Intervista a Eric Gobetti autore del libro “E allora le foibe?” edito da Laterza.
di Diego Protani 1) Come nasce il saggio "E allora le foibe?" e quale è l'obiettivo del libro?
Ho sentito un duplice dovere: professionale e civile. Da una parte la necessità di ribadire i risultati della ricerca storica, che ormai ha raggiunto un certo accordo almeno sui fatti e sulla descrizione dei fenomeni: la realtà multietnica di quel territorio, il ruolo del fascismo nell'innescare la violenza, il contesto della guerra e i vari crimini commessi, l'ordine di grandezza delle vittime e degli esuli. Dall'altra la volontà di impedire che una ricostruzione parziale, talvolta falsa, spesso tendenziosa, di questi avvenimenti porti a capovolgere gli stessi valori fondanti della nostra Repubblica, presentando i fascisti solo come vittime indifese e i partigiani come unici attori della violenza. Il ché non è solo falso, è anche una pericolosa distorsione della realtà, perché attribuisce ai partigiani una volontà di sterminio su basi etnonazionali che invece era patrimonio ideologico dei fascismi.
2) Nel libro sono evidenti delle responsabilità fasciste che diedero inizio a tutto ciò. Ce le può riassumere brevemente?
L'epoca raccontata nel mio libro è un tempo di violenze e massacri che coinvolge molte vittime e molti carnefici. Ci sono i crimini di guerra commessi dall'esercito italiano dal 1941 al 1943 e dell'esercito tedesco fino al 1945, e ci sono le violenze del settembre 1943 in Istria e la repressione di fine guerra da parte dell'esercito jugoslavo. Non c'è un rapporto di causa-effetto fra questi fenomeni, ognuno ha le sue logiche specifiche; ma tutti si sviluppano nella stessa area e nella stessa logica di “guerra totale”. Un conflitto portato in questo territorio dall'esercito italiano, che invade la Jugoslavia nel 1941. E prima ancora dal fascismo, che impone per vent'anni l'italianizzazione forzata alle popolazioni slave. Ripeto: non si tratta semplicemente di vendette; ma senza conoscere un evento non si può comprendere quello che segue. E senza la logica di sopraffazione e violenza portata dal fascismo, non ci sarebbero state, con ogni probabilità, né le foibe né l'esodo.
3) La destra parla di pulizia etnica. E' solo uno scopo propagandistico ?
Non la definirei propaganda, e non arriva solo da destra: direi che ormai fa parte dell'immaginario comune su queste vicende. La definizione è scorretta perché sottolinea solo l'aspetto identitario del fenomeno, che certamente esiste, ma ignora del tutto le ragioni militari e politiche, che invece a mio avviso sono prevalenti. Questo uso improprio denota la volontà di connotare la vicenda in maniera “balcanica”, quasi come se le “foibe” facesse parte dell'istinto di popoli naturalmente “barbari”. In questo modo si può facilmente spiegare il fenomeno con la propensione alla violenza di popoli inferiori, senza bisogno di parlare del contesto di guerra e sopraffazione da parte dell'Italia fascista, che invece è fondamentale per comprendere quegli eventi.
4) Lei dichiara che è improprio parlare di foibe per ciò che succede dopo la fine del conflitto. Perchè?
La stragrande maggioranza delle vittime del 1945 sono uomini adulti catturati dalla polizia politica o dall'esercito jugoslavo perché ritenuti collaborazionisti dei nazisti (sia militari che civili) oppure pericolosi avversari politici per il nuovo potere che si vuole instaurare (e in questo caso ci sono addirittura antifascisti e persino ex partigiani). Queste persone vengono in gran parte internate in campi di prigionia e qui muoiono di fame e di stenti (come succedeva nei campi italiani) oppure fucilati dopo processi più o meno sommari. Le persone uccise e gettate nelle foibe nelle vicinanze delle città della zona sono un numero molto limitato e in gran parte vittime di rese dei conti private o addirittura di criminali comuni, come nel caso dell'Abisso Plutone, nella zona di Trieste.
5) Molti non conoscono la storia del campo di concentramento di Arbe dove morirono più di mille donne e bambini di fame. Perchè anche questa storia non viene raccontata come meriterebbe?
Nell'immaginario comune gli italiani durante la seconda guerra mondiale sono stati solo vittime: dei bombardamenti, delle violenze naziste o comuniste, della guerra in generale. Il mito degli italiani-brava-gente è ormai parte dell'identità nazionale e si è costruito grazie a una serie di complesse ragioni, non ultima la mancata “Norimberga italiana”. In parole povere: nessun criminale fascista è mai stato condannato né in patria (in parte grazie alla nota “amnistia Togliatti”), né all'estero (grazie a un'abile manovra diplomatica che ha consentito all'Italia di non consegnare le centinaia di presunti criminali su cui indagavano gli ex paesi occupati). Tra i crimini più gravi c'è stata anche la creazione di campi di concentramento, dove sono stati internati 100.000 civili jugoslavi. Arbe era il peggiore di questi campi, e qui morirono, di fame e di stenti, circa 1500 persone, molti dei quali donne e bambini. È evidente che questa storia non è mai entrata nel nostro immaginario collettivo perché da sola smentirebbe tutta la costruzione simbolica che ci siamo fatti di noi. Le responsabilità sono tante, psicologiche e politiche, ma io credo che questo oblio costituisca un grave problema per il nostro paese. Con una metafora psicoanalitica: quello dei crimini di guerra è il nostro “elefante nel salotto”. Fino a quando non affronteremo quel trauma, non diventeremo mai una democrazia “adulta”.
6) Quali furono le differenze tra la resistenza slava e quella italiana?
Due sono le differenze maggiori. Per prima cosa la resistenza jugoslava è di fatto monopolizzata dal partito comunista. Esiste un fronte popolare (in particolare in Slovenia) che include altri partiti minori, ma di fatto è la dirigenza comunista che guida la Resistenza da un punto di vista sia politico che militare. Questo perché il partito comunista è di fatto l'unico che operi in una prospettiva jugoslavista, ovvero con l'intento di includere tutti i popoli jugoslavi e di ricostituire una Jugoslavia unitaria. In secondo luogo, nonostante l'apparente settarismo della resistenza jugoslava, questa si rivela la più forte e organizzata d'Europa, l'unica che riesca a liberare con le proprie forze l'intero paese (con l'eccezione di Belgrado, a cui contribuisce l'Armata Rossa). Questi due aspetti sommati rendono il caso jugoslavo molto particolare, diverso sia dall'Italia o dalla Francia, dove pure la resistenza gioca un ruolo importante, sia dai paesi dell'Est, dove i partigiani devono sottostare all'esercito sovietico. L'enorme consenso di cui gode la leadership comunista jugoslava consente a Tito, nel 1948, di smarcarsi del tutto dal controllo sovietico. Tutto ciò rende la Jugoslavia un'esperienza storica unica: un paese socialista con ampie libertà (culturali, artistiche, economiche, di movimento...) e leader dei Paesi non allineati, un tentativo coraggioso di liberare molti stati di recente costituzione (soprattutto paesi in via di decolonizzazione) dalla “tutela” sovietica o statunitense. Ma questa è un'altra storia...
Per un “Giorno del ricordo” comune di Italia, Slovenia e Croazia
di Aldo Pirone Ieri è stato “Il giorno del ricordo” istituito per rammentare la tragedia delle Foibe e dell'esodo delle popolazioni italiane dall'Istria, dalla Dalmazia e da Fiume provocato dal nazionalismo comunista titino jugoslavo nel secondo dopoguerra.
