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Fine dell’Europa, Stati Uniti e Zelensky. Seconda parte

DAL MONDO

da: Noam Chomsky: "CAPIRE IL POTERE", il Saggiatore, Milano, 2008.

di Michele Santulli
zelensky 390 min“Nessuno…uscirà vincitore da questa guerra. La guerra non è un giuoco, la guerra è una cosa mostruosa, che costa milioni di vite umane e a cui non è facile mettere fine” (Lenin)

Le citazioni tratte dal libro "CAPIRE IL POTERE" con le pagine dove sono rintracciabili

447) “….il 40% dei bambini di New York sotto la soglia di povertà….”
448) “Secondo le statistiche più aggiornate si valuta che negli Stati Uniti trenta milioni di persone soffrano la fame”, ”quasi cinque milioni di americani anziani, circa il 16% della popolazione di età superiore ai 60 anni, sono destinati a soffrire la fame, sono già malnutriti”.
76) a Harlem “la nonna che deve stare sveglia tutta la notte e impedire che i ratti mangino i nipotini”.
82) “la droga regalata ai bambini di dieci anni.”
148) “noi abbiamo più persone senza casa e meno salute.”
19) il presidente “Reagan si impegnò…. ad eliminare da noi i sistemi previdenziali ed assistenziali.”
78) “….la sensazione di camminare per strada e…..correre il rischio che qualcuno possa ammazzarti.”
78) “….lo spettacolo della ricchezza sfacciata accanto alla più squallida povertà…” [oggi la disperazione, senza speranza].
79) “Alla televisione le immagini di una vita impossibile….offerta deviante.”
468) “Nel mondo industrializzato gli Stati Uniti hanno il più alto carico di lavoro e sono anche l’unico paese in cui non esistono vacanze pagate per legge.”
115) “Il Pentagono progettato non per offrire alla gente una vita migliore ma per garantire ‘un’economia in salute’ cioè per assicurare profitti alle imprese.”
464) “intorno al 1970, il 90% del capitale coinvolto nelle transazioni economiche internazionali veniva utilizzato per scopi commerciali o produttivi e soltanto il 10% a scopi speculativi. Nel 1990 il contrario! Addirittura nel 1995 il 95% per spese speculative!”
6) “Perché l’11 settembre 2001? Perché tanto odio verso gli USA?”
25) “Le azioni terroristiche americane condotte in gran segreto, assoldano paesi satelliti per tema delle contestazioni pubbliche.”
22) “Paesi mercenari al servizio USA: Israele, Corea del Sud, Taiwan, Sud Africa e poi Arabia Saudita e Panama.”
25) “Salvador Allende deposto da un colpo di stato organizzato dalla CIA nel 1973.”
66) ” ‘Terrorismo’ indica sempre quello che fanno gli altri”.
66) “ ‘difesa’ non ho mai sentito uno stato ammettere che sta compiendo un atto di aggressione….magari ‘difesa preventiva’ o del genere.”
67) “…i sovietici sono piuttosto conservatori non tengono forze di pronto intervento in tutto il mondo come facciamo noi.”
69)….[documenti ufficiali] “…senza spese militari si andrà incontro a un declino della economia degli S.U. e del mondo intero….perciò forte aumento delle spese militari e dissoluzione della Unione Sovietica.”
75) “ ‘moderato’ se si obbedisce agli Stati Uniti [e agli stati amici] altrimenti ‘radicale’ : il Marocco di Hassan II il maggior torturatore e violento, l’Arabia Saudita pari e uguale, perfino l’Iraq di Saddam, sono ‘moderati’, idem Suharto dell’Indonesia, uno dei maggiori assassini dai tempi di Hitler….”
81) “Manca il lavoro manuale che avrebbe potuto assorbire le grandi migrazioni dei neri provenienti dalla meccanizzazione dell’agricoltura del sud e quella degli gli ispanici provenienti dall’America Centrale: ora ammassati in quei campi di concentramento che sono le grandi città del Nord, da dove la maggior parte non uscirà più perché non ci sono più occasioni. Il PIL cresce ma non per la popolazione povera.”
84) “Manca un partito politico legato al lavoro, unico in occidente, quindi la gente spoliticizzata…. La colpa? Neri, ebrei, omosessuali, comunisti.”
86) “Bush si appoggiò alle minoranze etniche….polacchi, ucraini e altri popoli del genere….nazisti ucraini antisemiti fino all’isterismo, romeni, ecc.”
92) “Agli Stati Uniti è consentito perpetrare crimini di guerra, è consentito aggredire altri paesi, è consentito ignorare il diritto internazionale.”
109) “…si deve tenere la popolazione ubbidiente, tranquilla e passiva….quando c’è un grande nemico, la gente è disposta a rinunciare ai propri diritti pur di sopravvivere.”
115) “L’opinione pubblica non deve saper nulla. Non dobbiamo usare la parola ‘sovvenzioni’, la parola da usare è ‘sicurezza’ ”.
193) “Il nostro sistema economico ‘funziona’ ma… nell’interesse dei padroni e non…nell’interesse della popolazione.”
198) “Più un paese tortura i cittadini, più smaccate sono le sue violazioni dei diritti umani, più aiuti riceve dagli Stati Uniti.”
233) “L’Europa è stata colonizzata culturalmente dagli Stati Uniti a un livello inverosimile, una brutta copia degli Stati Uniti, anche se è ancora più tragico perché hanno una sensazione di grande indipendenza”.

 

 

 

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Fine dell’Europa, Stati Uniti e Zelensky Prima parte

 

USA: 0,05% dei abitanti del pianeta, da soli il 40% delle spese militari globali 

di Michele Santulli
UE assente geopop.it 390 minIn prosieguo a quanto nell’intervento del 20 ottobre 2022 scorso, riportiamo altre osservazioni del Prof. Noam Chomsky sul proprio Paese, gli Stati Uniti. Ricordiamo che Noam Chomsky è stato professore ordinario, oggi emerito, di Linguistica al MIT, la università di Boston forse più di prestigio degli USA: un intero volume potrebbe contenere l’elenco dei libri e degli articoli scritti, delle conferenze e trasmissioni tenute nel corso della lunga vita, come pure delle numerose lauree ad honorem, dei premi letterari e dei riconoscimenti ufficiali: è la voce critica enormemente più seguita in America, una delle primarie personalità della cultura americana.
Le note sono citazioni dal testo: CAPIRE IL POTERE, il Saggiatore, Milano, 2008.

La micidiale guerra tra Russia e Ucraina che stiamo vivendo anche di persona noi Europei a seguito di certe conseguenze, documenta per l’ennesima volta, adesso pericolosamente, la volontà e il disegno primari degli Stati Uniti e della succursale NATO, di impadronirsi del pianeta: l’arroganza della forza militare e l’assenza dei controlli internazionali ONU, soprattutto la ignoranza delle popolazioni grazie ai media che o per mercimonio o per viltà o per altro tengono l’umanità all’oscuro delle, tra l’altro, fortificazioni e installazioni militari che gli Stati Uniti hanno realizzato dovunque nel globo a questa finalità di conquista e di dominazione, sono prove di una apocalisse incombente: “…gli Stati Uniti, che si è arrogato e arroga oggi con la forza il diritto all’illegalità e all’impunità” (C.Rovelli). Qui appresso, per difetto, una serie di nazioni che ne hanno subito la violenza, l’aggressione, la distruzione o perché regimi democratici o perché regimi avversi ai loro ordini e comandi: Timor Est, Vietnam del Sud, Cambogia, Corea del Sud, Guatemala, Haiti, Honduras, Costarica, Nicaragua, Salvador, Panama, Bosnia/Belgrado, Libia, Iraq, Cile, Afghanistan, Argentina, ecc. ….. ”Ci opponiamo? No! Noi sosteniamo sempre il terrore, anzi lo insediamo al potere”(p.197). A tale elenco manca la regione oggi, solo apparentemente, più significativa: l’Europa, adattatasi a manifesto zimbello di Biden, a stuoia davanti alla porta! “Le mosse e i gesti di Ursula von der Leyen sono un coacervo di miopia e sconsideratezza, arroganza e mediocrità” (Donatella Di Cesare).

Tutti gli stati europei sono, chi più chi meno, letteralmente già militarmente occupati, da anni, dall’immediato dopoguerra, a seguito delle basi militari presenti in quantità in quasi ogni nazione a seconda della capacità di resistenza e di autodifesa: per esempio, si scrive, l’Italia ha circa cento basi militari pronte a tutto e perfino una ventina segrete di cui nemmeno il Governo conosce la locazione!! essendo la più manifesta serva e succube, già dalla Resistenza, già dalle prime elezioni del 1948, da sempre, agli Stati Uniti protettori della DC. Basi militari, non di difesa!! ma di offesa! Gli americani istituirono il tribunale di guerra a Norimberga per processare i Tedeschi, ma per loro stessi, altrettanto aggressori e violenti, non se ne parla! Non per Biden, Bush jr. o per Blair o per Erdogan e non pochi altri.

