti e a escludere il gas dalle sanzioni. Ma così continuiamo a finanziare la guerra di Putin. Anche per questo è necessario ridurre la nostra dipendenza fossile, con l’obiettivo di arrivare a liberarcene. Il governo, invece, sembra puntare soprattutto su un incremento delle forniture dall’Africa, maggiore utilizzo dei terminali di gas naturale liquido disponibili e in caso di emergenza anche al temporaneo riavvio delle centrali a carbone. Poi nel medio lungo periodo prevede un incremento delle rinnovabili, per le quali sta mettendo in cantiere una semplificazione delle procedure.

L’impressione è che l’esecutivo continui a vederle le rinnovabili come fonti complementari, utili soprattutto per il futuro. Senza capire che puntare sulle fonti pulite ci renderebbe indipendenti e ci aiuterebbe moltissimo nell’affrontare le molteplici crisi di oggi. E senza considerare che le imprese sono pronte per questa sfida. Elettricità Futura, associazione di ambito confindustriale che riunisce le principali aziende del settore elettrico, ha chiesto a Governo e Regioni di autorizzare entro giugno 60 GW di nuovi impianti rinnovabili, che è pronta a realizzare in tre anni investendo 85 miliardi. E grazie ai quali potremmo risparmiare circa il 20% del gas importato. Rinnovabili, risparmio ed efficienza energetici, sistemi di accumulo, smart grid, generazione diffusa, autoproduzione e innovazione sono la risposta giusta alle crisi climatica, economica e democratica che stiamo vivendo.

Una trasformazione del modello energetico in questa direzione ci renderebbe liberi di reagire come sarebbe giusto alle violazioni del diritto non solo da parte della Russia, ma anche dell’Egitto, della Libia, e delle altre dittature.

5 marzo 2022
*Rossella Muroni è ecologista e deputata di FacciamoECO

 

 

 

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Ucraina: Tocca all’Europa non alla Nato

CRONACHE&COMMENTI

Sia UE ad assumere un ruolo e un profilo politico autonomo, democratico e pacifico verso l’est

di Aldo Pirone
bruxelles parlamento europeoL’altro ieri all’Assemblea generale dell’Onu l’aggressione all’Ucraina da parte di Putin è stata condannata da quasi tutti i paesi: 141 voti a favore, 5, tra cui la Russia, contrari, e 35 astenuti tra cui - significativamente per gli sviluppi diplomatici che nei prossimi giorni mettano fine alla guerra - la Cina. Come si sa il voto non è vincolante ma ha un indubbio peso politico nel progressivo isolamento politico su scala mondiale di Putin. Non sembra comunque che l’Onu, visto il potere di veto della Russia nel Consiglio di sicurezza, possa andare oltre il voto di ieri come invece sarebbe auspicabile.

In questa settimana di guerra c’è stata anche una reazione significativa dell’Europa: sanzioni economiche a quanto pare non indifferenti, assistenza ai profughi e alle vittime, invio di armi ai resistenti ucraini sia da parte della Commissione europea che dei singoli Stati europei, voto dell’europarlamento sull’entrata dell’Ucraina nell'Ue. Anche questo un atto con scarsa rilevanza pratica nell’immediato ma indubbiamente di notevole valore politico. Occorre sottolineare, poi, che i paesi più coinvolti nell’assistenza umanitaria, in primis la Polonia, non sono esenti da una pesante punta di razzismo se si considerano le loro arcigne chiusure verso l’emigrazione di altra natura e di altra provenienza ancora persistenti.

Che dopo l’aggressione di Putin ci sarebbe stata una reazione europea e mondiale così forte ed estesa, e anche all’interno della Russia con molte manifestazioni di cittadini, forse l’autocrate russo non se l’aspettava. Perfino la piccola e neutralissima Svizzera ha fatto sentire la sua voce di condanna. Così come, forse, non si aspettava una resistenza tanto intensa da parte degli ucraini sul terreno. Tutto ciò può avere un’influenza sui colloqui in corso far russi ed ucraini per almeno un cessate il fuoco.

Ma l’Europa non può limitarsi solo a reagire, deve promuovere da subito un’iniziativa politica e diplomatica che costringa l’aggressore a una trattativa seria e immediata. Ho Chi Minh, il leader vietnamita che combatté per l’indipendenza del suo paese contro i colonialisti francesi prima e poi gli americani, diceva: quando sei in una capanna con dentro una tigre, da una parte imbraccia il fucile e dall’altra tieni aperta la porta. In questo caso la tigre è l’autocrate russo che è padrone di un arsenale atomico non indifferente. L’iniziativa la deve prendere l’Europa e non la Nato, anche se il ministro russo Lavrov, e non a caso, è quest’ultima che invita ad aprire trattative.

Bisogna vedere in concreto quali siano i veri obiettivi di Putin. Se, come dice, si è mosso per evitare un ulteriore allargamento della Nato a est e in Ucraina - cosa poco credibile perché questa garanzia l’aveva già ottenuta di fatto - oppure se il suo obiettivo, come sembra dimostrare l’aggressione in atto, sia un altro: un passo ulteriore dettato dal nazionalismo revanchista verso la ricostruzione della Grande Russia.

Nel primo caso deve essere l’Unione europea a dare garanzie, assumendo un ruolo e un profilo politico autonomo, democratico e pacifico verso l’est dopo il momento della fermezza e della condanna. Sarebbe, tra l’altro, un primo passo verso la realizzazione di quel soggetto politico europeo che finora è mancato perché ci si è cullati all’ombra dell’Atlantismo Nato che ha contribuito negli anni, con la sua espansione sconsiderata, al rinascente nazionalismo grande russo. Se, com’è probabile, è la ricostruzione della Grande Russia l’obiettivo di Putin, l’iniziativa europea sarebbe salutare e necessaria lo stesso per costringerlo a cadere da cavallo concedendogli di dire che ne voleva scendere: la famosa porta aperta nella capanna di Ho Chi Minh.

Più di qualcuno ha proposto che sia la Merkel, in rappresentanza dell’Ue, ad assumere questo ruolo e questa iniziativa in ragione anche della sua opera passata di continua mediazione nei confronti di Putin nonché della sua conoscenza dell’autocrate russo e degli equilibri interni al gruppo dirigente politico ed economico che lo attornia e che la guerra sta scuotendo. Ciò che finora non è riuscito a Macron e Sholz, forse potrebbe riuscire alla Merkel. Se questo accadesse, com’è auspicabile, lo si dovrebbe oltre che alla sua abilità mediatrice, soprattutto all’inizio di un’autonomizzazione dell’Europa dall’Atlantismo Nato. Evidenziata da una precisa iniziativa e proposta politica volta, da una parte, a salvaguardare l’integrità dell’Ucraina e il suo diritto a scegliersi i governanti che vuole in piena osservanza dello Stato di diritto e dei diritti delle minoranze, dall’altra, a dare garanzie alla Russia in ordine alla sua sicurezza.

Tocca all’Europa farsi avanti non alla Nato.

 

 

 

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