Per ricordare quel dramma hanno parlato il Presidente Mattarella, la Presidente del Senato Casellati e quello della Camera Fico. Di solito la destra nazionalista e neofascista usa questa giornata per equipararla subliminalmente al “Giorno della memoria” che ci ricorda lo sterminio di sei milioni di ebrei fuori e dentro i lager nazisti e far dimenticare le responsabilità del fascismo nazionalista italiano nella feroce politica di snazionalizzazione contro le minoranze slovena e croata. E poi relegare nell'oblio la sua responsabilità nella guerra d’aggressione, assieme alla Germania di Hitler, contro la Jugoslavia, condotta a suon di stragi e deportazioni perpetrate dall’esercito italiano e dai nazisti contro partigiani e popolazioni civili sloveni e croati. I tempi in cui il generale Mario Robotti in quel di Lubiana rimproverava i suoi subalterni perché “Si ammazza troppo poco” e il suo superiore Mario Roatta intimava: “Il trattamento riservato ai ribelli non deve essere ‘dente per dente’, ma ‘testa per dente’ […] eccessi di reazione non verranno mai puniti”. Quest’anno la crisi di governo ha messo la sordina agli stridori nazionalisti e sovranisti degli anni scorsi. Ma il tentativo di imbrogliare le carte di quella tragedia storica e nazionale sul nostro confine orientale, non mancano. Le prime vittime di una memoria monca che non ha il coraggio di fare i conti con la storia integrale, sono proprio gli eredi degli infoibati dai titini e dei circa 300.000 esuli giuliano-istriano-dalmati costretti, nel dopoguerra, a lasciare le loro terre.
E quella storia integrale, in cui primeggia la responsabilità del nazionalismo fascista per aver creato il brodo di coltura della barbara vendetta del nazionalismo slavo e croato dell’esercito jugoslavo di Tito, bisognerebbe ricordarla, seppur per accenni. Non mi pare che stamane lo abbiano fatto il Presidente Mattarella, tanto meno la Casellati. Solo Fico ha ricordato che oggi “abbiamo tutti gli elementi per respingere senza esitazioni le tesi negazioniste o giustificatorie di quella persecuzione, purtroppo ancora presenti. Ciò non significa certo ignorare o sminuire le aberrazioni della politica di italianizzazione forzata delle popolazioni slave, condotta dal fascismo, e la ferocia criminale che ispirò la condotta delle forze nazifasciste in Jugoslavia. Verso di esse dobbiamo ribadire la più ferma condanna, in coerenza con la Costituzione che nasce sulla Resistenza e si fonda sui valori antifascisti". Malgrado questo giusto ricordo mi pare che si sia fatto un passo indietro rispetto a alla cerimonia comune del luglio scorso davanti alla Foiba di Basovizza e al monumento ai quattro giovani antifascisti slavi fucilati dai fascisti, quando Mattarella e il Presidente della Slovenia Pahor si tennero per mano in raccoglimento.
“La storia non è un racconto di parte: è testimonianza di ciò che è stato”, ha detto la Casellati, guardandosi bene dal ricordare quello che d’infame fece il nazionalismo fascista e italiano contro le popolazioni slovene e croate dell’Istria e della Dalmazia. Come se quella parte della memoria fosse separabile dalla storia integrale di ciò che successe a cominciare, quanto meno, da subito dopo la conclusione della Grande guerra quando Mussolini proclamava il 20 settembre del 1920 al Teatro Ciscutti di Pola: “Abbiamo incendiato la casa croata di Trieste, l’abbiamo incendiata a Pola […] Di fronte a una razza come la slava, inferiore e barbara, non si deve seguire la politica che dà lo zuccherino, ma quella del bastone. […] Il nostro imperialismo vuole raggiungere i giusti confini segnati da Dio e dalla natura, e vuole espandersi nel Mediterraneo. Basta con le poesie. Basta con le minchionerie evangeliche”. Un programma puntualmente e ferocemente attuato per oltre vent’anni.
Ben diverso fu il ricordo che il Presidente Ciampi fece alla prima celebrazione del “Giorno del ricordo” nel 2005. “Il mio pensiero – disse - è rivolto con commozione a coloro che perirono in condizioni atroci nelle Foibe, nell'autunno del 1943 e nella primavera del 1945; alle sofferenze di quanti si videro costretti ad abbandonare per sempre le loro case in Istria e in Dalmazia. Questi drammatici avvenimenti formano parte integrante della nostra vicenda nazionale; devono essere radicati nella nostra memoria; ricordati e spiegati alle nuove generazioni. Tanta efferatezza fu la tragica conseguenza delle ideologie nazionalistiche e razziste propagate dai regimi dittatoriali responsabili del secondo conflitto mondiale e dei drammi che ne seguirono”.
Il fatto è che Italia, Slovenia e Croazia dovrebbero stabilire un “Giorno del ricordo” comune, per rammentare insieme tutte le vittime del fascismo e dei rispettivi nazionalismi e la storia che li produsse. Solo così si potrebbe parlare di memoria condivisa e solo così le vittime italiane sarebbero veramente onorate sottraendole alle strumentalizzazioni di chi vorrebbe rinfocolare quel nazionalismo che fu il loro carnefice.
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di Aldo Pirone - Ieri è stata la giornata del ricordo. Ci ha rammentato la tragedia di tanti italiani del confine orientale. Sia quelli, circa settemila, vittime del nazionalismo jugoslavo uccisi e gettati nelle foibe nel ’43 e nel ‘45 sia quelli che furono costretti a diventare profughi per non sottostare al regime comunista di Tito nel dopoguerra. Come al solito, la giornata, invece di essere occasione di rammentare il fatto e l’antefatto storico che produssero quella tragedia, è stata sporcata dalle strumentalizzazioni degli eredi del fascismo nazionalista che in quelle terre giuliane, istriane e dalmate ne combinarono di tutti i colori innescando la vendetta nazionalista titina. Il Presidente Mattarella ha detto che “oggi il vero avversario da battere, più forte e più insidioso, è l’indifferenza che si nutre spesso della mancata conoscenza”. A suo tempo, all’indomani dell’istituzione della ricorrenza da parte del Parlamento, il Presidente Ciampi, a proposito di mancata conoscenza, ebbe il coraggio di ricordare: “Questi drammatici avvenimenti formano parte integrante della nostra vicenda nazionale; devono essere radicati nella nostra memoria; ricordati e spiegati alle nuove generazioni. Tanta efferatezza fu la tragica conseguenza delle ideologie nazionalistiche e razziste propagate dai regimi dittatoriali responsabili del secondo conflitto mondiale e dei drammi che ne seguirono. Tutti i popoli europei ne hanno pagato il prezzo”. Diciamo che fu un po’ più preciso su responsabilità e cause di quella tragedia.
Alla fine della guerra mondiale, esodi di popolazione in Europa non ci furono solo nel nostro confine orientale, ce ne furono anche fra Polonia e Germania, fra Cecoslovacchia e Germania, per ricordare quelli più consistenti. Circa sei milioni di tedeschi lasciarono le terre divenute polacche per effetto dello spostamento dei confini della Polonia a ovest stabilito dalla Conferenza Potsdam. Ma, a parte questo, quello che la destra neofascista, nazionalista e sovranista, nostrana non vuole ricordare, anzi vuole proprio nascondere, è quel che fece l’Italia fascista sul confine orientale nei confronti di slavi e croati. Sia durante il ventennio mussoliniano, sia, e ancor più, con l’aggressione alla Jugoslavia, l’occupazione e l’annessione forzata di terre slovene e croate. Ieri sera su Rai Storia qualcosa in questo senso è stato ricordato. Il gen. Robotti, per dire, comandante dell’XI corpo d’armata italiano in Slovenia e Croazia nel 1942, rimproverava i suoi ufficiali dicendo “Si ammazza troppo poco”. Si riferiva alla repressione della resistenza di partigiani e civili jugoslavi in corso. Repressione che ci fu e fu spietata: trecentomila slavi, croati e montenegrini eliminati con stragi ed eccidi di popolazioni inermi.