Noam Chomsky lo ricorda chiaramente, già da anni: (p.233) “L’Europa è stata colonizzata culturalmente dagli Stati Uniti a un livello inverosimile, una brutta copia degli Stati Uniti, anche se è ancora più tragico perché hanno una sensazione di grande indipendenza”. L’attuale Unione Europea ne è una pessima fotografia. Cioè gli Stati Uniti sono ottanta anni che stanno militarmente operando per la conquista del globo: le loro enormi risorse finanziarie sono totalmente destinate agli armamenti e alle sovvenzioni a certi reparti industriali particolari: “Gli Stati Uniti, con meno dello 0,05 per cento dei abitanti del pianeta, coprono da soli il 40 per cento delle spese militari dell’intiero pianeta” (C.Rovelli), e nel contempo la politica sociale è a livello documentalmente di quarto mondo: fame, miseria grande, povertà, morti precoci di bambini e di vecchi, assenza di sanità pubblica, per decine e decine di milioni!! Il loro nemico mortale era ed è la Russia perché identificata col Comunismo, ecco dunque la ragione palese e manifesta della guerra in corso, da loro voluta, da loro organizzata e preparata, dai servi europei affiancati.

L’Europa, il secondo ostacolo sulla loro strada, è stato ormai neutralizzato e metabolizzato, da anni, senza possibilità di appello! La presente vergognosa soggezione nonché sudditanza è terribile riprova. Salvo poche voci che, è vero, aumentano quotidianamente, la gran parte dei media e intellettuali europei sono muti o ciechi o venduti. Grandemente complici -l’evidenza è fin troppo evidente!- del disegno americano non solo i membri della Commissione Europea ma imperdonabilmente anche le centinaia di parlamentari che hanno avuto il coraggio di dichiarare solennemente terrorista chi non lo è e risparmiare, al contrario, chi lo è storicamente e documentalmente! Si continua a fare il gioco terribile americano, fatto di menzogne e di spergiuri, e dunque a promuovere la schiavitù e sudditanza dell’Europa. Solo che il calcolo americano da questi ultimi anni, è grossolanamente andato errato: ora deve fare i calcoli con la Cina e con l’India, oltre che con la Russia ancora in grado di difendersi e perfino pericolosamente, a dispetto di tutti i nemici e servi.

Con riferimento al livore e avversione manifesti dell’Europa nei confronti della Russia che trapela evidente dalle iniziative in gran parte bizzarre se non ridicole quando non volutamente avverse e deleterie, e allo stesso tempo all’esplicito e dichiarato afflato lirico nei confronti della Ucraina prima di ora nota solo per le sue badanti e per il suo nazionalismo e razzismo antisemita, è da ritenere che tale improvviso odio verso la Russia sia in sostanza dettato, se non da invidia e gelosia o altri sentimenti, dal ruolo significativo e profondo della sua cultura nella cultura europea nonché della sua possente economia, più che alla servile sottomissione alle concezioni sballate ma criminali degli Stati Uniti e NATO.

 

 

 

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Contro la libertà delle donne e la fine del sogno americano

CHE ACCADE?

La sentenza shock della Corte Suprema USA

L’assurdo di un sistema istituzionale per cui un presidente può nominare a vita (a vita!) un’alta percentuale di giudici supremi a lui congeniali condizionando così per decenni le scelte politiche dei suoi successori e del Congresso. Là dove vi era un autocrate, dove veniva negata la libertà di coscienza, di religione, l’uguaglianza di genere, per molti gli Stati Uniti sono stati “la città sulla collina” cui guardare e da imitare. Ciò che il mondo vede oggi è un’altra America: un paese dove le disuguaglianze aumentano e le opportunità diminuiscono, un paese dove il razzismo continua ad imperversare e il fanatismo violento aumenta, dove un bambino può morire a scuola falciato da raffiche di fucile automatico; un paese che con tutta la sua scienza e tecnologia non è in grado di contrastare la pandemia di Covid, né di sconfiggere l’epidemia provocata dagli oppioidi, né di arginare la diffusione delle armi da fuoco.

 

L’analisi di Stefano Rizzo, americanista
La Corte suprema americana in alto e i componenti in carica di nomina politica in maggioranza conservatori 390 minManifestazione contro l’aborto dei seguaci di Ronald Trump in campagna elettorale
LA SENTENZA DELLA Corte suprema americana sul diritto di aborto non è stata una sorpresa, ma è stato uno shock. Non è stata una sorpresa perché già da alcune settimane si conosceva la bozza di ciò che la Corte avrebbe deciso e subito c’erano state manifestazioni di protesta e di controprotesta. Non è stata una sorpresa perché già da una ventina d’anni numerosi stati dell’Unione avevano approvato leggi restrittive del diritto di aborto rendendolo praticamente impossibile dopo 14 settimane di gravidanza. L’anno scorso il Texas aveva addirittura approvato una norma che sanziona penalmente le donne, i medici e le cliniche colpevoli del reato di aborto, invitando anche i privati a sporgere denuncia premiandoli con una ricompensa di 1000 dollari.

Non è stata una sorpresa perché da subito dopo la sentenza Roe del 1973 si era sviluppato in tutto il paese un movimento “pro-life” dai toni sempre più aggressivi (con minacce di morte portate ad effetto contro medici abortisti), e la stragrande maggioranza degli esponenti politici repubblicani (compresi alcuni democratici) ne avevano fatto il loro cavallo di battaglia elezione dopo elezione. Fino al penultimo presidente, Donald Trump, che celebra così il suo successo per avere ottenuto la nomina di ben tre giudici supremi iperconservatori e antiabortisti ed avere impedito illegittimamente a Barack Obama di nominarne uno “liberal”, alterando così l’equilibrio tra conservatori e progressisti (seppure a vantaggio dei primi) che durava da decenni.

Si evidenzia così l’assurdo di un sistema istituzionale per cui un presidente, favorito da decessi o da autopensionamenti, può nominare a vita (a vita!) un’alta percentuale di giudici supremi a lui congeniali condizionando così per decenni non solo le decisioni della Corte ma le scelte politiche dei suoi successori e del Congresso; un sistema che attribuisce agli interpreti di una costituzione scritta due secoli e mezzo fa in un linguaggio oggi difficilmente comprensibile il compito di sentenziare inappellabilmente su questioni che la società del tempo neppure lontanamente poteva immaginare. La stessa sentenza Roe del 1973 era stata una forzatura perché ovviamente nella costituzione non c’è alcun riferimento al diritto di aborto, che certamente la stragrande maggioranza dei “padri fondatori” condannava (se mai si erano posti il problema che invece sicuramente riguardava anche allora tante donne così come le loro mogli e compagne). Così che per riconoscere il diritto delle donne ad abortire i giudici dovettero fare riferimento al diritto alla privacy, affermato pochi anni prima in un’altra sentenza, anch’esso ovviamente assente dalla Costituzione ma derivabile dai principi di inviolabilità della persona contenuti nel Bill of Rights (approvato insieme alla Carta costituzionale).

Ma tant’è. I giudici di oggi, che aderiscono alla dottrina della interpretazione letterale della Carta, hanno deciso che siccome in nessun articolo si parla di aborto non è un diritto costituzionalmente protetto e quindi ogni stato può legiferare come meglio crede in materia: vietarlo del tutto o consentirlo in parte, come del resto già avveniva, solo che adesso in assenza di quella protezione a livello federale sempre più stati controllati da maggioranze repubblicane si apprestano ad introdurre nuovi divieti rendendo sempre più difficile alle donne abortire e costringendole — almeno quelle che se lo possono permettere — ad andare in altri stati dell’Unione. Altre invece dovranno scegliere la via dell’aborto clandestino, rischiando la vita.

E allora perché essere scioccati da qualcosa di atteso e probabile? Perché questa decisione sull’aborto potrebbe essere uno degliil sogno americano è finito 390 min ultimi atti che scrivono la parola fine a quella che per due secoli e mezzo è stata un’idea esaltante cui si sono ispirati movimenti di libertà e di indipendenza in tutto il mondo: l’idea di progresso di cui protagonisti consapevoli sono stati fin dalla loro nascita gli Stati Uniti d’America. Quella americana è stata una storia contraddittoria perché nel mentre che si affermavano i diritti inviolabili della persona umana si consentiva la schiavitù, e nel mentre che si proclamava il diritto all’indipendenza dei popoli si conducevano guerre e invasioni di conquista per sottoporre gli stati vicini al proprio dominio. Ma con tutte queste contraddizioni, e le conseguenti ipocrisie, nella società e nelle istituzioni americane è sempre stato presente un nocciolo di valori che puntava all’allargamento delle libertà e dei diritti verso la realizzazione di quello che a partire dagli anni ’30 è stato chiamato il sogno americano.

È stato a partire dalla fine della seconda guerra mondiale, in un clima di riconquistata prosperità e di ottimismo — quando negli anni ’60 si sviluppò il movimento per i diritti civili e per una maggiore giustizia sociale, e successivamente i movimenti contro la guerra del Vietnam e per il disarmo nucleare — che gli Stati Uniti con la loro scienza, la loro capacità di innovazione, la loro cultura popolare, il cinema e la musica, e anche con la loro ricchezza, rappresentarono un modello cui ispirarsi per gran parte dei popoli della terra, anche per coloro che rigettavano il sistema economico capitalistico, ma ne risentivano il fascino di libertà e di progresso. Nel corso di questi decenni il mondo è progredito non solo in termini economici ma di civiltà anche grazie a questo modello. Là dove vi era un autocrate, dove veniva negata la libertà di coscienza, di religione, l’uguaglianza di genere, per molti gli Stati Uniti sono stati “la città sulla collina” cui guardare e da imitare.

