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ANPI. Il convegno di studi sul tema degli stupri come arma di guerra

ANPI FROSINONE

Un convegno che segna una pietra miliare fra le iniziative dell'ANPI

di ANPI Frosinone
anpi BANDIERA 350 260 minIl convegno di studi sul tema degli stupri come arma di guerra organizzato dalla nostra Sezione di Frosinone e tenutosi sabato scorso presso il salone di rappresentanza della Provincia ha rappresentato un alto contributo alla formazione della nostra cultura politica e, con essa, della nostra capacità di intervenire con strumenti adeguati nel complesso impegno di realizzazione del programma civile prodotto dalla Resistenza e contenuto nella Costituzione.

Le relatrici ed i relatori, tutti competenti di alto profilo per conoscenza specifica dell'argomento e per eccellente capacità di trasmissione di contenuti ed analisi non sempre agevoli da recepire, hanno trattato l'argomento per aspetti diversi, ciascuno illustrando elementi particolari della genesi e delle conseguenze del fenomeno, partendo dal punctum dolens del nostro territorio, le violenze compiute dalle truppe coloniali francesi dopo lo sfondamento del fronte di Cassino, ma allargando la vista sia sul piano storico, sia sulla situazione attuale nei mille scenari di guerra che oggi colpiscono milioni di civili nel mondo. Non limitandosi ad una trattazione storicistica ma offrendo anche impegnativi orizzonti di riflessione teorica e di sistematizzazione di un pensiero critico sul tema e sulle questioni che pone.

Non sapremmo davvero compilare una graduatoria per importanza o per efficacia delle lezioni cui abbiamo assistito, nel silenzio totale dei presenti. Sappiamo però con certezza che questo è il metodo che vogliamo seguire ed il livello che pretendiamo dalle iniziative dell'ANPI, che non insegue propagandismi a buon mercato ma un impegno serio a comprendere.

La nostra gratitudine per chi ha portato la propria esperienza e la propria cultura al convegno è totale. La nostra ANPI è da sempre impegnata nel produrre occasioni di studio e di incontro, ed ha accumulato nel tempo un notevole bagaglio che ci consente di confrontarci con i temi più delicati sempre in modo concreto e rispettoso. Il rigore morale che contraddistingue l'eredità della Resistenza sarebbe solo un vezzo se non si nutrisse di consapevolezza dei propri limiti e insieme della necessità di attrezzarsi per superarli. Ma questa idea, questa necessità non potrebbe in alcun modo trovare risposta senza il contributo volontario e fraterno di intellettuali, esperti, operatori di cultura di questo livello.

E' un vero peccato che molti non abbiano potuto partecipare, e che forse alcuni abbiano sottovalutato l'importanza di questo convegno, che invece segna una pietra miliare che ricorderemo a lungo nel nostro cammino futuro non solo come elemento distintivo del nostro impegno quanto per gli strumenti che ci ha messo a disposizione. Per tutti, e anche per chi c'era, sarà diffusa la registrazione integrale della giornata, in modo che diventi patrimonio di tutte e di tutti.

I compagni e le compagne che hanno lavorato a preparare questa giornata, sia sul piano culturale che su quello organizzativo, possono essere certi che il loro lavoro non finisce qui. Ad essi, fra i quali nomineremo solo Enrico Zuccaro che ha ideato e condotto la preparazione del Convegno, Simone Campioni che ancora una volta ha reso il suo ruolo di Presidente della Sezione un impegno non formale, ed Ivano Alteri che ha "dato una mano" grossa e indispensabile, spetta l'onere di nuove sfide, sapendo che il premio sta nella crescita della nostra Associazione; crescita numerica e, soprattutto, di qualità.

Crediamo che il prossimo Congresso debba incaricarsi, nel contesto di una generale riorganizzazione, di costituire a livello provinciale una specifica responsabilità che curi i nostri programmi di iniziative e un archivio di tutto quanto produciamo, in modo che diventi fondo da cui attingere e sviluppare idee e lavoro, non rimanendo eventi isolati, per quanto di spessore.

Ne parleremo a breve, il Congresso è vicino.

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”Stupri di guerra e violenza di genere“

MAROCCHINATE E STUPRI DI GUERRA

Intervento di Angelino Loffredi all'iniziativa dell'Anpi "MAROCCHINATE E STUPRI DI GUERRA IN ITALIA 1943-1945. RIFLESSIONI E PROSPETTIVE", svolta il 13 novembre '21 nel salone di rappresentanza dell'Amministrazione Provinciale di Frosinone.

laciociara 350 260Il contributo lasciato da chi mi ha preceduto è prezioso e valido non solo per la riuscitissima operazione “verità e conoscenza” e per le considerazioni che l’accompagnano, ma anche per le sostanziali sollecitazioni ad avviare ulteriori sviluppi di discussione.
Intervengo pertanto per provare ad approfondire ulteriormente questioni già anticipate, per esprimere alcune preoccupazioni e per aggiungere alcuni temi che meritano di essere conosciuti ed esaminati.
Sperando di interpretare le aspettative di tutti, ritengo che l’iniziativa promossa dall’ANPI di Frosinone serva non solo per far conoscere ma anche ed in particolare modo per individuare strumenti e aspetti culturali da utilizzare, oltre che temi specifici in grado di fronteggiare, se non eliminare il ripetersi nel futuro di tali tragedie.