Di solito i fascisti del terzo millennio per nascondere le loro vergogne tentano di mettere sullo stesso piano foibe e campi di sterminio nazisti. Mentre, invece, le foibe vanno messe in relazione politica, qualitativa e quantitativa, al vero e proprio genocidio compiuto dall’Italia fascista in Jugoslavia. Si dice che sulle foibe ci sia in giro del “negazionismo”. Com’è noto, la madre dei cretini è sempre incinta. Anche se sembra che di questi tempi salviniani ne partorisca di più nel campo dei negazionisti dei campi di sterminio nazisti. Ma il punto storico e politico è un altro. Finché non ci sarà un’unica giornata del ricordo che metta insieme il fatto e l’antefatto e tutte le vittime dei contrapposti nazionalismi che insanguinarono il nostro confine orientale, gli italiani infoibati dai titini non avranno pace. Saranno solo utilizzati dal neo fascismo nazionalista e sovranista italiano per rinfocolare quel nazionalismo nero di cui in parte furono vittime. E’ su questo che i democratici e gli antifascisti dovrebbero concentrarsi dall’una e dall’altra parte del confine orientale se veramente si vuole eliminare alla radice ogni finto ricordo, ogni bieca strumentalizzazione di poveri morti per mano titina.
Altrimenti le vittime delle foibe continueranno a essere non dimenticate ma uccise di nuovo a ogni ricorrenza.
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di Aldo Pirone - Ieri era la “Giornata del ricordo”. Com’è noto il Parlamento italiano la istituì nel 2004 venendo incontro all’esigenza di mettere fine a una reticenza e a una certa colpevole ambiguità e rimozione storica di ciò che avvenne nelle terre dell’Istria e della Dalmazia dove la fine della guerra e la sconfitta del nazifascismo si confusero con un’esplosione di vendetta nazionalista da parte dei partigiani di Tito nei confronti degli italiani perché tali, senza distinzione alcuna fra fascisti e antifascisti. Simbolo di questa vendetta furono le foibe dove furono gettate molte migliaia di persone (circa 12.000) di etnia italiana decedute nei campi di concentramento o assassinate dai titini; alcune di queste vittime furono “infoibate” ancora vive. A ciò si aggiunse l’esodo penoso e drammatico di centinaia di migliaia di nostri connazionali (circa 350.000) costretti ad abbandonare le loro case e i loro averi in terre diventate jugoslave per riparare in Italia. I profughi giuliano-dalmati furono sistemati dai governi dell’epoca (diretti dalla DC) in campi di raccolta che avevano ben poco da invidiare a quelli di concentramento per prigionieri di guerra.
Le reticenze, le ambiguità e la rimozione storica, da parte di quasi tutto l’antifascismo italiano, di quella tragedia frutto dell’odio nazionalista fu, in parte, anche conseguenza della “Guerra fredda” che vi allungò le sue ombre. Dopo la rottura fra Tito e Stalin del 1948, l’Italia, entrata a far parte del Patto Atlantico e della Nato, mise in sordina, per ragioni geopolitiche, quel che avevano combinato i partigiani comunisti titini; e gli jugoslavi, simmetricamente, affievolirono la richiesta di consegnare loro i criminali di guerra italiani che avevano commesso stragi ed eccidi durante la guerra di occupazione nazifascista. I comunisti del Pci, dal canto loro, considerarono per lungo tempo i profughi come tutti complici delle gesta fasciste e, in un primo momento, come dei nazionalisti da guardare con sospetto perché fuggivano dal socialismo titino. Per un certo periodo, a testimonianza della divisione esistente fra comunisti di diversa etnia e affiliazione politica, nella zona di Trieste esistettero addirittura ben tre partiti comunisti: quello che si rifaceva al Pci e, fra la minoranza slovena, uno di rito cominformista-staliniano e uno titino.
Occorre tuttavia costatare che durante la “gGuerra fredda” il confine orientale dell’Italia fu contrassegnato da buoni rapporti con la Jugoslavia titina e fu considerato un confine aperto tra nazioni a diverso regime sociale a differenza della restante “cortina di ferro”, come la definì Churchill nel ’46, che divideva l’Europa occidentale da quella orientale e comunista. Nel 1975 questa situazione più positiva ebbe come sbocco il Trattato di Osimo (governo Moro) in cui Italia e Jugoslavia si accordarono definitivamente sui rispettivi confini in Istria. Poi intervenne, nei primi anni ’90, la dissoluzione della Jugoslavia titina con tutto il seguito nazionalistico di orribili guerre e pulizie etniche che sappiamo e che, però, non ebbero conseguenze di rilievo sul nostro confine orientale. La Slovenia è entrata nell’Ue il 1° maggio del 2004.
E' più che giusto, perciò, che la Repubblica antifascista, anche se con colpevole ritardo, abbia cercato di mettere fine ai “non ricordo”. Il primo Presidente della Repubblica chiamato a celebrare la data del 10 febbraio fu Ciampi che disse parole storicamente chiare sulle sfondo di responsabilità per quegli eccidi: “Questi drammatici avvenimenti formano parte integrante della nostra vicenda nazionale; devono essere radicati nella nostra memoria; ricordati e spiegati alle nuove generazioni. Tanta efferatezza fu la tragica conseguenza delle ideologie nazionalistiche e razziste propagate dai regimi dittatoriali responsabili del secondo conflitto mondiale e dei drammi che ne seguirono”.
Nel 1993 Slovenia e Italia (governo Ciampi) avevano già istituito una commissione mista storico culturale che dopo sette anni di lavoro produsse una relazione comune sulla storia difficile di quelle terre e delle reciproche ingiustizie nazionaliste subite per quasi un settantennio (1880-19450) da italiani e sloveni. Quel documento, purtroppo, non è stato valorizzato. Potrebbe ancora originare una comune “giornata del ricordo” che sarebbe un vero atto di condivisione della memoria, almeno fra italiani e sloveni. Chi non ha alcun diritto di farsi vessillifero, nella "giornata del ricordo", di una tragedia da loro stessi in gran parte provocata sono gli antichi eredi del fascismo e i moderni nazionalisti-sovranisti italiani. A costoro, come sempre, occorre rinfrescare la memoria. Nel primo dopoguerra il fascismo italiano in quelle terre di confine ne combinò di tutti i colori contro slavi e croati che erano etnie maggioritarie nei contadi che circondavano le città istriane e dalmate a maggioranza italiana come Trieste, Fiume, Pola. L’italianizzazione fu perseguita spietatamente. I fascisti abolirono nelle scuole l’insegnamento delle lingue croata e slovena. Tutti gli insegnanti croati e sloveni furono sostituiti con insegnanti italiani. Furono imposti d’ufficio nomi italiani a tutte le centinaia di località dei territori assegnati all’Italia col Trattato di Rapallo, anche laddove precedentemente prive di denominazione in lingua italiana, in quanto abitate quasi esclusivamente da croati o sloveni. Decine di migliaia di sloveni e croati furono obbligate a italianizzare i loro cognomi. Gli impieghi pubblici furono assegnati solo agli italiani.