Manifestazione contro le disuguaglianze sociali davanti alla Borsa di New York

Ora non più. L’economia americana continua ad essere forte e la sua potenza militare senza pari, ma la capacità di presa degliContropovertàin USA 390 min Stati Uniti sull’immaginario popolare si è molto affievolita. Le verità emerse sui colpi di stato durante la guerra fredda, sulle torture e le uccisioni mirate delle guerre mediorientali, una politica estera che contraddice i valori conclamati di rispetto dei diritti umani in base alle convenienze geopolitiche — hanno eroso la capacità di ispirazione del “modello” americano. Una lunga fase storica si è interrotta ed è arrivato al termine con la presidenza Trump, quando tutto il mondo ha visto alla guida del paese modello di democrazia un demagogo miliardario che, non diversamente da tanti suoi simili, cercava di scardinare lo stato di diritto, negava i principi di convivenza e tolleranza, disprezzava le donne e insultava gli stranieri, e che, sconfitto nelle elezioni, ha cercato (e ancora cerca) di rovesciare l’ordine costituito.

Ciò che il mondo vede oggi è un’altra America: un paese dove le disuguaglianze aumentano e le opportunità diminuiscono, un paese dove il razzismo continua ad imperversare e il fanatismo violento aumenta, dove un bambino può morire a scuola falciato da raffiche di fucile automatico; un paese che con tutta la sua scienza e tecnologia non è in grado di contrastare la pandemia di Covid, né di sconfiggere l’epidemia provocata dagli oppioidi, né di arginare la diffusione delle armi da fuoco. Dove la regressione, non il progresso, sembra dominare tutti gli aspetti della vita sociale, allontanandolo sempre più dagli altri paesi democratici e progrediti. Di questa regressione la sentenza sull’aborto è soltanto l’ultimo episodio.

© RIPRODUZIONE RISERVATA di italialibera.online

 

 

 

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Per la fine immediata degli scontri armati in Ucraina

  • Pubblicato in Partiti

PRC FROSINONE

E’ tempo che i movimenti per la pace ritrovino forza e unità...

bandiera prc 350 minLa federazione di Frosinone del Partito della Rifondazione Comunista Sinistra Europea condanna l'inaccettabile invasione russa e invita alla mobilitazione le associazioni, i movimenti, i partiti, i cittadini e le cittadine che sentono l' urgenza di rafforzare, anche sul nostro territorio, le ragioni della diplomazia, della pace e del disarmo, grandi assenti di un dibattito pubblico completamente sedotto dalla furia bellicista, a cui siamo sottoposti quotidianamente 24 ore su 24.

L’invasione dell’Ucraina è una guerra di aggressione che chiarisce, oltre ogni ragionevole dubbio, dove può portare il disegno neo imperiale di Putin alimentato dal disegno speculare e contrapposto dei paesi aderenti alla Nato.
Dalle responsabilità di tutte le parti belligeranti scaturisce un salatissimo prezzo in termini di vite umane, atrocità e distruzione; a pagare il prezzo delle bombe è e sarà sempre più la popolazione civile, in particolare le persone più fragili - bambini, anziani, persone con disabilità -.
Fragili, non solo per età o limitazioni, ma perché appartenenti a categorie sociali meno abbienti e per questo prive di risorse economiche per sfuggire dalla guerra.

Questa guerra al centro dell’Europa, già teatro di una delle più terribili tragedie dell’umanità durante la seconda guerra mondiale, rischia di portare ad una escalation del conflitto e alla minaccia dell’uso di bombe nucleari.

È sempre più chiaro che tutti gli attori in causa, facendo leva su ogni tipo di nazionalismo, vantando ragioni storiche e/o di rispetto dei diritti fondamentali degli stati, stanno sviluppando azioni e propaganda, con l’aiuto di giornalisti affamati di protagonismo.
Tutto ciò rischia di portare alla guerra i popoli europei, frastornati da false notizie e paure più che giustificate.
Il servilismo guerrafondaio del governo Draghi e di tutti i partiti che lo sostengono e che si affannano a dimostrare fedeltà alla NATO, agli USA, e al loro Presidente Biden, non rispettando e ripudiando uno dei principi cardini della nostra Costituzione, come l’ articolo 11, dove espressamente si dichiara che il nostro paese “ripudia la guerra”.

Con il PD in testa la maggioranza dei parlamentari, entusiasti, indossano l’elmetto di guerra, e in nome della Solidarietà, contribuiscono e mandano a morte certa migliaia di soldati Russi, Ucraini nonché civili.

Intanto il movimento per la pace, vista l’urgenza e la necessità di trovare un agente capace di mediazione e di dare spazio e ossigeno alla diplomazia, è in stallo e in difficoltà.
Pur avvertendo la pressione dell’avanzare delle logiche di guerra, stenta a ritrovare la forza che animato ogni sua iniziativa, dalla fine dell’ultimo conflitto mondiale ad oggi.
Siamo di fronte a pericoli che rischiano di destabilizzare in modo non più prevedibile l’ordine mondiale, da sempre minacciato dagli scontri fra potenze per il controllo della finanza e dei mercati globali.

E’ tempo che i movimenti per la pace ritrovino forza e unità per rispondere in ogni luogo ai nuovi e difficili compiti a cui sono da sempre chiamati. Insieme a questa nuova generazione di protagonisti per la pace mondiale dobbiamo imparare di nuovo a fare fronte con la grande storia, come sperimentarono praticarono durante la guerra in Vietnam.

Pertanto ribadiamo il nostro no alla guerra, senza se e senza ma. Lo eravamo quando la NATO bombardava la Serbia, per imporre l'indipendenza del Kossovo e, lo siamo oggi che la Russia invade l’Ucraina, in nome dei diritti delle popolazioni russe del Donbass.

Siamo contro ogni forma di nazionalismi, perché il tempo dei nazionalismi è tempo di guerra e, l’invasione dell’Ucraina sta aumentando i rischi e tensioni militari tra poli in un mondo ormai compiutamente multipolare.
La lotta per la pace costituisce una priorità per chiunque, in qualsiasi parte del mondo, se si vogliono garantire uguaglianza e libertà.

L' unica soluzione è fermare le armi e riprendere la strada della diplomazia e del diritto internazionale.
L'unica via per la pace è quella della sicurezza comune, del rispetto degli accordi di Minsk con il riconoscimento dell'autonomia delle regioni russofone e un'Ucraina neutrale in una regione demilitarizzata.
Nella guerra in Ucraina è oggi in questione la forma che assumerà l’architettura dei poteri a livello mondiale nei prossimi decenni ed i movimenti per la pace devono misurarsi, anche localmente, con questo orizzonte transnazionale.
Proviamo a riaprire nei movimenti per la pace il confronto per ricucire quelle reti di relazioni internazionali che hanno reso possibile lo sviluppo di iniziative in grado di dare forza al bisogno di pace.

Invitiamo quindi i movimenti per la pace, le organizzazioni ed i partiti, che da sempre sono impegnati nella lotta per un mondo senza frontiere, ad un confronto per definire modalità di organizzazione e di progettazione di iniziative a sostegno della diplomazia e della tregua armata immediata.
- No alla Nato e stop ai blocchi militari.
- No al riarmo comunque motivato dell’Italia e dei paesi europei.
- Si ad un’Europa come soggetto portatore di pace. Si al confronto diplomatico per la fine immediata degli scontri armati.
Come in tutte le guerre a morire sono i civili, le donne, i bambini, i figli dei poveri per cosa, per difendere gli interessi di pochi potenti del pianeta.

Partito della Rifondazione Comunista - Sinistra Europea
Giovani Comuniste/i
Fed. Frosinone
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Il Movimento per la fine della guerra in Ucraina deve crescere e trovare la massima unità

UCRAINA

La guerra non è la soluzione, è il problema

di Alfiero Grandi
Pace 390 minÈ abbastanza evidente che alcuni commentatori hanno cercato di contrapporre la piazza di Firenze contro l’aggressione in Ucraina a quella precedente di Roma, cercando di perpetuare un equivoco che rischia di dividere un movimento plurale, diversificato, in qualche caso perfino con motivazioni opposte, ma che condivide l’obiettivo prioritario di fermare la guerra. Prova ne sia che l’appello ripetuto e insistito per la creazione della No-Fly zone o per la fornitura di aerei all’Ucraina è caduto nel vuoto, esattamente come nella precedente manifestazione di Roma e non poteva che essere così. Anche le rappresentanze presenti erano in buona parte le stesse. Questo tentativo di dividere il movimento o se si preferisce la grande opinione pubblica che vuole la fine della guerra in Ucraina, cercando un’intesa di pace, va indicato come pericoloso e controproducente. Perché le “piazze” per la pace hanno bisogno di estendersi e di rafforzarsi per contribuire a fermare la guerra. Il programma di chi vuole fermare la guerra è la fine dei combattimenti in Ucraina, garantendo la vita delle persone, di chi è sotto i bombardamenti, di chi oggi combatte, avviando una vera trattativa per regolare il contenzioso.

L’unità è sull’obiettivo, le motivazioni possono essere diverse, ma è un “sogno” che non ha alternative.