Insomma, conoscere, capire, contestualizzare per evitare.
Ritengo che la giusta e necessaria ricognizione di quanto avvenuto nel nostro territorio fatta da chi mi ha preceduto e le conseguenti considerazioni meritino nello stesso tempo di essere direttamente connesse con le violenze che ancor oggi vengono procurate in altre realtà europee e mondiali. Quanto è avvenuto Ieri, oggi, e avverrà domani hanno un filo nero che mette insieme tali tragedie. Sarebbe un errore se le separassimo, le tenessimo disunite o provassimo a sezionarle.

E’ sempre necessario ricordare e precisare, e’ vero, ma se vogliamo dare un contributo per prevenire che oggi o domani si ripropongano i disastri avvenuti nel passato dobbiamo essere attenti nel non refluire in un dolore che si limiti alla comprensione di quella che fu la nostra sofferenza territoriale. Questa è la preoccupazione che nutro, questa è l’insidia che vedo dietro l’angolo. In mondo sempre più globalizzato ed interconnesso noto anche il riproporsi di un nazionalismo sempre più aggressivo e minaccioso e che non mi sembra, purtroppo, adeguatamente contrastato. Ed i nazionalismi proprio per loro natura non vedono la sofferenza degli altri, anzi la ricercano. Se si vuole evitare che l’insieme di tali aspetti prevalga e si riproponga è urgente creare un’intesa, un’alleanza, una rete che metta al centro la lotta ed il contrasto contro tutte le violenze in qualsiasi parte del mondo esse avvengano. Non mi stancherò quindi di ricercare e di riproporre con convinzione l’internazionalizzazione del dolore e non limitarci, come spesso avviene, solo al pianto ed alla commiserazione delle persone a noi vicine. O si fa un grande balzo in avanti in questa direzione oppure temo che le cose non cambino e inevitabilmente si ripropongano. Accanto o meglio insieme a tale ipotesi poi bisogna mantenere aperte l’utilizzo e le opportunità offerte dalla Dichiarazione 1820 del consiglio di sicurezza dell’ONU del 21 giugno 2008, che ritiene lo stupro di guerra un crimine contro l’umanità. Una presa di posizione che non elimina il problema ma che alza il livello di attenzione e che comunque può servire da deterrente.
Inoltre in modo sistematico e continuo è necessario mantenere aperta una battaglia culturale.

Perché le donne sono sempre state premio del vincitore? Perché ogni esito di battaglie militari si risolve, si conclude sul corpo delle donne? Quali sono le cause, da dove provengono l’idee che portano a tale conclusioni?
Bisogna partire dal fatto che le donne non sono mai state soggette di diritti, non hanno mai avuto riconosciuto un ruolo di governo reale. Nel corso dei secoli c‘è stata una lunga stratificazione di pensiero e di norme giuridiche direttamente interconnesse che hanno legittimato la sottomissione delle donne. Dai tempi dell’antica grecia, nei “secoli d’oro”, attraverso Platone e Aristotele prima e successivamente passando per Padri della chiesa abbiamo assistito ad una continua predicazione, accompagnata da una violenza inaudita, nei confronti del genere femminile. Già Paolo di Tarso nelle sue lettere invitava gli uomini a non toccare le donne, esse, infatti, con il loro corpo tentatore, allontanano l'uomo dal desiderio di Dio, nega altresì alle donne la possibilità di insegnare. La donna secondo Paolo deve starsene in silenzio. Non è mia intenzione approfondire e sviluppare oggi tale tema in modo compiuto, però in una sede di approfondimento, di studio e di conoscenza come questa mi permetto di sottoporlo alla vostra attenzione, riprendendo quanto già anticipato dalla professoressa Taricone, e vi chiedo se sia degno per essere successivamente sviluppato per aiutarci a comprendere i motivi ancora presenti del pensiero antifemminile.
Perché nelle religioni monoteistiche le donne ancor oggi non hanno funzioni di grandi responsabilità, mi limito ad osservare che non possono essere ordinate nemmeno sacerdotesse, rabbine o mullah?

Nel dopoguerra la risposta alle violenze sono conosciute sufficientemente?
La rimozione è avvenuta non solo da parte delle donne violentate ma anche da parte delle istituzioni nazionali e locali. In una società sessuofobica e maschilista non si sentirono abbastanza tutelate e protette da uno Stato che non prese mai le loro difese.

Il silenzio viene incrinato dalle iniziative dell’Unione Donne Italiane, organizzazione che dal 1948 in provincia di Frosinone riesce a stabilisce un rapporto diretto con le donne violentate. Cosa non facile perché era necessario trovare un linguaggio e una credibilità che permettesse di stabilire una relazione prima di tutto emotiva. Fra le animatrici di queste iniziative meritano di essere ricordate Maria Maddalena Rossi, deputata del pci e presidente della stessa UDI, Lea Locatelli, Adriana Molinari e la ciociara Lina Paniccia.
Il tema principale posto a favore delle donne violate riguardava la cura per le stesse e per i propri familiari, i sussidi e le pensioni. In seguito a tali iniziative nel territorio ci fu nel 1949 un incontro fra i sindaci di Ceccano, Sant’Elia Fiumerapido e Pontecorvo ed il Sottosegretario Giulio Andreotti. Ma il momento più alto a favore delle “marocchinate” viene raggiunto nel 1951.