Durante la guerra fascisti e nazisti trucidarono senza pietà civili e partigiani jugoslavi, misero a ferro e fuoco numerosi villaggi, attuarono rappresaglie ed eccidi feroci. Per esempio il generale Roatta, quello che l’8 settembre del ’43 scappò con il re e Badoglio, lasciando Roma e l’Italia in balìa dei tedeschi, ordinava ai militari italiani: “il trattamento da fare ai ribelli non deve essere sintetizzato nella formula dente per dente, ma bensì da quella testa per dente”. Il generale Mario Robotti, da parte sua, comandante dell’XI Corpo d’Armata nella zona di Lubiana raccomandava: “internamento di tutti gli sloveni per rimpiazzarli con gli italiani” per “far coincidere le frontiere razziali e politiche” e poi “esecuzione di tutte le persone responsabili di attività comunista o sospettate tali”. Infine si lamentava: “Si ammazza troppo poco!”. Dopo l’8 settembre del ’43 le province di Udine, Gorizia, Trieste, Pola, Fiume, furono prese nelle amorevoli cure amministrative dirette, con l’assenso dei fascisti repubblichini, dal gauleiter nazista Friedrich Reiner. Stessa cosa, per altro, i “patrioti” di Mussolini fecero con quelle di Bolzano, Trento e Belluno consegnate direttamente ai tedeschi. Tutto ciò forse giustifica ciò che fecero i titini? Assolutamente no. Ma non consente agli eredi del fascismo italiano di ergersi, sotto qualsiasi forma e in qualsiasi luogo d’Italia, a difensori delle popolazioni italiane e dei profughi dell’Istria e della Dalmazia che subirono le conseguenze terribili delle politiche di odio nazionalista e delle efferate mascalzonate dei fascisti. Il 20 settembre del 1920 Mussolini, parlando a Pola, elencò prima le nobili imprese fasciste: “Qual è la storia dei Fasci? Essa è brillante! Abbiamo incendiato l’Avanti! di Milano, lo abbiamo distrutto a Roma. Abbiamo revolverato i nostri avversari nelle lotte elettorali. Abbiamo incendiato la casa croata di Trieste, l’abbiamo incendiata a Pola…”; poi disegnò la politica sciovinista e nazionalista che in seguito avrebbe spietatamente attuato in quelle terre di confine: “Di fronte ad una razza inferiore e barbara come la slava […] non si deve seguire la politica che dà lo zuccherino, ma quella del bastone. I confini dell’Italia devono essere il Brennero, il Nevoso e le Dinariche: io credo che si possano sacrificare 500.000 slavi barbari a 50.000 italiani”.
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L’evento promosso dall’ANPI Ceccano dal nome “Le foibe e i confini orientali” con relatore il dott.Valerio Strinati, di cui qui riportiamo resoconto ed alcuni interventi, ha visto una grande presenza dei cittadini ceccanesi e non, che hanno partecipato attivamente per tutto il corso dell’evento, condividendo riflessioni e punti di vista sui tragici fatti di cui si è discusso. Su un tema spesso dimenticato, oscurato e falsato volgarmentge il neo costituito comitato dell'Anpi di Ceccano, presieduto da Gianluca Popolla, si è impoegnato con coraggio a ricostriure un'informazione storica dettagliata e con forte spirito critico e autocritico. Qui riportiamo una nota dellp'Anpi di Ceccano e gli interventi che ci sono giunti di Daniela Mastracci, Alessandra Tomassi e Angelino Loffredi. unoetre.it ha voluto corredare questo impegnativo lavoro con la ricerca di un video che accompagna bene lo spirito di ricerca del Comitato Anpi di Ceccano. (cliccare sui nomi per leggere i testi corrispondenti, sono nella successione in cui sono intervenuti)
ANPI Ceccano
D. Mastracci
A. Tomassi
A. Loffredi
Un video
Nota dell'Anpi di Ceccano - In data 15 marzo si è tenuto presso il Cinema Italia l’evento promosso dall’ANPI Ceccano dal nome “Le foibe e i confini orientali” con relatore il dott.Valerio Strinati. Con sorpresa ed orgoglio siamo lieti di sottolineare la grande presenza dei cittadini ceccanesi e non, che hanno partecipato attivamente per tutto il corso dell’evento, condividendo riflessioni e punti di vista sui tragici fatti ad oggetto dell’evento; a loro va il nostro più sentito ringraziamento.
L’evento è stato introdotto dal Presidente Gianluca Popolla che, dopo i ringraziamenti al direttivo e agli iscritti per l’elezione, ha posto l’accento su ciò che significa far parte dell’ANPI e di come ci sia bisogno di impedire e condannare pratiche come quelle dell’uso politico della storia e della costituzione, in quanto entrambe devono essere patrimonio comune e non bandiera da sventolare in periodo di elezioni. Infine il presidente ha voluto dedicare questa giornata al compianto e mai dimenticato Marcello Tucci, già consigliere comunale ed esempio e sprone per l’attività politica di molti giovani.
La parola è poi passata al dottor Valerio Strinati che ha inquadrato con rara precisione il fenomeno delle Foibe e più in generale della situazione dell’Istria e della Dalmazia prima, durante e dopo il secondo conflitto mondiale. “La storia non può essere costruita solo con le testimonianze che, sebbene siano importanti, non possono mirare ad un’oggettività storica per la quale occorrono studi transfrontalieri e mai limitati ai propri confini.” Queste le parole del relatore che fa riferimento alla relazione della professoressa Marta Verginella, presentata alla tavola rotonda che l’ANPI Nazionale ha sviluppato sul tema lo scorso Gennaio.
L’intervento successivo della professoressa Daniela Mastracci ha posto l’accento sul concetto di vittima e sulla relazione che la legge 92/2004 (con cui si istituisce la giornata della memoria per le vittime delle foibe) pone tra vittima e carnefice: “La relazione così posta con l’uso del sostantivo vittima implica l’altro lato, cioè quello del carnefice. Questo uso terminologico non è scevro da implicazioni psicologiche ma soprattutto morali” [..] “Essa toglie a priori la possibilità della reciproca comprensione, del guardarsi l’un l’altro, del leggere attraverso un confine che non è assoluto, una volta e basta. Che non preveda e implichi una complessità dovuta già solo al Tempo e allo Spazio della relazione medesima”.
Alla contestualizzazione ed all’analisi delle cause del fenomeno in questione è volta la riflessione del membro ANPI Alessandra Tomassi: “In queste ricorrenze ed iniziative, non si riflette mai sulla pericolosità dei nazionalismi, alla cui base vi è sempre il seme del razzismo; non si accenna mai al modo in cui il cosiddetto "fascismo di frontiera" seminò e fomentò l'antislavismo ancor prima che si instaurasse il regime fascista; non si ricorda mai la violenta opera di snazionalizzazione degli slavi attuata dal regime fascista con cui le lingue slovena e croata vennero eliminate dalle scuole italiane, la chiusura di quelle gestite dalle due etnie, il modo in cui vennero devastati e chiusi circoli culturali e sportivi. La soppressione di biblioteche, cooperative economiche e istituzioni finanziarie. L'eliminazione arbitraria di partiti politici e stampa slavi.”