Trattative per fermare i combattimenti e poi per un accordo di pace sarebbero un’autentica rivoluzione, perché ad oggi l’invasore russo e chi combatte per l’Ucraina non hanno intenzione di smettere. Le trattative in sostanza non decollano. Ciascuno pensa di riuscire a vincere o punta a conquistare posizioni di maggiore forza. Non basta che si offrano per le trattative “volenterosi” capi di governo, mossi anche da interessi propri, ma è urgente che entri in campo l’Onu, da troppo tempo messo nell’angolo, ridotto a teatro delle reciproche accuse, mentre deve essere protagonista delle soluzioni pacifiche. Ormai da decenni i colpi inferti al ruolo dell’Onu, creando fatti compiuti, ne ha indebolito la credibilità, la forza, alcuni errori hanno aggiunto ulteriori difficoltà. Ma la sostanza è che le grandi potenze hanno trovato più comodo per i loro interessi aggirare l’Onu, mettendo il mondo di fronte a fatti compiuti, scegliendo spesso di imporre le loro decisioni unilaterali. Eppure l’Onu non è mai stato così rappresentativo, oltre 200 membri, ma l’indebolimento politico si fa sentire.

Questa è una grande occasione per arrivare ad un accordo nella sede propria: l’Onu, inoltre potrebbe essere l’inizio di una regolazione di problemi che da tempo chiedono di essere risolti, a partire dal rilancio del disarmo nucleare, da una riduzione degli armamenti, anziché insistere sulla follia della logica dell’aumento degli armamenti. Quando si arriverà ad una vera trattativa si potrà forse valutare meglio la differenza con quello che si poteva tentare di concordare prima della guerra, senza i lutti, le distruzioni, i danni immediati e le tossine che resteranno anche quando il clamore delle armi cesserà. Del resto l’alternativa alla trattativa e alla pace oggi è che il mondo scivoli drammaticamente verso una guerra mondiale distruttiva.

Evolvere la funzione degli stati dell’Unione Europea in fornitori di armi all’Ucraina, tanto più che era in campo da tempo la Nato, non è stata una buona idea. In più per l’Italia c’è sempre l’articolo 11 della nostra Costituzione che troppi dimenticano o di cui danno interpretazioni di comodo. La distinzione tra sede politica, di governo e quella di un’alleanza militare dovrebbe essere l’abc della politica. Mentre la scelta dell’Europa di entrare direttamente in campo con forniture di armi all’Ucraina le ha inibito un ruolo di protagonista per la pace, per di più ha dovuto autoimporsi inevitabilmente dei limiti di qualità e di quantità, lasciando cadere richieste di No-Fly Zone e di aerei da combattimento, che continuano a venire dall’Ucraina e che Usa, Nato, Europa non possono accettare senza entrare direttamente in collisione militare con la Russia, con tutte le drammatiche conseguenze del caso.

L’invasione russa dell’Ucraina è stata un gravissimo errore, con conseguenze umane insopportabili e distruzioni drammatiche, fino a minare le fondamenta della fiducia e della reciproca comprensione, necessaria per regolare pacificamente i conflitti. Questo ha conseguenze anche sul ruolo internazionale della Russia. Inoltre l’uso delle armi per vincere ad ogni costo diventa sempre più cruento, inaccettabile, orribile.

Gino Strada disse: la guerra come le malattie letali deve essere prevenuta: va abolita.

L’Ucraina ha scelto di resistere, in parte ci è riuscita, ma può pensare di vincere? Nei discorsi di Zelensky c’è qualcosa che va oltre la rivendicazione della fiera battaglia dell’Ucraina e punta, non a caso, a coinvolgere la Nato. Basta ricordare la richiesta della No-Fly Zone o di aerei forniti dalla Nato, che renderebbero concreto il rischio di un conflitto mondiale, oppure la richiesta all’Europa di tagliare di colpo tutti i rifornimenti di gas e petrolio. Biden non ha difficoltà ad aderire al blocco di petrolio e gas della Russia, infatti ha perfino recuperato forniture dal Venezuela, fino a poco tempo fa al bando. L’Europa non è in grado di adottare una misura così drastica e immediata, pagherebbe un prezzo insostenibile, con conseguenze sociali ed economiche insopportabili. Come ha detto Draghi, in passato una politica energetica nazionale miope ha sottovalutato la dipendenza dell’Italia (e dell’Europa) dall’estero, perché le politiche energetiche hanno puntato sui fossili anziché scegliere di investire strategicamente nelle energie rinnovabili. Continuando a investire nelle rinnovabili come nel 2010/2013 oggi, conti alla mano, potremmo fare a meno dei 2/3 del gas russo. Occorrono proposte concrete per farlo da ora e nell’arco di 5/6 anni possiamo arrivare a quel risultato, ma per arrivarci occorre un piano preciso e occorrono risorse, non basta rincorrere il vertiginoso aumento dei prezzi dell’energia che non ha alcun fondamento oggettivo

Quando la dialettica tra entità politiche si presenta nella forma drammatica del conflitto armato è ancora più indispensabile puntare alla sintesi, cioè sulla fine del conflitto armato per impedire che tutto venga inquinato, distorto, che il mondo diventi molto peggio di quello che avevamo prima, per quanto insoddisfacente.

Solo qualche mese fa l’obiettivo era fermare l’alterazione del clima contenendo l’aumento della temperatura entro 1,5 gradi. Per realizzarlo occorrono distensione, cooperazione. Riprendere il filo sarà dura, ma ci sono alternative che non siano morte e distruzione?

Dopo la fine della guerra fredda, e del patto di Varsavia, il sogno era un mondo aperto, in cui confrontarsi, competere, cooperare. Oggi gli scienziati russi del Cern rischiano di essere fuori dalla ricerca, mentre la cultura è segnata dal ritiro dei dipinti di proprietà russa in mostra in Italia. Davvero vogliamo che dopo questa terribile ed orribile guerra il mondo sia preda della forza, della sopraffazione, dell’isteria?

La guerra non è la soluzione, è il problema.

Non lo è stata nella ex Jugoslavia, le cui conseguenze sono nascoste, ma ben vive, in un “sarcofago”, come Chernobyl. La guerra e la corsa agli armamenti, in particolare nucleari, non risolvono i conflitti armati, li provocano. Ha ragione Francesco, i soldi per le guerre e gli armamenti si trovano sempre, non quelli per affrontare i problemi delle persone: lavoro, equità sociale, che purtroppo sono considerati costi.

Il mondo deve riannodare il filo bruscamente tagliato da Putin, le cui responsabilità non verranno dimenticate. Ma se si tornerà a parlarsi, a confrontarsi, ad aprirsi qualcosa cambierà anche in Russia, come iniziava a cambiare prima che contenimento e isolamento da parte della Nato prendessero il posto delle reciproche garanzie, del necessario reciproco coinvolgimento.

Nel movimento per la pace c’è posto per tutti, per tutte le opinioni sulle responsabilità perché ciò che conta e deve unire è il salto di qualità dell’obiettivo di fondo: sospensione dei combattimenti, trattativa per ristabilire pace – se possibile in sede Onu – e riprendere la cooperazione tra diversi.

Per questo il movimento per la fine della guerra in Ucraina deve crescere e superare la prova di una unità tra diverse posizioni che debbono avere ben chiaro l’obiettivo principale: interrompere i combattimenti, garantire la vita delle persone (tutte), avviare vere trattative di pace, che per definizione hanno bisogno di mediazione e di composizione dei conflitti.

pubblicato anche su jobsnews.it il 16 marzo 2022

 

 

 

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Valle del Sacco: che fine hanno fatto caratterizzazione e successiva bonifica?

Comuni del Frusinate. Anagni

Disatteso il cronoprogramma dell'accordo tra Regione Lazio e Ministero dell’Ambiente (2019)

di Cittàtrepuntozero
città3.zero minLa Valle del Sacco è un’enorme area, per lo più valutata come zona SIN (Sito di Interesse Nazionale) che comincia a Colleferro e finisce a Ceprano. Anni di industrializzazione selvaggia l’hanno resa una delle zone più inquinate d’Italia. Anagni si trova proprio al centro della valle: da anni se ne attende la caratterizzazione - ovvero l’identificazione degli agenti presenti nel suolo e nelle acque - e la successiva bonifica. La prima cosa da fare, improrogabilmente, è smettere di inquinare. Ecco il punto: si continua a dare spazio a progetti ad alto potenziale inquinante, impattanti in negativo sulla purezza dell’aria e di conseguenza sulla qualità della nostra vita.

Non si può più cedere al dramma del ricatto occupazionale, rinunciando obtorto collo alla tutela della salute, sia personale sia pubblica. Il diritto alla salute è sancito dalla Costituzione (art. 32) come fondamentale per l’individuo e per il benessere dell’intera collettività; una società di donne e uomini malati fallisce sotto qualsiasi punto di vista: umano, etico, economico, sociale. Si manifesta come una collettività disorganica di soggetti fragili: salute ed ambiente oggi sono le due leve portanti su cui bisogna incentrare qualsiasi prospettiva politica di sviluppo. Stiamo parlando del benessere di ogni singolo cittadino. La manifestazione di sabato scorso, organizzata dalle associazioni operanti sul territorio è stata annullata causa Covid, ma i temi rivendicati meritano una forte attenzione: i manifestanti contestano l’eventuale implementazione di un impianto di biodigestione della portata di 100000 tonnellate.