E’ in questo periodo che l’UDI tiene riunioni a Sant’Elia Fiumerapido, Pontecorvo, Ceccano e San Giovanni Incarico. Una manifestazione promossa il 14 ottobre 1951 presso il Supercinema di Pontecorvo, relatrice Lina Paniccia, componente la presidenza provinciale dell’UDI, presenti i deputati Aldo Natoli e Domenico Marzi, viene ostacolata dalla questura per motivi d’ordine morale. Di violenza sessuale, e quindi di sesso pubblicamente non si poteva parlare. Le donne provenienti in autobus da paesi vicini, in particolare da San Giorgio a Liri, Castro dei Volsci, Amaseno, Esperia, Vallecorsa, Pico, Pastena, vallemaio e ceccano vennero fatte scendere dagli autobus, fuori dal centro abitato, duramente spintonate e disperse. Ma nonostante ciò riuscirono ad arrivare a piedi all’appuntamento ed alcune di queste presero la parola rendendo la manifestazione drammatica ed appassionata.

L’incontro di Pontecorvo fu un punto di svolta perché di fronte all’opinione pubblica le donne furono in grado di trasformare la violenza da fatto privato a questione politica pubblica. Eppure ci vollero sei mesi prima che la camera dei deputati discutesse una interpellanza di Maria Maddalena Rossi, principale organizzatrice della manifestazione di pontecorvo nella quale venivano poste tante questioni legate agli stupri. Era il 7 aprile 1952 quando l’interpellanza venne portata in discussione, ma in seduta notturna perché il tema era ritenuto peccaminoso e non consono alla istituzione
In generale si può dire che dal 1952 il Movimento delle violentate rifluisce. Il tema si riapre ma con motivazioni diverse con l’uscita del libro di Moravia “La Ciociara“.
Nello stesso tempo credo sia necessario mettere in evidenza come alla vigilia della pubblicazione del libro, la cultura sessuofobica fosse ancora presente e dominante. E’ importante sapere infatti che l’11 settembre 1957, il Vescovo di Veroli e 6 parroci della Diocesi sollecitano, attraverso un testo di 5 pagine, al Prefetto ed al Procuratore della Repubblica di Frosinone affinchè “vogliano attentamente considerare se essi ravvisano- come noi ravvisiamo- nel romanzo di Moravia elementi tali da incorrere nella censura, come opera contenente pornografia“.
Fortunatamente il libro venne pubblicato e qualche anno dopo attraverso il film con lo stesso titolo, Sophia Loren riceve l’Oscar e conseguentemente il tema viene conosciuto anche fuori dal nostro territorio.

Non posso concludere senza ricordare che le prime istituzioni che rompono il muro del silenzio sono l’Amministrazione Comunale di Castro dei Volsci, sindaco Berardi, e l’amministrazione provinciale di Frosinone, presidente Lisi. Il 3 giugno 1964 infatti dopo un intervento di Giacinto Minnocci, sulla rocca del comune ciociaro viene innalzato il Monumento alla Mamma Ciociaria.
Una comunità dunque non sente più vergogna, con coraggio esce dal cono d’ombra e dice al mondo, proprio attraverso il Monumento, che tante donne del paese sono state violentate. In ogni parte della terra fanno sapere che la vergogna non deve essere di chi ha subito la violenza ma dei violentatori.

Nel 2015, bisogna ricordare, che sui muri di Villa Santo Stefano ed Amaseno, per volontà delle rispettive amministrazioni comunali, vennero apposte delle targhe a ricordo delle terribili sofferenze vissute dalle donne di questi due paesi. Termino per far presente che sempre nel 2015 inoltre è uscito un libro patrocinato dai comuni di Amaseno, Vallecorsa e Villa Santo Stefano, edito da EDI, curato da Simona la Rocca dal titolo ”Stupri di guerra e violenza di genere“ opera che ancor oggi ritengo essere necessaria a far conoscere l’argomento e la sua complessità.

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Le parole dopo il silenzio

Weinstein story e Me Too

Camille De Serres Rainville 350 mindi Fiorenza Taricone - Pochi giorni fa, su Noi Donne on-line, Maria Dell’anno ha condiviso e commentato lo scritto “Be A Lady They Said”* di Camille Rainville – giovane studentessa del Vermont – interpretato da Cynthia Nixon in un video creato per Girls Girls Girls Magazine all'indomani della condanna penale di Harvey Weinstein.

L’attrice - nota soprattutto per il suo ruolo nella serie televisiva 'Sex and the city', ma anche per la sua attività politica come candidata alla carica di Governatrice dello Stato di New York – sintetizza in pochi minuti una serie di frasi che tutte, le donne, a qualunque latitudine, prima o poi, hanno ascoltato e assecondato.

Le parole accusatorie nei confronti di Weinstein di donne non tutte potenti, anzi quasi nessuna paragonabile a lui, hanno avuto la meglio rispetto a questo decalogo e per capire bene il monologo di Camilla Rainbille è bene ripercorrere la vicenda di quello che sembrava uno dei re della produzione cinematografica.

La recente apparizione di Weinstein mentre camminava per raggiungere il tribunale, aggrappato a un deambulatore, certamente destinata a impietosire, e si suppone opportunamente consigliata dagli avvocati, ha fatto il giro del mondo. Ma esattamente per non cadere nella trappola pietistica, vogliamo ricordare che nessuna persecuzione rapida è stata ordita ai suoi danni; anzi, ci sono voluti anni. L’ex potente produttore Harvey Weinstein, molestatore seriale, era già stato oggetto di accuse.
Nel 1998, Gwyneth Paltrow era stata la prima donna ad condannare pubblicamente il comportamento di Weinstein, dichiarando in un programma televisivo che Weinstein poteva obbligare “a fare una o due cose”.