Il già sindaco Angelino Loffredi si è soffermato sulle vicende di Porzus. “Nei giorni che vanno dal 7 al 18 febbraio 1945 alcuni partigiani della seconda Divisione Garibaldi, organizzazione militare di ispirazione comunista, in luoghi diversi uccidono un numero imprecisato di partigiani appartenenti alla Brigata Osoppo.”[..] “E’ il 7 febbraio 1945 quando Mario Toffanin con altri partigiani appartenenti alla Garibaldi risale le pendici dei monti Topli-Uork, dove si trova il Quartiere Generale della Brigata Osoppo. Con un sotterfugio disarmano il comandante della brigata, il capitano degli alpini Francesco de Gregori, zio del cantautore, lo ammazzano con altre tre persone, compresa la Turchetti. Altri Osovani fuggono, alcuni feriti, come Guido Pasolini, altri vengono presi prigionieri e successivamente portati in località Bosco Romano.” Ulteriori considerazioni sono poi fatte in relazione alla denuncia del Mario Toffanin nei confronti dei produttori del film “Porzus” che si poneva lo scopo di narrare la suddetta vicenda storica.
E’ poi intervenuto l’assessore ai rapporti con le associazioni Mario Sodani che ha portato i saluti dell’amministrazione comunale ed ha incentrato il suo intervento sull’importanza di evitare l’uso politico della storia e di costruire un percorso comune nel senso dell’obiettività storica e dell’eterogeneità della discussione sui fatti che colpirono l’Italia nel secondo conflitto mondiale. Ha concluso l’evento l’intervento del presidente provinciale ANPI Giovanni Morsillo: “L’ANPI non è certo interessata ad una macabra contabilità delle atrocità, sebbene questa penderebbe enormemente a svantaggio del regime sanguinario di Mussolini, sia durante l’occupazione nazista di cui fu complice mai pentito, sia prima, nel ventennio della repressione e del terrore in quella che con estremo sprezzo della decenza, si ostinavano a chiamare patria. Ma se si vuole infangare la Resistenza enfatizzando episodi violenti accaduti nel clima infame della guerra (dopo la cessazione ufficiale delle ostilità non termina per decreto anche l’odio che le torture e le esecuzioni hanno seminato per anni) l’ANPI ribadisce che non c’è proporzione fra un sistematico uso della crudeltà e del terrorismo ed azioni arbitrarie e fuori dalla legalità bellica commesse in aree particolarmente critiche come il confine orientale.”
Ringraziando nuovamente tutti i partecipanti, il relatore Valerio Strinati e l’amministrazione nella persona dell’Assessore Mario Sodani, ci impegniamo a dar vita ad altre iniziative come questa, che siano tese all’analisi il più possibile obiettiva del passato inteso come chiave di lettura del presente e base imprescindibile per il futuro dei nostri figli, dei nostri nipoti. Si ricorda che la sezione comunale di Ceccano dell’ANPI è aperta alla massima partecipazione dei cittadini di qualsiasi estrazione culturale, sociale e politica che si riconoscano nei principi fondamentali stabiliti dall’art.23comma2 dello Statuto che afferma: “Possono altresì essere ammessi come soci con diritto al voto[..]coloro che, condividendo il patrimonio ideale, i valori e le finalità dell’A.N.P.I., intendono contribuire, in qualità di antifascisti, ai sensi dell’art. 2, lettera b), del presente Statuto, con il proprio impegno concreto alla realizzazione e alla continuità nel tempo degli scopi associativi..”
ANPI Ceccano
di Daniela Mastracci - FOIBE È blasfemo, è indice di cattiva coscienza usare le tragedie delle vittime per fini politici attuali. Quando, molti anni fa, scrissi sul Corriere dei crimini delle foibe, nessuno dei tanti che oggi se ne sciacquano la bocca vi prestò la minima attenzione, perché in quel momento quei crimini e le loro vittime non servivano ad alcuna propaganda politica. Una cosa è certa: se oggi possiamo tutti parlare liberamente di Risiera e di foibe, esprimendo le opinioni politiche più diverse e contrastanti, lo dobbiamo al 25 aprile, alla Resistenza, alla Liberazione che ha ridato a tutti i cittadini, di destra, di centro e di sinistra, la democrazia e la libertà. ( Claudio Magris)
Legge 30 marzo 2004, n. 92 (Governo Berlusconi dal giugno 2001 all’aprile 2005) "Istituzione del «Giorno del ricordo» in memoria delle vittime delle foibe, dell’esodo giuliano-dalmata, delle vicende del confine orientale e concessione di un riconoscimento ai congiunti degli infoibati" pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 86 del 13 aprile 2004 ________________________________________ Art. 1. 1. La Repubblica riconosce il 10 febbraio quale «Giorno del ricordo» al fine di conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell’esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale. 2. Nella giornata di cui al comma 1 sono previste iniziative per diffondere la conoscenza dei tragici eventi presso i giovani delle scuole di ogni ordine e grado. È altresì favorita, da parte di istituzioni ed enti, la realizzazione di studi, convegni, incontri e dibattiti in modo da conservare la memoria di quelle vicende. Tali iniziative sono, inoltre, volte a valorizzare il patrimonio culturale, storico, letterario e artistico degli italiani dell’Istria, di Fiume e delle coste dalmate, in particolare ponendo in rilievo il contributo degli stessi, negli anni trascorsi e negli anni presenti, allo sviluppo sociale e culturale del territorio della costa nord-orientale adriatica ed altresì a preservare le tradizioni delle comunità istriano-dalmate residenti nel territorio nazionale e all’estero.
L’intestazione della legge, nonché l’articolo 1, prevedono il sostantivo “vittima”: intendo soffermarmi brevemente su questo specifico punto e portare avanti una riflessione che si interroghi sulle implicite implicazioni del sostantivo in questione. L’articolo 2 si sofferma su iniziative da tenere nelle scuole con il fine di “diffondere la conoscenza...conservare la memoria” relativa alla tragedia delle Foibe. Toccherò anche questo punto perché connesso alla riflessione sulla “vittima”.