Tutto ciò non fa che aggravare il mancato rispetto del cronoprogramma previsto dall'accordo del 2019 tra Regione Lazio e Ministero dell’Ambiente, il quale fissa precise scadenze per i comuni - Anagni compresa - e le province interessate, al di là di qualsiasi ritardo dovuto a problemi tecnici e burocratici. Tutto è drammaticamente in stand-by: non è stata fornita alcuna data per iniziare il monitoraggio delle acque e del territorio né è stato improntato un qualsiasi straccio di piano epidemiologico.

Noi del gruppo politico cittatrepuntozero ci sentiamo in dovere di mantenere alta l’attenzione sulla situazione della Valle del Sacco. Un impianto di biodigestione sul territorio di Anagni di tale mastodontica capienza significa un impianto totalmente sovrastimato: la nostra città produce circa 2000 tonnellate annue di rifiuto organico mentre, con tale stoccaggio, dovremmo smaltire immondizia pari a 50 volte il numero delle persone che vive sul territorio. Immaginare il traffico giornaliero di mezzi pesanti che portano montagne di spazzatura è impensabile. Tutto ciò starebbe automaticamente a significare grave aumento dell’inquinamento dell’aria, che alla fine diverrebbe irrespirabile. Se proprio si deve costruire un impianto di biodigestione almeno che sia rapportato al nostro fabbisogno, così da smaltire unicamente quanto produciamo senza doverci sobbarcare dei rifiuti di altri territori.

Noi di cittatrepuntozero crediamo fermamente nella wellbeing economy, nell’economia del benessere, poiché consideriamo il benessere delle persone la prima e non più procrastinabile priorità. La nostra politica e la nostra idea di città sono improntate sulla convinzione che vivere in un ambiente sano significa vivere meglio, come singoli e come collettività.

 

 

 

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Sanita' Lazio: Fine commissariamento, giornata storica

  • Pubblicato in Partiti

Sanità Lazio senza manette

regione lazio 350 260La fine del commissariamento della sanità del Lazio è una notizia davvero importante. Dopo 12 anni la Regione torna padrona del proprio destino, anche se resta comunque in piedi il piano di rientro. Sono stati anni difficili, in cui spesso i ragionamenti ragionieristici sono stati sovrapposti alla salute dei cittadini. Ora, anche grazie alle nuove risorse che il governo ha già spostato sulla sanità per fronteggiare l'emergenza Covid 19, bisogna ripensare a un nuovo modello di sanità nel Lazio. Le nostre priorità sono tre: ridare centralità alla medicina del territorio, vero e proprio presidio per la salute dei cittadini, assunzioni nel servizio pubblico, per potenziare gli ospedali che sono ridotto all'osso dai troppi tagli degli anni scorsi, un nuovo servizio socioassistenziale per gli anziani, che superi le Rsa e dia priorità all'assistenza domiciliare. art1mdp 350 260

Bene, dunque, il lavoro della Giunta Zingaretti, che ha risalito un muro reso impervio dai disastri del passato, ma la vera sfida comincia adesso: il servizio sanitario pubblico deve tornare a essere non un insieme di aziende che devono presentare il bilancio in pareggio, ma un punto di riferimento per tutti i cittadini del Lazio.
Così in una nota il segretario regionale Riccardo Agostini ed il segretario provinciale Gaetano Ambrosiano di art.UNO

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La fine di Mussolini

Terza e ultima puntata

Villabelmonte 390 minA cura di Aldo Pirone - “Stravolto” e “inebetito”, così il cardinale Schuster vede Mussolini il 25 aprile. Il capo del fascismo è la personificazione stessa della dissoluzione della Rsi. Si è presentato nel pomeriggio alle 15 all’arcivescovado accompagnato da Graziani e dai gerarchi Barracu, Bassi e Zerbino per trattare la resa con il Clnai. A Milano, nella Prefettura, si era trasferito il 18, credendo ancora di poter trattare un qualche immunità. Al tedesco Wolf aveva prospettato, qualche giorno prima, di voler scambiare con gli Alleati la propria salvezza con la legge sulla socializzazione. Oppure medita di finire con un’ultima disperata battaglia nel ridotto della Valtellina con 20.000 camicie nere. Poi pensa di trasmettere il potere al Partito socialista e a quello d’Azione e, addirittura, di concordare con il Clnai di far mantenere l’ordine pubblico in città alle sue milizie nere, in attesa degli angloamericani. Non si rende conto di quel che gli sta succedendo intorno. Dopo un’ora arriva la delegazione del Clnai-Cvl con Carboni, Lombardi, Marazza e Arpesani.

Per il capo del fascismo è un brusco risveglio. Il Clnai ha da offrire solo la resa incondizionata in cambio della vita. Sembra cedere, poi interviene Graziani che chiede, “per correttezza”, di informare prima l’alleato tedesco. Al che vien fuori che i tedeschi stanno già trattando la resa per conto loro. Il “duce” s’infuria. «Ci hanno sempre trattato come servi e alla fine ci hanno traditi!», grida fuori di sé.

Per le autocritiche, in verità, sembra un po’ tardi. Mussolini se ne va promettendo di rifarsi vivo dopo un’ora. Non si farà più vedere. Pensa solo a scappare, con i gerarchi al seguito e con i tedeschi che lo seguono controllandolo da vicino. La comitiva fascista s’imbranca in una colonna tedesca dell’antiaerea che fugge verso la Germania. Il 27 aprile è bloccata a Musso, presso Dongo sul lago di Como, dai partigiani della cinquantaduesima brigata Garibaldi, comandata dal conte Pier Bellini delle Stelle, “Pedro”. Il “duce”, per non farsi riconoscere, si maschera con un pastrano e un elmetto tedeschi. Ma viene riconosciuto lo stesso. Il capo del nazionalismo fascista finisce così, camuffato da tedesco.

A dargli la caccia sono, però, anche gli angloamericani che lo vorrebbero tutto per loro. Gli Alleati hanno sempre preteso dal Clnai la consegna di Mussolini e i gerarchi; lo prevede espressamente l’art. 29 dell’ “armistizio lungo” firmato a Malta. L’Oss statunitense ha sguinzagliato un’apposita missione comandata dal capitano Quincy Daddario che lo cerca spasmodicamente.
Il Clnai, informato della cattura, spedisce una squadra di garibaldini comandata da Walter Audisio, “Valerio”, e Aldo Lampredi, “Guido”, per giustiziare il “duce” e i gerarchi catturati. Ci vuole un “taglio netto” con il fascismo e il suo capo e a farlo, dicono concordi tutti i partiti del Clnai, devono essere gli italiani stessi. Su questo gli Alleati non trovano crepe nella Resistenza.
A firmare i salvacondotti per la squadra garibaldina sarà proprio il capitano Daddario che non è informato da Cadorna sugli scopi della missione. Anche il comandante del Cvl, voluto dagli angloamericani e dal governo Bonomi, fra la linea del Clnai e l’ubbidienza al governo di Roma sceglie la prima.

Mussolini, insieme alla sua amante Claretta Petacci, è fucilato in località Giulino di Mezzegra. Sedici alti gerarchi, tra cui Pavolini, sono giustiziati a Dongo sul lungolago. Trasportati tutti a Milano, vengono scaricati in Piazzale Loreto, dove l’anno prima i fascisti avevano trucidato, lasciandoli esposti sul selciato per tutta la giornata del 10 agosto, 15 antifascisti. Quello che avverrà dopo, la folla tumultuante, lo sfogo di rabbia e rancore collettivo, l’oltraggio ai cadaveri, l’aggancio per i piedi alla trave del distributore di benzina - una scena che Parri definirà di “macelleria messicana” -, appartiene alla conclusione di una sanguinosa e feroce “guerra civile”.

Il 29 aprile la Resistenza assumerà in pieno la responsabilità dell’esecuzione: «Il Clnai dichiara che la fucilazione di Mussolini e complici, da esso ordinata, è la conclusione necessaria di una fase storica che lascia il nostro Paese ancora coperto di macerie materiali e morali, è la conclusione di una lotta insurrezionale che segna per la Patria la premessa della rinascita e della ricostruzione. […] Dell'esplosione di odio popolare che è trascesa in quest'unica occasione a eccessi comprensibili soltanto nel clima voluto e creato da Mussolini, il fascismo stesso è l'unico responsabile.»

Firmato:

Achille Marazza per la Democrazia Cristiana
Augusto De Gasperi per la Democrazia Cristiana
Ferruccio Parri per il Partito d'Azione
Leo Valiani per il Partito d'Azione
Luigi Longo per il Partito Comunista Italiano
Emilio Sereni per il Partito Comunista Italiano
Giustino Arpesani per il Partito Liberale Italiano
Filippo Jacini per il Partito Liberale Italiano
Rodolfo Morandi per il Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria Sandro Pertini per il Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria

 

 

malacoda 75

Aldo Pirone, redattore di malacoda.it

 

 

 

Modulo nuovo di Autocertificazione per ottemperare alle disposizioni dell'emergenza coronavirus da SCARICARE, STAMPARE e COMPILARE

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Ma che fine ha fatto Stephen Kevin Bannon?