Nel 2015, il New York Times riportava la notizia che Weinstein era accusato da una donna di 22 anni, la modella italiana Ambra Gutierrez di palpeggiamento; l’aspirante attrice accettava di collaborare con la polizia per ottenere una registrazione audio nella quale Weinstein ammetteva di averla toccata in modo inappropriato. Mentre l'inchiesta della polizia progrediva, iniziava un’opera di diffamazione sulla Gutierrez, descritta come un'arrivista e un’opportunista. Il procuratore di Manhattan decideva comunque di non perseguire Weinstein, allegando una mancanza di prove.

A ottobre 2017, il New York Times e il New Yorker riportavano l'accusa di molestie sessuali, aggressioni sessuali o di violenza sessuale di una dozzina di donne, cui facevano seguito molte altre personalità femminili dell'industria cinematografica. Il comportamento di cui era accusato Weinstein, chiamato in America casting couch**, subordinava ruoli e scritture a pratiche sessuali da lui stabilite.

La puritana America, unitamente a una robusta campagna femminile sfociata nel movimento Me Too, ormai dubitava delle smentite di Weinstein che veniva licenziato dalla sua compagnia, la Weinstein Company, ed espulso dall'Academy of Motion Picture Arts and Sciences . La stampa iniziava ad accusare apertamente Weinstein di molestie sessuali proseguite per almeno tre decenni, rivelando anche che aveva concluso otto accordi finanziari con otto donne della Miramax e della Weinstein Company. Alle molestie si aggiungeva lo stupro, e quattro attrici dichiaravano che dopo aver rifiutato le avances di Weinstein o essersene lamentate, lui avrebbe convinto altre persone a escluderle dai progetti. Il New Yorker pubblicava la registrazione della polizia di New York City del 2015 nel quale Weinstein ammetteva di aver toccato Gutierrez.

A ottobre 2017 la polizia di New York, di Londra e di Los Angeles indagavano sulle accuse di aggressione perché erano ormai 80 le donne che testimoniavano pubblicamente di essere state vittime di Harvey Weinstein. Secondo le loro testimonianze, invitava le giovani attrici in un motel o in ufficio con il pretesto di discutere della loro carriera, esigendo in seguito un massaggio o un rapporto sessuale. Colleghi e collaboratori di Weinstein hanno precisato che tutto ciò era reso possibile dalla complicità del personale, dai soci e dagli agenti che organizzavano gli appuntamenti, ed anche dagli avvocati che cancellavano le denunce con l'aiuto di minacce e accordi finanziari. The Guardian contattava 20 attori che avevano lavorato con Weinstein, ma tutti si rifiutavano di commentare. L'articolo concludeva dicendo che mentre la maggior parte delle donne condannava le azioni di Weinstein, "la maggior parte degli uomini influenti dell'industria del cinema era rimasta in silenzio".

Nel maggio 2019 viene trovato un accordo che va a chiudere i procedimenti civili ma non quelli penali; Weinstein deve versare 30 milioni di dollari ad accusatrici e creditori della Weinstein Company, più altri 14 al suo team di legali. Nel febbraio 2020 una giuria di New York lo condanna per stupro di terzo grado e atti sessuali criminali di primo grado verso l'attrice Jessica Mann.

Il monologo citato all’inizio, praticamente rifiutato dalle donne del Me Too, riassume con grande efficacia tutto ciò che è stato insegnato alle donne da secoli, se non da millenni. Tutto e il contrario di tutto, secondo la necessità dell’obbedienza. Ma è stata la trasgressione di queste raccomandazioni che ha consentito almeno per una volta di punire secondo giustizia il potente di turno che ha creduto, come tanti altri potenti della storia anche recente, di essere al di sopra del senso del limite.

Quante volte ci siamo sentite dire, scrive Maria Dell’Anno in Noi Donne, ciò che avremmo dovuto o non dovuto fare in quanto donne, in quanto esseri appartenenti al genere femminile? E quante volte ci siamo sentite raccomandare anche l’esatto contrario di quanto detto poco prima? Quante volte ci siamo sentite sbagliate, fuori posto, inadeguate, perché non corrispondenti all'immagine che ci viene detto dovremmo interpretare? Continuamente.

Continuamente noi donne riceviamo raccomandazioni, ordini, rimproveri per come siamo, per come ci vestiamo, per quello che diciamo, per come ci comportiamo. Continuamente il nostro destino viene collegato causalmente con qualche nostro comportamento sbagliato. “Sii una donna, hanno detto. La tua gonna è troppo corta. La tua gonna è troppo lunga. I tuoi pantaloni sono troppo aderenti. Non mostrare così tanta pelle. Non mostrare le cosce. Non mostrare il seno. Non essere tentatrice. Gli uomini non sanno controllarsi. Gli uomini hanno delle esigenze. Sii sexy. Sii attraente. Non essere provocante.
Non essere troppo grassa. Non essere troppo magra. Ordina un’insalata. Non mangiare carboidrati. Salta il dessert. Devi perdere peso. Entra in quel vestito. Mettiti a dieta. Dio, sembri uno scheletro. Perché non mangi? Sembri malata. Agli uomini piacciono le donne con un po’ di carne.
Non parlare a voce troppo alta. Non parlare troppo. Sii obbediente. Sii piacevole. Preparagli la cena. Fallo felice. Questo è il compito di una donna. Sarai una buona moglie un giorno. Prendi il suo cognome. Dagli dei figli. Non vuoi avere figli? Un giorno li vorrai. Cambierai idea. Proteggiti. Non farti stuprare. Non bere troppo. Non camminare da sola. Non uscire tardi la sera. Non vestirti così. Fai un corso di autodifesa. Non sorridere agli sconosciuti. Non dire di sì. Non dire di no”.