VITTIMA 1.Essere vivente, animale o uomo, consacrato e immolato alla divinità 2.Chi perisce in una sciagura, in una calamità, in seguito a gravi eventi o situazioni: 3.Chi soccombe all’altrui inganno e prepotenza, subendo una sopraffazione, un danno, o venendo comunque perseguitato e oppresso 1.Sono stati immolati a una qualche divinità? 2.Calamità naturali? GUERRA? Eventi gravi? 3.Sopraffati, perseguitati, oppressi? 1.Non parliamo più di Olocausto perché l’esser vittima nel senso del sacrificio legittima la morte come finalizzata ad un Essere Superiore, oltreumano, dunque non giudicabile dall’umano. 2.Non ci sono state calamità naturali. C’era la guerra, la seconda guerra mondiale, c’era il fascismo e l’antifascismo, c’era la germanizzazione e l’italianizzazione forzata, c’era la volontà di un’egemonia politica, sociale, linguistica che azzerasse la differenza costringendo l’altro a divenire altro da sè, estraneo a se stesso, annullato, espropriato della sua storia, tradizioni, cultura. C’erano eventi gravi che hanno preceduto di molto la guerra stessa perché risalgono alla prima guerra mondiale, ai confini ridisegnati, alle etnie non rispettate, alla carta geografica d’Europa, specie l’Europa balcanica, decisa senza il rispetto del principio dell’autodeterminazione dei popoli: la questione balcanica non si riduce né a prima del secondo conflitto mondiale né alla Jugoslavia di Tito né alla seconda metà del secolo scorso: terra dilaniata da odi profondi, contrasti religiosi, etnici, che sono sfociati in guerre fino a pochi anni fa. Un contesto ben più ampio degli anni 1943-45. E’ stato studiato questo contesto? Lo si conosce? E il contesto che abbraccia Italia assieme ai Balcani? Si può davvero ritenere saputo tanto da farlo conoscere nelle scuole? Da conservarne al memoria? Oppure è una conoscenza solo presunta, fatta per accenni, e soprattutto decontestualizzata perché appunto rivolta alla celebrazione della “vittima”? 3.Barbarie, tirannide? Vendetta? Ritorsione? C’è una consequenzialità leggibile, trasparente, interamente nota? E’ stata fatta questa analisi? C’è stato un interrogarsi adeguato alla gravità stessa degli eventi così come si narrano? E se c’è stata ha compreso entrambi i lati di questa presunta relazione vittima-carnefice? La relazione così posta con l’uso del sostantivo “vittima” implica l’altro lato, cioè quello del “carnefice”. Questo uso terminologico non è scevro da implicazioni psicologiche ma soprattutto morali, dato il contesto storico cui si riferisce. Fa di una parte l’innocente abusato e ucciso, il Bene; fa dell’altra parte il carnefice crudele, l’aguzzino, il mostro, il Male. Una polarità esplosiva. Essa toglie a priori la possibilità della reciproca comprensione, del guardarsi l’un l’altro, del leggere attraverso un confine che non è assoluto, una volta e basta. Che non preveda e implichi una complessità dovuta già solo al Tempo e allo Spazio della relazione medesima: se si tratta di Storia essa è un accadere nel tempo e nello spazio: sia l’una coordinata che l’altra sono mutamento, divenire, eventi plurali, politiche di dominio, espansione, affermazione di sé, dispiegamento di forze che si intrecciano negli scontri, che permeano ciascuna l’altra, un fluido cangiante. Fissare la relazione estremizzando, polarizzando, è di per sé una lettura che non rende conto della complessità, che esaurisce dinamiche diacroniche e sincroniche in una contraddizione immobile. Eppoi strumentale: perché posizionandosi la vittima dalla sua parte, eleva a giusto il suo proprio e non discusso punto di vista, la sua propria condizione di innocenza e subalternità, puntando il dito severo sul colpevole-carnefice, senza appello, senza più alcuna interrogazione, fermi in un giudizio insindacabile che fa “bloccare” la storia, la cristallizza, ne fa un morto. E di quel cadavere si fa la celebrazione. Ma se tale resta, celebra ancora e soltanto l’odio, quello stesso che avrebbe prodotto la vittima: è come se la cancrena che vorrebbe ricordare ritrovasse in quel ricordo l’energia vitale per riproporsi. Non una soluzione, quindi, ma la riproposizione del problema. E dal suo punto di vista, dove è stato messo da una narrazione astratta e unilaterale, il carnefice tenderà a difendersi dall’accusa, estremizzando dal suo lato la distanza, la differenza, l’alterità. Giustificando sé non farà altro che accusare chi lo accusi. Una circolarità viziosa elevata a giornata del ricordo.
di Alessandra Tomassi - Sento il dovere di aprire questo breve intervento sottolineando l'importanza di aver costituito, anche a Ceccano, una sezione ANPI. Vuole questo essere un luogo di incontro con la storia e la memoria, una spinta motivazionale necessaria allo studio, al recupero e alla condivisione di esse. Proprio quest'opera di recupero ci permette, in questo nostro primo incontro, di trattare un argomento spesso dimenticato se non addirittura omesso. A tal proposito voglio ringraziare gli organizzatori ed i relatori che intervenendo cercheranno di far luce su vicende ed accadimenti per molti ancora oscuri. Perché si cerca oggi qui di raccontare un capitolo di storia che ci è stato di fatto sottratto, spesso nemmeno accennato nei libri di scuola. In un tale vuoto è stato fin troppo facile gettare confusione e soprattutto attuare pericolose strumentalizzazioni. Nonostante il tempo a volte scarseggi, ho provato, armandomi di buona volontà, ad orientarmi nel mare di informazioni e tesi contrastanti riguardanti le vicende legate agli "infoibamenti". La storia, però, risulta talmente intrecciata ad interessi ed equilibri geopolitici, talmente revisionata e manipolata, da confondere chiunque si avvicini ad essa senza un approccio scientifico-analitico. Ci ho provato comunque, ad accostarmi a questa ricerca con spirito critico e a liberarmi dal timore di voler inconsciamente trovare una giustificazione per quanto accaduto.
L'uso strumentale che viene fatto della ricorrenza Ma l'uso strumentale che viene fatto della ricorrenza della "giornata del ricordo" in alcuni ambienti politici è evidente, specie quando si parla di "martirio degli italiani compiuto dai partigiani comunisti" . Una semplificazione inaccettabile vista la complessità dei fatti. E che in tali celebrazioni e iniziative si faccia leva su sentimenti patriottici, strumento per eccellenza di cui gli stati nazionalisti si servono per persuadere il popolo ad ammettere qualsiasi forma di prevaricazione , è addirittura una beffa. Trovo inaccettabile che non si forniscano informazioni circa le origini delle tensioni tra popolo italiano e slavo. Non vedo una genuina volontà di esercitare la memoria storica quando, in occasione del 10 febbraio o nell'ambito di iniziative dedicate all'argomento, si generalizza lasciando intendere che le vittime rinvenute nelle foibe fossero tutte di nazionalità italiana e che i loro carnefici fossero tutti comunisti jugoslavi. Le foibe sono state usate come tombe sin dal 1919, quando, al termine della prima guerra mondiale, vi era la necessità di scongiurare il rischio di epidemie. Si sorvola sul fatto che durante lo stesso regime fascista innumerevoli furono gli sloveni, i croati e gli antifascisti italiani gettati in quelle cavità. Si fa confusione nel conteggio delle vittime del "martirio delle foibe", e su luoghi della memoria come, ad esempio, la Foiba di Basovizza, in cui finirono i cadaveri dei militari nazisti rimasti uccisi durante i bombardamenti alleati. L'unico italiano "infoibato" risulta, difatti, essere un volontario dell' Ispettorato Speciale di Pubblica Sicurezza per la Venezia Giulia , che aveva sede nella famigerata "Villa Triste" di via Bellosguardo, dove le grida dei torturati si udivano fino in strada. Vedo piuttosto la volontà di seminare rancore tra italiani, sloveni e croati e ridare vita ad odî etnici e sentimenti nazionalistici ormai superati. In queste ricorrenze ed iniziative, non si riflette mai sulla pericolosità dei nazionalismi, alla cui base vi è sempre il seme del razzismo; non si accenna mai al modo in cui il cosiddetto "fascismo di frontiera" seminò e fomentò l'antislavismo ancor prima che si instaurasse il regime fascista; non si ricorda mai la violenta opera di snazionalizzazione degli slavi attuata dal regime fascista con cui le lingue slovena e croata vennero eliminate dalle scuole italiane, la chiusura di quelle gestite dalle due etnie, il modo in cui vennero devastati e chiusi circoli culturali e sportivi. La soppressione di biblioteche, cooperative economiche e istituzioni finanziarie. L'eliminazione arbitraria di partiti politici e stampa slavi. L'esproprio indebito attuato verso piccoli industriali e artigiani spogliati di ogni loro avere. Mai si fa riferimento ai provvedimenti attuati dal regime fascista al fine di eliminare gli strati superiori della società slovena con lo scopo di relegare il popolo slavo nei ceti più bassi della società e di favorire gli stereotipi razziali sloveno=rozzo,campagnolo, razza inferiore e italiano= cittadino, razza superiore. Una presunta superiorità razziale servì, com'è noto, a giustificare la politica imperialista del fascismo e quindi anche l'aggressione militare dell'Italia contro la Jugoslavia nel 1941 e la sua occupazione da parte di truppe italiane prima e tedesche poi.