Stephen K. Bannon 350 mindi Antonella Necci - Stephen Kevin Bannon è un manager, produttore a Hollywood, stratega della campagna prima e poi consigliere capo del presidente degli Stati Uniti Donald Trump. Il 18 agosto 2017 Bannon è stato scaricato da Trump per le sue posizioni troppo radicali e populiste.

Bannon è nato il 27 novembre 1953 a Norfolk, in Virginia da una famiglia cattolico irlandese di stampo democratico. Ha studiato alla Virginia Tech e alla Georgetown University e conseguito un M.B.A. con lode presso la Harvard Business School. Bannon è stato ufficiale della Marina degli Stati Uniti, in servizio sul cacciatorpediniere Paul F. Foster e assistente speciale al Pentagono.

Ha lavorato poi alla banca d'affari Goldman Sachs come investment banker nel dipartimento Mergers & Acquisitions per poi fondare nel 1990 una banca d'investimento specializzata nei media. Dopo la vendita di Bannon & Co. è diventato un produttore esecutivo di Hollywood (tra i film prodotti un documentario che osanna Sarah Palin, uno su Ronald Reagan e l'ultimo su Hillary Clinton "Clinton Cash").

Dal 2007 fino al 2011, Bannon è stato presidente e CEO di Affinity Media e American Vantage Media Corporation. Ha guidato per 4 anni fino ad agosto 2016 il sito Breitbart News apertamente «alt-right», cioè che si ispira al movimento legato all'ideologia della destra radicale, suprematista e antisemita. Da qui ha condotto la campagna elettorale a favore di Donald Trump per reclutare simpatizzanti tra il popolo bianco contrario al multiculturalismo, all'immigrazione e a favore dell'uso dei civili delle armi.

Nel 2015 la rivista Medialite l'ha inserito tra le venti persone più influenti nel campo dei media americani. Con il socio Peter Schweizer (politico e scrittore) ha fondato il Government Accountability Institute un'associzione non profit che pubblica libri e agisce contro l'establishment politico che ha come scopo "l'indagine la denuncia del capitalismo clientelare e della corruzione nel governo".

E' stato sposato tre volte e ha tre figlie, in passato è stato accusato del reato di violenza domestica e di antisemitismo dalla seconda moglie.

Ma che fine ha fatto Stephen Kevin Bannon, decaduta l'ambizione di creare una scuola sovranista nel cuore della certosa di Trisulti, sostenuto, tra gli altri, da un politico ex Dc come Rocco Buttiglione, facente parte del CDO dell'associazione no profit che aveva avuto il benestare ad agire dal ministro Dario Franceschini nel 2018? (Franceschini ha di recente revocato la concessione dopo essere stato nominato nuovamente ministro dei Beni culturali. Va ricordato però che lo stesso Franceschini rese la concessione attiva poco prima di perdere il suddetto ministero, durante il governo Renzi, a febbraio 2018).
Le ultime notizie vedono Bannon tentare la scalata per acquistare il Telegraph, noto quotidiano della destra Inglese, per 100 milioni di sterline.
E non è che la stampa inglese ci vada tanto per il sottile nel porre in rilievo come tale azione possa determinare la fine dello storico quotidiano britannico.

“Nelle mani di Steve Bannon, credo che sarebbe la fine del Telegraph” twitta Alan Rusbringer, ex direttore del Guardian, “e qualsiasi cosa si pensi del Telegraph, sarebbe una cattiva notizia”.

Steve Bannon, già fondatore di Breitbart, ex braccio destro di Donald Trump e dichiarato sostenitore dei governi populisti nel mondo, ha confermato al Times che sta cercando di mettere su un consorzio che possa rilevare la storica testata della destra britannica.

I fratelli Barclay hanno deciso di venderlo per 100 milioni di sterline, dopo averlo pagato nel 2004 oltre 660 milioni. La crisi del quotidiano è però fortissima sia a livello di tiratura che di profitti.
Bannon ha spiegato al Sunday Times di voler fare del Telegraph “una voce globale del populismo trumpiano”.

Da qualsiasi punto si guardi questo personaggio, ciò che più allarma non è tanto il suo acume nel fare affari sulle disgrazie altrui, quanto la quantità di persone fintamente perbene pronte ad aiutarlo. Da una parte fondano una associazione umanitaria no profit con sede in prossimità del Vaticano, per entrare indisturbati dentro ad una Certosa come quella di Trisulti che crolla a pezzi per mancanza di fondi oltre che di monaci.
Dall'altra l'individuo cerca di creare una cordata finanziaria per mettere mano su un quotidiano storico e che, nonostante sia di destra, è di certo più illuminato di tanti Trumpiani seguaci di Bannon.
Segno più che limpido che il sovranismo non è una mera opinione, ma vive e vegeta in molti animi pronto a balzare fuori e a mangiare il prossimo più sprovveduto. Con il sorriso di mite uomo di chiesa sulle labbra.

 

 

 

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A 30 anni dalla caduta del muro. La fine della sinistra e la necessità di una svolta

Diritti fotoprincipale minDi fronte alla crisi del sistema politico italiano, riteniamo di fare cosa utile proponendo questa intervista rilasciata da Paolo Ciofi ad Amedeo Gasparini il 3 ottobre 2018

(per leggere tutto, completata una pagina, torna qui in alto sotto la foto grande e clicca sul titolino successivo) (per leggere tutto, completata una pagina, torna qui in alto sotto la foto grande e clicca sul titolino successivo)

 

  1. Occhetto...
  2. Craxi...
  3. Scompare...
  4. Anticomunismo e...

 Occhetto scioglie il Pci

 Paolo Ciofi, iniziamo dal 1989, anno del crollo del Muro: con esso cade il Comunismo o un Comunismo?

Non cade né il Comunismo, né un Comunismo. Cade la società sovietica costruita dopo la rivoluzione del 1917, un assetto di società certamente fuori dagli schemi, non assimilabile ad altre esperienze del Novecento. Non si può dire però che fosse il Comunismo o una forma di Comunismo, secondo la visione che del Comunismo avevano Marx ed Engels. Ma è evidente che se si identifica l’Unione Sovietica con ilcademuro berlino 350 min Comunismo, con il crollo dell’Unione Sovietica crolla anche il Comunismo. Un’operazione ideologica dei vincitori della Guerra Fredda e delle classi dominanti condotta con grande dispendio di mezzi, volta dimostrare che questa società capitalistica in cui viviamo non si può cambiare. Si può solo amministrare, e quindi una reale alternativa di sistema è impossibile. Vorrei ricordare che già Marx, nel lontano 1872, affermava che le vie per costruire una civiltà superiore, oltre il capitalismo, sono diverse e dipendono dalle condizioni storiche concrete. Una indicazione di metodo ripresa dai comunisti italiani con Gramsci e Togliatti, che ha consentito di organizzare il più grande partito comunista in Occidente e di progettare una formazione economico-sociale diversa da quella capitalistica rivoluzionando lo Stato e la società attraverso l’espansione di una democrazia progressiva. Una via, secondo Togliatti, che si poteva percorrere dando attuazione ai principi costituzionali. Infatti, abbiamo ancora una Costituzione che fonda la Repubblica democratica sul lavoro e non sul capitale. Si tratta di una conquista storica fondamentale.

 

Le era però chiara la portata delle iniziative di coloro i quali volevano rinnovare questo sistema?

L’esigenza che si dovesse realizzare un cambiamento profondo nella politica del PCI – e in generale in tutta l’area del socialismo occidentale – era molto avvertita. Tanto è vero che fu affermata con forza da Enrico Berlinguer nell’ultima fase della vita. Ricordo bene il suo rapporto all’ultimo congresso, in cui disse che bisognava rinnovare completamente il socialismo. La sua idea era di porre mano a un grande cambiamento nel partito, senza cancellare però la storia e le basi sociali del PCI, che affondava le radici nella classe lavoratrice e nei ceti popolari. Un progetto che Berlinguer non poté realizzare a causa della morte che lo colpì in modo drammatico e improvviso. Invece la svolta di Occhetto, peraltro molto confusa sul piano culturale, disegnava un mondo inesistente in cui non c’era più traccia del conflitto tra le classi. Di conseguenza veniva meno le necessità di organizzare e di rappresentare politicamente le classi subalterne. Il risultato è stato un sistema politico monoclasse, in cui si alternano gruppi diversi della borghesia dominante.
Quindi la nascita del PDS come negazione dei valori che avete portato avanti per settant’anni?
Con la nascita del PDS c’è stata una rottura e, in definitiva, un passaggio di campo. Il movimento operaio e popolare rappresentato dall’ex PCI veniva traslocato sul fronte della classe capitalistica. In sostanza si è compiuto il processo che Craxi aveva iniziato con il PSI nella fase precedente.

D’altra parte, però molti dicono che dal PCI a PDS non cambia molto, eccetto che il nome …

Dal PCI al PDS cambiano tante cose, a partire dall’impostazione politica. Primo cambiamento: non si lotta più per costruire una società socialista di tipo nuovo, come è possibile grazie all’attuazione della Costituzione. Questa società si gestisce e non si cambia. Il principio guida diventa la non trasformabilità del sistema. Secondo cambiamento: la cancellazione dell’analisi di classe, e perciò delle classi lavoratrici. Non è un caso che alla prima uscita del partito di Occhetto molti operai, non riconoscendosi nel PDS, abbiano cominciato a votare per la Lega Nord. Terzo cambiamento: non più un partito fondato sulla partecipazione attiva, e quindi sul continuo elevamento culturale e politico degli iscritti, ma un partito cosiddetto “leggero” che si fonda sul dominio del leader e dei suoi affiliati. Intendiamoci, i leader sono necessari. Ma mentre nel partito di massa il leader era al servizio del partito, al contrario il partito “leggero” è al servizio del leader.