Le donne del Me Too, quelle che sono uscite dal silenzio e hanno parlato, che si sono vestite tutte di nero alle manifestazioni più importanti della cinematografia americana, che hanno aspettato Weinstein fuori dal tribunale, hanno certamente scelto di uscire dal tutto e contrario di tutto e fare una scelta di libertà.

 

*

“Be A Lady They Said” = Sii donna. Mi hanno detto    **
Casting couch (letteralmente: "divano per il casting") è un eufemismo della lingua inglese usato per indicare l'atto con cui una persona che ha la possibilità di assegnare ruoli per formare un cast richiede prestazioni sessuali agli aspiranti attori o attrici. Sul piano legale, viene considerato un abuso di potere.[dove? In Italia è abuso/molestia sessuale]

 

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Stupri di guerra. Intervista a Fabi e Loffredi

stupri guerra congo 350 260 mindi Lucia Fabi, Angelino Loffredi (video)- Sta facendo (giustamente) molto scalpore l’apertura di una indagine da parte del Procuratore Militare di Roma, Marco De Paolis, sugli stupri, gli assassinii e le rapine avvenute nel Lazio Meridionale nel 1944 ad opera dei militari appartenenti alle 4 Divisioni del Corps Espedizioner Francais ( CEF ). L’indagine è stata avviata sulla base di un esposto-denuncia predisposto dall’ "Associazione Vittime Marocchinate di Goumier". Si tratta di vicende drammatiche ricordate con il termine Marocchinate compiute non solo da soldati marocchini ma anche da algerini, tunisini, senegalesi, provenienti dalle colonie francesi e dalla Legione straniera. (completata una pagina per continuare a leggere torna qui, sotto la foto grande e clicca sul titolino successivo)

  1. Prede di guerra
  2. Stupro arma e premio
  3. Una battaglia di civiltà

Le donne prede di guerra

Delle quattro divisioni del CEF due erano composte da marocchini (la seconda – Fanteria- e la quarta di Montagna) dove erano inglobati tre Reggimenti- Goumier- che provenivano dalle montagne dell’Atlante. La terza era composta da soldati tunisini e prevalentemente da algerini, mentre la prima, denominata Francia Libera, era composta da uomini provenienti dalla Legione straniera e dai possedimenti coloniali.
Ci auguriamo che la ripresa di attenzione attorno al tema, l’indagine avviata dalla Procura Militare e le sollecitazioni che provengono dal sito unoetre.it favoriscano ulteriori e necessari approfondimenti e nuove conoscenze. Agli interessati al tema facciamo presente inoltre che nel 2016 abbiamo scritto un libro “Il dolore della memoria/Ciociaria 1943-1944“ che può essere letto (gratuitamente) da tutti. Basta cliccare su http://www.loffredi.it/il-dolore-della-memoria.html

Nello stesso tempo facciamo una raccomandazione. Le vicende di cui si discute sono drammatiche e vissute per tanti anni dalle donne e dalle famiglie in solitudine. Anticipiamo che c’è ancora tanto da raccontare per le tante omissioni e per la vergogna che sovrastò le stesse violentate, ma c’è anche la necessità e il dovere di saper ricordare partendo Ildolore dellamemoria Fabi Loffredi 350sempre da fonti e documenti. Ancora oggi leggiamo di un proclama, un editto, in verità non sappiamo come denominarlo del generale Alphonse Jiuin, comandante del CEF che facciamo conoscere.
«Soldati! Questa volta non è solo la libertà delle vostre terre che vi offro se vincerete questa battaglia. Alle spalle del nemico vi sono donne, case, c'è un vino tra i migliori del mondo, c'è dell'oro. Tutto ciò sarà vostro se vincerete. Dovrete uccidere i tedeschi fino all'ultimo uomo e passare ad ogni costo. Quello che vi ho detto e promesso mantengo. Per cinquanta ore sarete i padroni assoluti di ciò che troverete al di là del nemico. Nessuno vi punirà per ciò che farete, nessuno vi chiederà conto di ciò che prenderete»

Questa dichiarazione da più di cinquanta anni è in circolazione ma manca del testo originale, della data e del luogo d’archiviazione. E’ privo dunque di presupposti storici oltre che discutibile anche per altre questioni ugualmente importanti e che ci accingiamo a sottolineare:
- La promessa di libertà, ovvero di indipendenza delle colonie, non venne mai posta. Il Generale De Gaulle non l’Stupridiguerra Marocchinate 350 260 minavrebbe mai permessa. Gli Algerini la ottennero solo nel 1962 dopo una crudele guerra di liberazione durata otto anni e pagata con 300.000 morti.
- Il riferimento alla promessa di trovare il vino più buono del mondo non può essere stata fatta da un generale cresciuto in Algeria, che conosceva i precetti della religione islamica che vietano di bere alcool. Se avesse scritto veramente quel testo sarebbe stata a rischio la sua credibilità da parte dei suoi soldati.
- Infine, la gestione delle 50 ore di violenze e rapine: chi è che dava il segnale di avvio e chi di chiusura? (continua a leggere. Vai in alto sotto la foto grande e clicca sul titolino successivo)

Lo stupro come arma e premio

La terribile verità è costituita dal fatto che i soldati del CEF non ebbero bisogno di autorizzazioni dal loro generale. Le violenze erano state commesse già nel luglio 1943 in Sicilia e nell’inverno 1943-1944 a Venafro, Acquafondata, Viticuso, Sant’Elia Fiumerapido.