La rabbia ed il suo utilizzo Naturalmente, con la cacciata dei nazisti ad opera di partigiani e alleati, ci fu chi seppe sfruttare i sentimenti di rabbia causati da vent'anni di oppressione fascista. Fu così che il nascente regime titino sfruttò a suo favore il risentimento delle popolazioni slave nei confronti dello stereotipo dell'italiano-fascista intrecciandovi anche sentimenti di rivoluzione sociale; servendosene, inutile negarlo, per giustificare quella che viene definita "epurazione preventiva dei nemici del popolo". Il meccanismo è sempre quello: trovare un nemico all'interno di una società, fomentare l'odio e la paura verso di esso e sulla spinta di tali sentimenti ottenere il benestare per attuare qualunque folle disegno. Sull'utilizzo di questo meccanismo credo sia importante riflettere, dal momento che viene sfruttato ancora oggi da alcune forze politiche in Italia e nel mondo per conquistare consensi e voti. Nonostante il grande vantaggio che abbiamo oggi, rispetto alle generazioni che vissero i due conflitti mondiali, di un accesso facilitato alle informazioni, alla storia e più in generale alla cultura, persiste ancora una sorta di pigrizia mentale che porta una larga fetta di società a lasciarsi raggirare e manipolare da facili slogan. L'esercizio della memoria storica può proteggere la società dal rischio ancora vivo di essere divisa da sentimenti di odio e paura. Per questo è importante la partecipazione attiva ad iniziative come quella odierna. Concludo questa breve,semplice e se vogliamo anche scontata riflessione, ringraziandovi per avermi dato la possibilità di condividerla con tutti voi. La partecipazione a questi incontri arricchisce doppiamente, fornendo da un lato lo stimolo ad una personale ricerca e ad uno studio più approfondito della Storia, e dall'altro la possibilità di confrontarsi e migliorarsi grazie agli spunti ed alle riflessioni fornite dagli altri partecipanti. Grazie.
di Angelino Loffredi - Intendo partecipare a tale discussione riportando alcuni momenti di quello che viene chiamato l’eccidio di Porzus, provare a delinearne il contesto, oltre che le polemiche successive e i silenzi.
Di cosa si tratta ?In verità l’eccidio non avviene nella malga di Porzus ma nel comune di Faedis, allora in provincia di Udine, oggi in quella di Pordenone. In quella località si consumò il più atroce atto di sangue fra combattenti antifascisti. L’eccidio rappresenta il momento più tragico e doloroso di ostilità e divisione, fortunatamente l’unico, avvenuto durante la lotta di Liberazione.
Cosa avvenne ?Nei giorni che vanno dal 7 al 18 febbraio 1945 alcuni partigiani della seconda Divisione Garibaldi, organizzazione militare di ispirazione comunista, in luoghi diversi uccidono un numero imprecisato di partigiani( 16 o 20 ) appartenenti alla Brigata Osoppo, formazione militare vicina agli azionisti di Giustizia e Libertà e che vedeva presenti nelle proprie file anche cattolici, liberali e seguaci del generale Pietro Badoglio. Queste due formazioni operano nel territorio friulano sin dai mesi successivi all’8 settembre. Pur avendo ispirazioni ideologiche e politiche diverse riescono durante l’estate 1944 ad unificare i comandi militari creando la Divisione Osoppo Garibaldi e fronteggiare l’aggressività nazifascista. Quanto e in quale contesto avviene la rottura fra le due formazioni partigiane? E’ un susseguirsi di avvenimenti concatenati, a volte alimentati anche da paure e da sospetti che porta ad un corto circuito incontrollabile, e quindi alla tragedia. Velocemente indico momenti che ritengo essere stati decisivi a precostituire l’eccidio. Parto dal proclama del generale inglese Alexander, che, all’inizio dell’inverno 1944, invita le formazioni partigiane di tutta Italia a fermare le ostilità, rinunciare alla guerriglia e tornare a casa. Tale indicazione non viene rispettata. Tutto ciò avviene nel momento in cui sul territorio friulano si avvia una offensiva nazifascista. Da un’altra parte, al contrario, l’armata di liberazione Jugoslava rassicura i partigiani italiani, li accoglie aldilà dell’Isonzo, in territorio Jugoslavo, li rifornisce, proponendo l’ unificazione delle forze italiane con quelle Jugoslave. Solo che tale proposta viene accompagnata anche dalla pretesa che una parte del terrorio friulano, chiamata Slavia Friulana, a ridosso del confine sloveno, debba appartenere alla repubblica Jugoslava. Questa proposta non viene accolta dai militari della Osoppo mentre viene presa seriamente in considerazione dai vertici della Brigata Garibaldi che avrebbero sottoscritto un accordo segreto con il 9° Corpus Jugoslavo. Il clima di sospetto aumenta quando si diffonde la notizia che militari della Osoppo hanno avuto contatti con i soldati della repubblica di Salò, dai quali è stato proposto di partecipare a un Fronte unico contro lo slavo comunismo, per contrastare la presenza Jugoslava. Il dato vero è che pur essendoci stati contatti fra Osovani e uomini della X Mas, non esistono momenti di accordo operativo fra queste due componenti.
Si sviluppa, purtroppo, fra le forze della Resistenza il clima di sospetto, aggravato dalla presenza nel campo della Osoppo di una donna, chiamata Elda Turchetti, ritenuta, dal controspionaggio inglese, una spia dei tedeschi. Inoltre arrivano notizie del diverso trattamento riservato da parte dei nazifascisti verso i prigionieri appartenenti alle due formazioni. I garibaldini vengono fucilati immediata o torturati mentre agli ossovani si manifesta comprensione. Fra i garibaldini si evoca il tradimento. Secondo le direttive date dal Comitato di Liberazione Alta Italia in caso di tradimento è prevista la fucilazione. Sulla base di tale presunto e mai dimostrato tradimento della Osoppo avviene il massacro. E’ il 7 febbraio 1945 quando Mario Toffanin con altri partigiani appartenenti alla Garibaldi risale le pendici dei monti Topli-Uork, dove si trova il Quartiere Generale della Brigata Osoppo. Con un sotterfugio disarmano il comandante della brigata, il capitano degli alpini Francesco de Gregori, zio del cantautore, lo ammazzano con altre tre persone, compresa la Turchetti. Altri Osovani fuggono, alcuni feriti, come Guido Pasolini, altri vengono presi prigionieri e successivamente portati in località Bosco Romano, dove prima vengono interrogati e successivamente, in giorni diversi, fucilitati, compreso il fratello di Pasolini. Costui era stato fatto nuovamente prigioniero, forse per la delazione di una farmacista, alla quale si era rivolto per curare la ferita.