In merito alla sua terza considerazione, si può dire che Occhetto fosse una figura che corrispondesse a questa sua descrizione?

Il corso delle cose in quel momento era tale che, se non ci fosse stato Occhetto, probabilmente qualcun’altro avrebbe tentato un’operazione simile. Resta il fatto che chi si oppose non fu in grado di proporre un’alternativa di cambiamento credibile, sulla quale si potessero unificare tutte le forze contrarie alla svolta della Bolognina. Gli errori compiuti furono diversi. Io partecipai ad Arco di Trento alla riunione delle opposizioni e la maggioranza dei presenti fu sconcertata dall’affermazione di Ingrao, il quale disse che bisognava restare “nel gorgo”. Altri invece uscirono dal gorgo e abbandonarono il partito. Io rimasi per un certo tempo nel PDS insieme alla componente di Tortorella e Chiarante, ma di fatto l’opposizione interna al PDS non fu in grado di dare vita a un’alternativa.

Però c’era Rifondazione …

Infatti, ci fu una divisione: una parte rimase nel PDS, mentre quella di Garavini e Cossutta uscì. Però le due opposizioni, sia quella interna al partito sia quella esterna, non furono in grado di mettere in campo un’alternativa efficace. In Rifondazione presero corpo diverse anime, che si sono contrastate fino a portare il PRC all’irrilevanza. Rifondazione si dichiarava (non sempre, per la verità) rappresentante della classe operaia, ma tra gli operai era un partito assolutamente minoritario. Mi torna in mente l’affermazione di un operaio che conobbi in una fabbrica di Brescia: “Quando c’era un solo Partito Comunista contavamo qualcosa. Ora sono diversi che si dichiarano comunisti, ma noi operai non contiamo niente.”

Però alla base della Quercia ci sono ancora falce e martello …

Un’operazione d’immagine per cercare di prendere voti e continuare a pescare nell’elettorato comunista. Io sono stato segretario del PCI a Roma e nel Lazio ai tempi di Berlinguer e all’epoca avevamo centomila iscritti, con una forza maggioritaria nei nuclei operai della capitale che non era una città operaia, ma soprattutto nelle borgate e nei quartieri popolari. Con la svolta comincia la trasformazione: a Roma il PDS diventa il partito dei Parioli e delle classi dominanti, della media e grande borghesia, dei quartieri ricchi e benestanti. Mentre i ceti popolari e di sottoproletariato cominciano a votare a destra, o non partecipano al voto.

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Craxi e le “dazioni ambientali”, Berlinguer e la questione morale

Altro anno importante: 1992. Inizia Mani Pulite: quali sono le sue reazioni iniziali?

Che il sistema politico fosse profondamente corrotto si sapeva, tanto è vero che la battaglia contro il clientelismo e la corruzione la fa negli anni Ottanta Enrico Berlinguer, sollevando la questione morale e ponendo il problema di un radicale cambiamento. Sottolineo che la questione morale nella visione di Berlinguer non era un banale “via i ladri”, cosa del tutto ovvia, ma una questione politica, originata dall’occupazione dello Stato da parte della costituzione minDemocrazia Cristiana e del suo sistema di potere. L’intervista di Berlinguer a Scalfari del 28 luglio 1981, riletta oggi, è di un’attualità sconcertante. Secondo il Segretario del PCI, la questione centrale della crisi italiana è la degenerazione dei partiti, che hanno occupato lo Stato e tutte le sue istituzioni. Al riguardo, Berlinguer sottolinea la diversità dei comunisti italiani, che non era una presunta superiorità antropologica ma una precisa linea di condotta: non occupare lo Stato (lo Stato non può essere il mezzo con cui il partito crea consenso); combattere il privilegio in tutte le sue forme e ovunque si manifesti; lottare per il superamento del capitalismo verso una civiltà superiore di liberi e uguali. Posso dire – e di questo sono orgoglioso – che nei circa dieci anni in cui abbiamo governato Roma, la sua provincia e la regione Lazio, non siamo stati coinvolti in nessun caso di clientelismo e di corruzione. E questo dimostra che i comunisti italiani, uomini e donne come tutti gli altri, avevano una concezione diversa della politica. E come tale la praticavano.

A tal proposito, Mani Pulite non è quindi una sorpresa per voi?

Mani Pulite fa emergere uno stato di fatto che si era aggravato. Nella fase di Tangentopoli si scopre che la diffusione massiccia della corruzione coinvolge in prima persona anche il PSI, un partito di sinistra schierato storicamente dalla parte dei lavoratori. È un passaggio qualitativo che si compie quando, con Craxi, il PSI si colloca dalla parte del capitale. A quel punto si instaura un sistema pressoché generalizzato di relazioni clientelari e corruttive, con l’esclusione del PCI.

Però, mi consenta, Craxi non perde consensi: anzi, li aumenta! Quindi, forse, teneva conto di qualche istanza dei lavoratori …

Negli anni di Craxi, il quale comunque non superò mai il quindici per cento dei voti, emerge la questione della scala mobile e il Segretario del PSI si fa portavoce delle richieste della Confindustria che voleva eliminare la scala mobile, imputata dell’inflazione e di tutti i guai dell’economia italiana. Una scelta di classe presentata come una grande innovazione. E difatti di una innovazione si trattava, ma negativa, a vantaggio dei profitti e a danno dei salari. Ciò avveniva nell’ambito di un movimento globale guidato dalla signora Thatcher e da Ronald Reagan: il liberismo propugnato dall’economista Milton Friedman, secondo cui assicurando la massima libertà al capitale si generano ricchezza e posti di lavoro per tutti. Nel PCI viene affermandosi la corrente cosiddetta migliorista, che fa capo a Giorgio Napolitano (detto Giorgetto, per distinguerlo da Giorgio Amendola, detto Giorgione). Tra l’altro, la formula “mani pulite” è stata inventata proprio da Amendola nel 1975: il PCI partito delle mani pulite. Il migliorismo, nella sostanza, arriva alla conclusione che questa società non si può cambiare, si può solo in qualche modo migliorare. Una posizione nettamente contrastante con quella di Berlinguer, dalla quale prende avvio l’involuzione del Partito Comunista fino al suo scioglimento.

La componente migliorista è quella che durante Mani Pulite viene toccata maggiormente?

Noi comunisti romani non fummo toccati, a differenza dei miei compagni miglioristi di Milano. Quando esplose il caso Chiesa, Craxi lo liquidò come il caso di un “mariuolo”, ma in verità si trattava di un sistema. E questo sistema, fondato sulle cosiddette dazioni ambientali, nel PCI non c’era. Il caso di Milano non si può generalizzare. Tutte le accuse rivolte a Di Pietro di non aver proceduto nei confronti del PCI si sono dimostrate inconsistenti. Il PCI amministrava molte regioni, provincie e comuni, ma non faceva parte del sistema delle dazioni ambientali.

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3. Scompare il partito di massa

 

Nel 1993, al processo Enimont, Craxi dirà: “Il Partito Comunista non è mai stato un partito povero. È sempre stato ricco di risorse. Talvolta si aveva l’impressione che ne disponesse più dei partiti di governo. Aveva costruito in Italia la più grande macchina burocratica più potente e organizzata dell’intero mondo occidentale (…)”. Quanto queste affermazioni erano corrette?

Se Craxi intendeva dire che il Partito Comunista Italiano aveva una sede in ogni comune d’Italia e che aveva costruito una rete di Case del popolo attraverso la contribuzione volontaria di milioni di persone, questo è vero. Il Partito Comunista è stato il più grande Uguaglianza pace minpartito di massa dell’occidente capitalistico: se si andava nell’ultimo comune d’Italia si trovava la chiesa e la sezione del PCI. E questo non sarebbe stato possibile senza una forte partecipazione dal basso. Si trattava di un partito nel quale le persone e gli iscritti contavano, e i dirigenti dovevano tenerne conto. Era il risultato di una visione e di una pratica politica complesse, in cui la prospettiva di trasformazione della società, che dava una speranza a milioni di persone, si univa alla capacità di dare risposte concrete ai problemi quotidiani. Prospettiva e concretezza: il PCI era diventato il più grande partito dell’Occidente perché un apparato di funzionari professionisti della politica si fondeva con la partecipazione delle persone e il protagonismo degli iscritti. Senza i quali il PCI non avrebbe potuto svolgere la funzione che ha svolto in Italia.

Se però la questione morale non ha a che vedere con l’antropologia, è pur vero che comunisti in prigione come Primo Greganti e sotto processo come Sergio Cusani – ex Lotta Continua – non parlano. Vittorio Foa parlava di “silenzio come disciplina di partito”. C’è qualcosa di diverso nei comunisti?