Ricercare, raccogliere testimonianze e metterle a confronto. Ci abbiamo provato ma c’è ancora tanto da conoscere e verificare. Per esempio, attorno alla tolleranza e complicità verso tali crimini da parte degli ufficiali francesi e da parte dei soldati statunitensi. Non dimentichiamo, infatti, che soldati del CEF e statunitensi facevano parte della V Armata e combattevano sempre in modo coordinato.
La tolleranza e la complicità da quello che abbiamo ricavato furono prevalenti e con motivazioni diverse: la vendetta francese per “la pugnalata alle spalle“ del giugno 1940 e le violenze italiane in Costa azzurra, ma anche per debolezze e non determinazione nel fermare soldati che avevano rotto la Linea Gustav, stavano facendo arretrare i tedeschi pagando nello stesso tempo un alto tributo di sangue. Il silenzio americano si legava al fatto di non rompere rapporti con alleati che sapevano combattere. stupridiguerra 1 min

Nello stesso tempo abbiamo trovato e raccolto sia episodi di reazione armata di civili italiani che reagiscono e uccidono soldati del CEF, che di reazioni dei soldati americani che uccidono marocchini (Lenola) o di soldati americani che difendono donne (Giuliano di Roma) oppure di soldati del CEF che compostamente accompagnano una fila di cittadini a rientrare nel paese (sempre a Giuliano di Roma). A Ceccano abbiamo raccolto testimonianze ove risulta che un ufficiale francese abbia ucciso un marocchino, identificato come un violentatore, con un colpo di pistola alla testa. Sempre a Ceccano abbiamo ricevuto testimonianze che ufficiali americani hanno tollerato (giustificato) che cittadini ceccanesi uccidessero marocchini per difendersi da violenze.

Un sacerdote di Vallecorsa, don Alfredo Salutini, nel suo libro ”Le mie memorie in tempo di guerra“ riporta di essere stato per diversi giorni collaboratore dei Francesi, di essersi opposto alla consegna delle armi appartenenti ai suoi concittadini perché dovevano servire a difendersi dai violentatori, di essere stato in grado di far arrestare alcuni stupratori ma il giorno del processo alcune violentate “si rifiutarono di venire a testimoniare. Erano trascorsi una decina di giorni e volevano dimenticare”.

Il dramma della violenza è stato vissuto dalle donne individualmente, in solitudine e con vergogna. Solo in rari momenti è stato socializzato. In una società sessuofobica e maschilista le donne non si sentirono abbastanza tutelate e protette da uno stato che non prese mai le loro difese. Proprio per queste situazioni bisogna rendere merito al ruolo svolto dall’Associazione Donne Italiane (UDI) che seppe lottare contro chi auspicava la necessità di dimenticare. È l’UDI che nel 1948, attraverso Maddalena Rossi, Adriana Molinari, Lea Locatelli e Lina Paniccia solleva la questione degli indennizzi, della cura delle violentate e dei loro familiari. Questioni non semplici da affrontare. (continua a leggere. Vai in alto sotto la foto grande e clicca sul titolino successivo)

Una grande battaglia di civiltà

E’ difficile anche per noi raccontare che il 14 ottobre 1951 una iniziativa promossa dall’UDI a Pontecorvo venne ostacolata dalla Questura per motivi d’ordine morale perché di sesso non si doveva parlare. Le donne provenienti da San Giorgio a Liri, Castro dei Volsci, Ceccano, Amaseno, Vallecorsa, Pico, Vallemaio, Pastena furono fatte scendere con la forza dagli autobus ma coraggiosamente furono in grado di raggiungere il Supercinema e qualcuna di queste riuscì a parlare per rendere pubblica la loro sofferenza, rendendo la manifestazione drammatica e appassionata. È anche difficile per noi riportare che la interpellanza di Maddalena Rossi, deputata del PCI, riguardante tale argomento venisse discussa in seduta notturna il 7 aprile 1952 perché il tema era ritenuto peccaminoso e non consono alla istituzione. Il sottosegretario Tiziano Tessitore, democristiano, intervenendo ebbe la sfrontatezza di mettere sullo stesso piano le violenze carnali con quelle degli incidenti stradali e delle vedove di guerra. Costui non fu in grado di distinguere la gravità che la drammatica la sorte toccata alle violentate era diversa dalle altre perché le donne che avevano perso un marito o un figlio in guerra sapevano che quel lutto era sostenuto da milioni di persone mentre il dramma delle violate non veniva ne condiviso ne legalmente riconosciuto.
Dopo una discussione tesa, imbarazzata, in una Camera composta a grandissima maggioranza da uomini, di fronte al cinismo e alla insensibilità del sottosegretario, Maddalena Rossi fu costretta ad urlargli “Come si vede che ella non è donna“. Solo una sensibilità femminile, infatti, poteva essere in grado di cogliere il significato emotivo e il riflesso psicologico degli stupri e le conseguenze prodotte sulle violentate per il resto della loro vita.stupridi guerra congo violenze min