Il grave fatto di Porzus non avrà ripercussioni nazionali.Rimarrà invece vivo e presente fra le popolazioni del luogo. Il silenzio sulla vicenda da parte garibaldina favorisce il nascere di notizie esagerate e non vere: che il numero dei garibaldini partecipanti all’assalto sia di cento persone, cifra eccessiva. Che gli uccisi della Osoppo siano venti quanto invece sono sedici perché vengono conteggiati anche alcuni partigiani garibaldini uccisi dai nazisti. Insomma attorno alla vicenda si aprono ampi spazi di propaganda. Ritengo utile a tale proposito far conoscere il modo lacerante come il dramma viene vissuto da Pier Paolo Pasolini. Lo scrittore avverte da subito come il grave fatto di sangue si presti ad interpretazioni che colpiscano il prestigio della Resistenza. Ne è angosciato, diviso fra le ragioni che lo portano a sostenere le scelte del fratello e la difesa della Resistenza. In occasione del 3° anniversario della tragedia, scrive al direttore del Mattino del popolo, un giornale diffuso nel Veneto. Egli non accetta che, così scrive “ si debba trasferire tutto l’episodio senza limitazioni, su un piano di patriottismo in funzione antislava e anticomunista” L’intellettuale riconosce e scrive che” i comunisti preferiscono però passare sotto silenzio la questione. Tutto ciò è inaccettabile. I miei compagni comunisti farebbero bene, io credo ad accettare la responsabilità, prepararsi, a scontare, dato che questo è l’unico modo per cancellare la macchia rossa sul rosso della loro bandiera “ La tettera di Pasolini è del 1948, scritta alla vigilia della campagna elettorale. La richiesta di verità o di conoscere esaurientemente i fatti non ottiene alcuna risposta. Si conosce poco dello stesso Mario Stefanin. E’ un operaio padovano, comunista, che lascia l’Italia prima della guerra. Egli sin dall’inizio dell’ostilità militari combatte con i partigiani di Tito, poi nel 1944 si arruola con le Brigate Garibaldi. Non si è mai saputo chi gli ha dato l’ordine del massacro. Il gruppo creato da lui dura dal 2 fino al 17 febbraio. Compiuta la strage se ne perdono le tracce. Toffanin viene processato nel 1952 con 36 partigiani appartenenti al suo gruppo e condannato all’ergastolo, che non sconterà, perché nel frattempo si era rifugiato in Yugoslavia. Successivamente verrà graziato ma non tornerà in Italia. Il capitano De Gregori verrà insignito della medaglia d’oro alla memoria.
I processi costituiscono una pagina inquietante perché dominati dal clima dell’epoca, da caccia alle streghe contro i comunisti e contro la Resistenza, con testimoni d’accusa che negli anni successivi troveremo nell’associazione segreta Gladio o ai vertici militari. Nel luglio 1961 su Vie Nuove, settimanale comunista con il quale collabora Pier Paolo Pasolini, si riapre la scabrosa questione. Un lettore invita Pasolini a raccontare la morte del fratello. Il poeta accetta e lo fa riportando tutti i particolari che conosce. Conclude scrivendo “Io sono orgoglioso di lui ed è il il ricordo di lui, della sua generosità, della sua passione che mi obbliga a seguire la strada che seguo. Che la sua morte sia avvenuta così in una situazione complessa e apparentemente difficile da giudicare, non mi dà nessuna esitazione. Mi conferma soltanto nella convinzione che nulla è semplice, nulla avviene senza complicazione e sofferenze: e quello che conta soprattutto è la lucidità critica che distrugge le parole e le convinzioni, e va a fondo delle cose, dentro la loro segreta e inalienabile verità “Sono passati 16 anni dalla fine della guerra e su un giornale comunista un giornalista prende le parti del fratello Ossovano. E’ un fatto positivo ma la verità in tutti i particolari non viene fuori e ancora non emerge completamente. Al Festival di Venezia, il regista Martinelli, nel 1997 presenta il film Porzus, finanziato dal ministero della Cultura, per l’alto valore documentaristico. Appare il momento finale di questa storia ma non è finita. Mario Toffanin, denuncia la produzione per falsità e il magistrato dispone che sul film debba essere precisata la dicitura che esso è un film di fantasia e che non ha niente a che fare con fatti veramente accaduti. Insomma il film da una parte ha un valore storico documentale e da un’altra è fantasia: una vera maledizione. Il film non circola nelle sale cinematografiche. Ho provato a mettere insieme pezzi di tutta la vicenda e sicuramente mancheranno altri. Se debbo tirare una momentanea conclusione mi sento di dire che la posizione di Mario Toffanin è indifendibile. La fucilazione verso i traditori era prevista dalle indicazioni del Comitato di Liberazione Alta Italia ma per avvenire dovevano prima esserci un processo e una sentenza. Queste circostanze non emergono, lasciandomi pensare che ci troviamo di fronte da parte dello stesso ad una guerra privata.
Foibe: cause ed effetti
Questo video presente su youtube dal 27 luglio 2008 è stato scelto da unoetre.it come suo contributo all'opera di informazione storica svolta da questa iniziativa dell'Anpi di Ceccano
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dal Comitato ANPI - Provincia di Frosinone - Su invito dell’Istituto Tecnico Economico (già Ragioneria) di Ceprano, si è svolta ieri una conferenza dell’ANPI provinciale sul tema dei confini orientali e della vicenda delle foibe, cui hanno partecipato oltre sessanta studenti e studentesse delle classi terze, quarte e quinte. L’iniziativa ha avuto luogo nella Sala consiliare “Sandro Pertini”, luogo istituzionale per eccellenza e quindi idoneo per solennità e per simbolicità democratica. La conferenza ha trattato la questione delle terre del confine orientale italiano con un excursus storico-politico ampio, accennando alla formazione delle idee irredentiste già a partire dal 1866, fra la II e la III guerra d’Indipendenza, e proseguendo fino al 1960 con la fine delle migrazioni degli istriano-dalmati. Sono state illustrate, sia pure sinteticamente, le varie fasi che hanno interessato quell’area, con le sue anche notevoli estensioni al di qua e al di là a seconda degli esiti che le campagne militari registravano nel corso di un secolo (ad esmpio la provincia di Lubiana o l’Adriatische Kunstenland).
Le cause di una rimozione
Su questa ricognizione storica si è incentrato il ragionamento sulle cause della effettiva rimozione che questa parte di storia recente ha subìto per decenni. E’ stato posto l’accento sulla ferocia della dominazione dell’Italia fascista (ma anche pre-fascista) su quelle popolazioni, sia sul piano della repressione brutale e sanguinaria, sia su quello atroce della distruzione della loro identità e della loro cultura, a partire dal divieto di uso della lingua e dei nomi slavi di persone e città fino all’incendio delle strutture della cultura come teatri, biblioteche e circoli associativi. E’ stata offerta una valutazione critica anche delle diverse posizioni degli storici, che ancora oggi, anche per le difficoltà o impossibilità incontrate nel reperimento di documenti di archivi finora secretati, non hanno trovato una concordanza neppure sulle cifre dei vari massacri succedutisi. Contestualizzando i fatti, e illustrando quale fosse via via il clima in cui essi si sono prodotti, è stata rappresentata agli studenti una lettura il più possibile fedele alla verità degli avvenimenti e delle responsabilità, con l’obiettivo di far emergere la diffusissima mole di travisamenti, di vere e proprie falsificazioni, e di utilizzo strumentale e propagandistico di tragedie umane pesantissime. Abbiamo registrato una forte attenzione degli studenti, che al termine dell’esposizione hanno chiesto qualche chiarimento ed espresso la loro soddisfazione per l’attività svolta. Nel ringraziare le Autorità scolastiche ed in particolare le insegnanti che si sono impegnate per il progetto, l’ANPI auspica nuove proficue occasioni di collaborazione ed esprime il proprio compiacimento per l’accoglienza riservataci e per l’ottimo lavoro svolto a vantaggio degli studenti e della loro formazione critica.
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