Non mi risulta che Cusani fosse iscritto al PCI. Comunque, partiamo dalla realtà dei fatti. Ad essere incriminato, processato e condannato non è stato il segretario del Partito Comunista Italiano, il quale ha avuto sempre un comportamento ineccepibile e fu da tutti rispettato. Altri sono stati messi sotto accusa. Se non sbaglio, il segretario amministrativo della Dc Citaristi ha avuto oltre settanta avvisi di garanzia. Fenomeni di questo tipo nel partito comunista non ci sono stati. Poi ognuno ha fatto la sua scelta e chi non ha parlato probabilmente lo ha fatto anche per non danneggiare il partito.

Occhetto mi ha detto che se non ci fosse stata Mani Pulite, l’unità tra comunisti e socialisti ci sarebbe stata. Lo riteneva plausibile in fin dei conti?

Con i “se” e con i “ma” non si fa la Storia: francamente questa interpretazione mi sembra fantasiosa. Imputare a Mani Pulite la mancata unità tra PCI e PSI è un po’ aggirare l’ostacolo. Non si può dire che Mani Pulite sia stata l’invenzione di qualche magistrato pazzo. Perciò, da questo punto di vista, l’affermazione di Occhetto mi sembra campata in aria. Se invece si vuol dire che se il PSI non fosse stato protagonista di una sistema corruttivo sarebbe stata possibile l’unità tra i due partiti, questa è un’ipotesi tutta da verificare. Senza dimenticare che le politiche del PSI e del PCI erano molto diverse, e che la linea socialista della governabilità ha portato in conclusione alla vittoria del centrodestra.

Però localmente, in molti casi, PCI e PSI governavano assieme …

Il governo locale si fa sulla base di determinati programmi, che devono corrispondere alle esigenze di quella comunità. Il governo nazionale è tutta un’altra dimensione. Mani Pulite avviene in un contesto internazionale in cui prevale la cultura liberista, che è l’espressione massima del dominio del capitale. Nella scelta di Occhetto, anche dal punto di vista culturale, una reale contestazione di quell’assetto non c’è stata. E questo è il punto fondamentale, da cui nascono i cedimenti successivi sul terreno politico. Non si è contestata la cultura liberista nei suoi fondamenti.

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4. L’anticomunismo e la lotta per l’uguaglianza e la libertà

 

Vorrei parlare con lei di alcuni personaggi importanti dell’epoca, a partire da Francesco Cossiga. Cossiga piccona il sistema: come lo vedevate e come lo giudica?

 L’atteggiamento di Cossiga è l’atteggiamento di chi comprende che la situazione italiana sta in un passaggio molto stretto e difficile, ma le risposte che lui dà sono sbagliate, perché vanno nella direzione di indebolire il sistema parlamentare. Facendo assumere alla Presidenza della Repubblica un ruolo che non è quello costituzionale.

E il suo successore, Scalfaro?

Penso che Scalfaro fosse un conservatore che credeva nella democrazia costituzionale. Durante la sua presidenza ha lottato per difendere la Costituzione, in particolare la centralità del Parlamento. Peraltro fortemente indebolita dalla legge elettorale maggioritaria, con la quale si compie la trasformazione dei partiti politici in comitati elettorali. Scalfaro ha svolto una funzione positiva, sebbene non sia riuscito a rovesciare il processo che ha portato alla completa affermazione di un uomo del capitale come Berlusconi. In qualità di Capo del governo, che ha riunito in sé il potere economico, il potere politico e il potere culturale-mediatico, Berlusconi è una figura emblematica di qillavoroprimaditutto 490 minuel passaggio storico che ha portato alla presa diretta del potere da parte del capitale, nell’ambito di un sistema politico monoclasse. Da questo punto di vista non è un personaggio anomalo, ma un anticipatore. La sua affermazione ha dimostrato che l’Italia si è rivelata, come in altre circostanze, un inedito laboratorio politico di cui la sinistra ha capito poco o nulla. Il Cavaliere di Arcore fu considerato un uomo d’affari senza scrupoli e/o uno spericolato uomo d’immagine, ma in realtà quel piccolo borghese capitalista dalle origini oscure, che si vendeva liberale, intendeva manomettere le basi stesse della Repubblica democratica. Lo dichiarò di fronte alla Confindustria sin dall’inizio della sua discesa in campo, quando sostenne che occorre cambiare la Costituzione perché non tutela l’impresa. Il suo disegno era quello di costruire un sistema presidenziale e una Repubblica non più fondata sul lavoro, bensì sul capitale. Un’operazione che continua, con l’intenzione di distruggere fino in fondo le conquiste storiche del movimento operaio e dei lavoratori.

Lui ha fondato la sua campagna sull’Anticomunismo: quanto è contata questa propaganda nella campagna elettorale del 1994?

La propaganda anticomunista si è inserita nel quadro della crisi e del crollo dell’Unione Sovietica. Lo ripeto: si è trattato di un fallimento presentato come il fallimento del Comunismo, sebbene diversi aspetti della realtà sovietica, a cominciare dalle degenerazioni staliniste, ben poco avessero a che fare con il Comunismo. E anche se i comunisti italiani hanno seguito la via democratica e costituzionale per costruire un modello diverso di Socialismo, ben poco si è potuto fare – e si è fatto – per contrastare la propaganda anticomunista. Non dimentichiamo che Berlusconi disponeva pressoché della totalità dei mezzi di comunicazione, indispensabili per formare un senso comune diffuso. Inizialmente con la proprietà delle tv private, ottenute per graziosa concessione del governo Craxi. Poi con il controllo anche della tv di Stato.

Come giudicò la famosa affermazione di Occhetto sulla “gioiosa macchina da guerra”?

Non ricordo come la giudicai, ma con le battute si risolve poco. Ricordo invece che la relazione di Occhetto al congresso di Firenze si diffuse sui problemi (indubbiamente rilevanti) della foresta amazzonica, mentre il conflitto tra le classi nelle Americhe, in Europa e in Italia non ebbe lo spazio necessario, come se d’incanto fosse scomparso. Ci saremmo dunque avventurati nel mondo di un capitalismo “buono”, in cui avrebbero trionfato la libertà, l’uguaglianza e la democrazia. Un mondo nel quale compito del PDS sarebbe stato quello di stare dentro questa meravigliosa avventura. Secondo Occhetto, con lo scioglimento del PCI si sarebbe aperto “un periodo storico magnifico”.

In conclusione, secondo lei, l’Italia è ancora in Tangentopoli, nella città virtuale della corruzione?

Secondo me la diffusione delle tangenti è un fenomeno largamente presente in Italia e nel mondo: fa parte del sistema. In un sistema in cui non c’è un’alternativa reale e si combattono soltanto i gruppi dominanti per avere più spazio per i loro profitti e per i loro potere, la tangente diventa – per così dire – uno strumento operativo. In altre parole, il fenomeno corruttivo, in questo modello di società, sta nella natura stessa del sistema. Ma per cambiare il sistema lo strumento adatto non è la Magistratura, alla quale spetta il compito di far rispettare le leggi. Occorre cambiare il sistema politico affermando il principio costituzionale che lo sovranità appartiene al popolo, e quindi organizzare i cittadini in partiti politici rimotivando la politica come strumento di lotta per l’uguaglianza e la libertà. La legalità va difesa e va insegnata nei principi e nei comportamenti, perché bisogna sapere dove inizia l’infrazione della legge e avere una diffusa conoscenza delle regole, per adeguare ad esse i comportamenti. Ma quando la corruzione diventa un fenomeno che permea il sistema politico, non ci si può limitare a dire che fa parte dei comportamenti umani. Occorre portare allo scoperto le condizioni sociali ed economiche entro le quali tali fenomeni si diffondono. E se necessario rovesciare il sistema politico.

Le manca la Prima Repubblica?

A me, come penso a molte persone della mia generazione, manca lo spirito collettivo, una sede politica, che possa essere lo strumento per realizzare gli ideali di una vita, l’uguaglianza e la libertà tra esseri umani. Dunque, mi manca soprattutto un partito politico che lotti per cambiare questa società ingiusta e decadente.

È molto difficile conciliare libertà e uguaglianza …

Il passato ci dice questo. Bisogna però guardare al futuro e perciò penso si possa percorrere la strada di una lotta comune per la libertà e l’uguaglianza. Noi disponiamo di un grande progetto di cambiamento rimasto per gran parte inattuato, la Costituzione della Repubblica, che ridefinisce, tenendoli insieme, i principi di uguaglianza e libertà. Indicando a tale scopo la necessità di rimuovere gli ostacoli economici e sociali, e ponendo limiti alla presenza totalitaria della proprietà privata, giacché secondo la Costituzione la proprietà è pubblica o privata e i beni economici appartengono allo Stato, ad enti o a privati, e anche a comunità di lavoratori e di utenti. Inoltre, la stessa proprietà privata deve svolgere una funzione sociale, facendo sì che l’iniziativa economica non rechi “danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana”. Come ha fatto notare Stefano Rodotà, la Costituzione italiana non abolisce la proprietà privata, ma la conforma in modo tale da consentire la realizzazione di sempre nuovi diritti sociali: che sono appunto diritti di uguaglianza e libertà. A sinistra in molti se lo sono dimenticato, ma noi abbiamo questa grande carta da attuare in Italia e da portare in Europa.

*Intervista ad Amedeo Gasparini . Roma 3 ottobre 2018

 

 

 

*Intervista ad Amedeo Gasparini . Roma 3 ottobre 2018

 

 

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