Discutiamo, dunque, raccontiamo, documentiamo approfondiamo, contestualizziamo ma facciamo attenzione a non rimanere prigionieri di un certo provincialismo, ovvero quello di ricordare il dolore e la sofferenza solo delle nostre donne. Questo sarebbe un errore. Se ricordiamo che anche i soldati italiani esercitarono violenze in Francia, Grecia, Albania, Jugoslavia, Etiopia, Eritrea, Libia non lo facciamo per bilanciare o per esseri equidistanti ma per sollevare una questione molto più grande e sempre dimenticata. Nella storia dell’umanità tutte le guerre si sono combattute, nella parte finale, sul corpo delle donne. I vincitori, attraverso il dominio del corpo della donna, vogliono rappresentare la conquista del territorio e la donna è nello stesso tempo preda e oggetto. In teoria lo stupro è considerato da tutti inaccettabile ma nella sostanza è interiorizzato come qualcosa di inevitabile. Si tratta di una concezione inconsapevolmente più diffusa di quanto si possa pensare, sedimentata attraverso secoli, che partendo da Platone e attraversando le religioni monoteiste ha ritenuto la donna non soggetta di diritti, condizionando così l’ordinamento giuridico, il costume e la cultura. È un dovere per tutti sconfiggere tale pensiero.
Dobbiamo aspettare l’anno 2008 per vedere approvata il 21 giugno dal Consiglio di Sicurezza dell’ONU la Risoluzione 1820 che ritiene lo Stupro di guerra un crimine contro l’umanità. Balza agli occhi di tutti il notevole ritardo con cui arriva questa doverosa scelta. Tale Risoluzione può essere considerata un primo mattone per coniugare le buone intenzioni ai provvedimenti sanzionatori. E’ necessario passare alla internazionalizzazione della sofferenza. Difendere oggi le donne violate di tutto il mondo, a cominciare da quelle che vengono colpite in questi giorni in Siria, Yemen, Irak, Afganistan e pretendere giuste sanzioni per i violentatori significa predisporre (per domani) una difesa per le nostre donne.
Si tratta di una grande battaglia di civiltà, forse la più importante.

 

 

 

Video intervista a Lucia Fabi e Angelino Loffredi a cura di Ignazio Mazzoli

 

 

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Stupri di Monza: qualche interrogativo sulla legge 107 è d'obbligo

a scuola studentessedi Daniela Mastracci - Si avvia un’istruttoria? E’ il minimo! La inqualificabile vicenda di Monza relativa alle violenze sessuali ai danni delle studentesse in alternanza scuola-lavoro probabilmente fa emergere una grave lacuna nell’articolato della legge 107 a proposito dell’alternanza stessa. Si aprono due scenari di indagine a questo punto. Per un verso, a proposito delle responsabilità, su quali dei soggetti coinvolti potranno ricadere? Per un altro verso, la domanda che sembra venire fuori anche dai commenti su Facebook riguarda la valutazione degli studenti in attività di alternanza.

Ricordiamoci sempre che l’alternanza scuola-lavoro riguarda i nostri studenti e i nostri figli

E’ possibile pensare che l’apertura dell’istruttoria lasci emergere contraddizioni dentro la legge? Oppure inadeguatezze giuridiche? Oppure una certa qual superficialità nella scrittura degli articoli della 107? Intanto vogliamo ricordare che l’alternanza scuola lavoro riguarda i nostri studenti: tutte le scuole superiori secondarie sono partecipi di questi percorsi tra il didattico e il lavorativo. Non vogliamo entrare nel merito passando attraverso critiche, pur legittime, all’alternanza nel suo complesso (quanto a sfruttamento di lavoro minorile, cioè). Ma vogliamo tenere fermo il punto drammatico che è emerso con la vicenda di Monza.
Dal punto di vista delle responsabilità, va detto che l’Assessore all’Istruzione della Regione Lombardia, Valentina Aprea, si dichiara parte civile, a tutela dell’amministrazione e degli studenti: cioè, come già detto, si apre un’istruttoria per verificare l’intera vicenda alla luce delle “colpe” attribuibili all’imprenditore che gestisce ed opera entro i centri estetici dove i fatti sono accaduti.

A chi sono affidati gli studenti?

La domanda nostra è: gli studenti sono accompagnati nelle strutture che li ospitano da insegnanti della loro scuola? Ovvero il cosiddetto tutor interno è presente durante l’attività di alternanza? Troviamo che tale presenza “NON sia un obbligo”.
Ci riferiamo ad un articolo esplicativo uscito su La tecnica della Scuola il 28 ottobre 2016
La recente faq del Miur chiarisce che NON è prevista la presenza obbligatoria del tutor scolastico in azienda durante lo svolgimento delle attività di alternanza: «I suoi compiti di assistere e guidare lo studente nei percorsi di alternanza e verificarne il corretto svolgimento possono essere svolti a distanza, oppure durante incontri organizzati presso la scuola. L’importante è che lo studente in azienda sia seguito dal tutor formativo esterno designato dalla struttura ospitante, che ha il compito di assistere il giovane nel suo percorso di apprendimento attraverso il lavoro».

Sembra cioè che gli studenti possano essere lasciati sotto la sola responsabilità del cosiddetto tutor esterno. Agli studenti mancherebbe quindi l’apporto-supporto di loro insegnanti. Le famiglie lasciano con tranquillità i loro figli alla responsabilità della scuola: già qui si apre dunque una discussione su quanto e come siano informate le famiglie a proposito delle ore in cui i loro figli sono invece presso le sedi scelte per l’attività di alternanza. Inoltre ci sarebbe da chiedersi se il ministero abbia o no un albo relativo alle aziende, servizi vari, presso cui gli studenti vengono inseriti; e se c’è tale albo, come vengono scelti i soggetti, in base a quali requisiti e trasparenza? Ovvero come possiamo essere certi che gli studenti siano affidati a tutor esterni censiti e selezionati, e perciò ritenuti affidabili? Inoltre il fatto che non ci siano obbligatoriamente gli insegnanti come accompagnatori, come può ciò rendere tutelato dalla scuola il percorso di alternanza?

La legge 107 non è chiara ed è superficiale

La legge 107 non determina in modo chiaro tali problemi, e interpretazioni sono perciò possibili; tanto più che la legge stessa lascia molto margine di manovra alle scuole stesse che possono progettare e portare avanti in modo autonomo i percorsi di alternanza, visto anche il legame con i rispettivi territori e quindi con la platea di soggetti differenti con cui progettare i percorsi stessi. Insomma un universo differenziato, non a priori selezionato e, soltanto dopo ciò, immesso in un qualche albo a garanzia di affidabilità e pertinenza con i percorsi scolastici degli istituti, accoglie studentesse e studenti per effettuare le ore di alternanza.
Ecco che sembra aprirsi una lacuna nelle maglie della legge. Allora ci auguriamo che l’istruttoria possa farle emergere tutte, e riaprire la discussione almeno sugli articoli e decreti attuativi che riguardano l’alternanza scuola lavoro. In proposito citiamo la fonte della CGIl dove è scritto chiaramente che pur in presenza di un Registro nazionale per l’alternanza scuola lavoro, presso le Camere di Commercio la notizia più clamorosa è la seguente: non vi sarebbe alcun obbligo per le scuole, a partire dal 2016, di sottoscrivere convenzioni esclusivamente con i soggetti iscritti nel registro nazionale per l’alternanza scuola lavoro istituto presso le Camere di commercio. Infatti la “Guida” recita testualmente: «Le convenzioni possono essere stipulate, tuttavia, anche con imprese, musei e luoghi di cultura e di arte, istituzioni, che non sono presenti nel Registro nazionale per l’alternanza scuola lavoro. La mancata iscrizione del soggetto ospitante nel suddetto Registro non preclude, quindi, la possibilità, da parte del suddetto soggetto, di accogliere studenti per esperienze di alternanza.»
(http://www.flcgil.it/attualita/formazione-lavoro/formazione-integrata/alternanza-scuola-lavoro-la-guida-operativa-del-miur.flc)

Cosa si è già scritto


Per quanto riguarda il punto sulla valutazione, a scanso di equivoci riportiamo un altro articolo de La Tecnica della Scuola, apparso il 7-11-2016, che chiarisce in proposito
1^ fase della valutazione: «l’esperienza in sé L’ASL (Alternanza Scuola-Lavoro) è frutto di una co-progettazione con la struttura ospitante e si conclude con la valutazione CONGIUNTA dell’attività svolta dallo studente da parte del tutor interno e del TUTOR ESTERNO, che fornisce alla scuola ogni elemento atto a verificare e valutare le attività dello studente e l’efficacia dei processi formativi.»

3^ fase della valutazione: il Consiglio di classe
«valutazione del percorso in alternanza è PARTE INTEGRANTE della valutazione finale dello studente ed incide sul livello dei risultati di apprendimento conseguiti nell’arco del secondo biennio e dell’ultimo anno del corso di studi. In sede di scrutinio, il Consiglio di classe deve avere disposizione tutte le informazioni, i report e la certificazione delle competenze acquisite con l’esperienza fatta dallo studente.
La valutazione degli esiti delle attività di alternanza riguarda:
la ricaduta sugli apprendimenti disciplinari;
la ricaduta sul voto di condotta, tenendo conto del comportamento dello studente durante l’attività nella struttura ospitante e valorizzando il ruolo attivo e propositivo eventualmente manifestato ed evidenziato dal tutor esterno;
l’attribuzione dei crediti, in coerenza con i risultati di apprendimento in termini di competenze acquisite relative all’indirizzo di studi frequentato.»
Da ultimo ricordiamo che l’alternanza scuola-lavoro è stata inserita nel nuovo esame di stato, sia in termini di ammissione all’esame stesso, sia come percorso da “raccontare” da parte del candidato, durante il colloquio finale (si veda in proposito l’articolo 13 del DECRETO LEGISLATIVO 13 aprile 2017, n. 62. Norme in materia di valutazione e certificazione delle competenze nel primo ciclo ed esami di Stato, a norma dell'articolo 1, commi 180 e 181, lettera i), della legge 13 luglio 2015, n. 107. (17G00070). (GU n.112 del 16-5-2017 - Suppl. Ordinario n. 23) Vigente al: 31-5-2017)»


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